“Sugarcane”, il film di Julian Brave NoiseCat ed Emily Kassie, che racconta una storia di abusi nella missione cattolica di Saint Joseph, vicino Williams Lake in British Columbia, Canada, lunga ben quattro generazioni, è il favorito per l’Oscar 2025 per il miglior documentario.
Se non ne avete ancora sentito parlare, almeno qui da noi, non vi stupite. Non è una storia nota in Italia – vuoi anche per il tema scottante, e sappiamo quanto il Vaticano condizioni la percezione delle cose dalle nostre parti – ma ha tutte le carte in regola per puntare dritto dritto alla statuetta. Intanto ha già fatto breccia al Sundance, dove ha vinto per la migliore regia e ora smuove le coscienze in sedi istituzionali come il Senato americano che gli ha dedicato una proiezione speciale. Presentato da National Geographic, sarà disponibile entro l’anno su Disney+ e in anteprima proiezione speciale alla Festa del cinema di Roma a ottobre.
Violenze sessuali sui bambini, le scuse del Papa non bastano
“Sugarcane” racconta una storia simbolo di razzismo bianco, dell'annientamento culturale dei nativi americani, a colpi di indottrinamento, divieti di tradizioni e linguaggio e sottomissioni fisiche con la cifra religiosa, cattolica, e le violenze sessuali dei sacerdoti sui bambini e le bambine che vivevano lì strappati alle famiglie per ‘educarli’. Se questo non smuovesse ancora le vostre coscienze, i registi aggiungono anche una buona dose raccapriccio: gravidanze indesiderate con i feti letteralmente buttati nell'inceneritore per sbarazzarsi del problema. Un ritratto agghiacciante di un fenomeno reale e doloroso, che ha chiamato all’azione Papa Francesco.
Bergoglio ha infatti ricevuto alcuni testimoni in Vaticano e si è scusato pubblicamente; poi, a luglio 2022, è anche andato in “pellegrinaggio di penitenza” (parole sue) nei luoghi dei fatti, ma ai capi delle comunità autoctone First Nations non è bastato, perché quello che sta venendo fuori di un'epoca di Chiesa colonialista e complicità governative mette i brividi.
Un film nel film: il padre del co-regista figlio di un abuso
“Da reporter per The New Yorker e New York Times ho affrontato vari temi – ha detto all'ANSA il co-regista Julian Brave Noisecat – e quando la collega di giornalismo investigativo Emily Kassie mi ha proposto di realizzare un documentario sui nativi indiani in Canada ho accettato senza sapere che il film sarebbe diventato per me qualcosa di molto personale”. “Sugarcane”, prodotto dal giovane Kellen Quinn, segue con il ritmo dell'inchiesta una sorta di auto-indagine che dal 2021 con tenacia stanno portando avanti alcuni sopravvissuti, mettendo insieme dolorose testimonianza, scavi (per trovare fosse comuni), fotografie e tutti i reperti e le prove che la comunità indigena riesce a tirare fuori per documentare verità nascoste troppo a lungo.
Uomini e donne che non vogliono dimenticare quanto accaduto loro e ai loro familiari e proprio durante questa indagine è emerso che il 64enne padre di Brave Noisecat, che per tutta la vita è stato dipendente dall'alcol (come moltissimi nativi) ed è stato assente con lui, è figlio dell'abuso di un prete con una bambina. Coem fece a sopravvivere al tremendo destino dell’inceneritore? Fu semplicemente un caso. Dopodiché fu adottato da una famiglia insieme ad altri 10 indiani nativi, sette dei quali si suicidarono.
"Mai mi ero interessato a quello che il mio Paese aveva fatto ai suoi primi abitanti e via via che si lavorava a questo film via via emergevano pezzi della mia famiglia. La missione dove nacque mio padre, Ed Archie, è stata scelta su 139 presenti sul territorio. È stato uno choc. Ho cercato mio padre, sono tornato con lui su quei luoghi e quello che era stato scoperto ha avuto la sua devastante conferma. C'è un potere e una responsabilità in chi testimonia e in chi documenta e ‘Sugarcane’ è importante perché a queste persone che hanno vissuto la vita senza rispetto, diciamo loro che sono importanti, che al mondo importa di loro".
C’è bisogno di giustizia per placare la sofferenza
C'è una "sofferenza che ha bisogno di giustizia" ha aggiunto Julian. "Chiesa e governo canadese continuano a rifiutare di aprire gli archivi e tutto viene portato avanti dalla comunità”. C'è Charlene Belleau, abusata da bimba, che da 30 anni si batte con forza per un riscatto; c'è Rick, che da capo della comunità ha guidato la piccola delegazione in Vaticano ed a lui, morto nel frattempo, è dedicato il film; c'è il tenerissimo anziano MacGrath, il cui Dna ha confermato che per metà è di sangue nativo, per metà scozzese (figlio dell'abuso di un reverendo), che a Roma ha avuto il coraggio di andare dai missionari oblati di Maria Immacolata a chiedere 'perché?'.
I numeri di questo orrore non sono definitivi, migliaia sono le vittime, un'intera comunità di nativi continua a vivere con questo fardello ma se il tempo della riconciliazione è solo iniziato, quello dell'orgoglio dell'accettazione che forse porterà i colori orange, i cappelli con le piume e i nativi sul palco di Hollywood la notte dell'Oscar il 2 marzo 2025 è arrivato.