L’atletica mondiale dice no alla partecipazione di transgender donne alle gare internazionali nella categoria femminile. Per quanto il bando sia più che altro teorico perché “non esistono atlete transgender a livello mondiale”, come ha precisato il presidente della World Athletics, Sebastian Coe, la decisione di mettere una barriera riapre la questione. Nei fatti, il Consiglio della federazione mondiale, aggiornando le proprie regole circa l’eleggibilità e sulla falsariga di quanto stabilito lo scorso anno da quella del nuoto, ha definito che, a partire dal 31 marzo, gli atleti trasgender, uomini diventati donne dopo aver attraversato la pubertà maschile, non potranno più prender parte alle competizioni femminili, a prescindere dal loro livello di produzione di testosterone.
Cio aveva invitato tutte le federazioni internazionali a definire linee guida sulle partecipazione di transgender. Un tema sulla quale campioni ed ex campioni sono divisi, in cerca di un chiarimento dalla scienza. Tra i più fervidi oppositori del sì al diritto dei transgender, anche Martina Navratilova, già paladina dei diritti omosessuali, la cui opposizione a gare in cui transgender e donne competano insieme aveva provocato polemiche e dibattiti. Non si tratta solo di questioni come quella della bambina della West Virginia, che da transgender chiede di partecipare alle gare di atletica con le compagne: il caso è finito alla Corte Suprema americana. Quella ideale dello sport si è trovata al bivio a Tokyo, quando la neozelandese Laurel Hubbard, prima atleta nata uomo, ha preso parte al torneo olimpico femminile di sollevamento pesi. È stato un spartiacque che ha chiamato tutte le principali discipline - soprattutto quelle in cui forza, resistenza, capacità anaerobica prevalgono - a interrogarsi: fino a che punto il diritto di una transgender di competere cozza con quella delle rivali a non confrontarsi con vantaggio fisici legati alla transizione?
Il ciclismo mondiale ha allungato da 12 a 24 mesi il “periodo di transizione” durante il quale le donne transgender devono presentare un livello di testosterone “basso”, prima di allinearsi “nella categoria corrispondente alla loro nuova identità di genere”. Il nuoto ha limitato l'accesso delle sue categorie femminili alle nuotatrici “diventate donne prima della pubertà”, esattamente come ora ha fatto l'atletica. Una soluzione che esclude la quasi totalità degli atleti transgender, la cui transizione solitamente inizia più tardi. E che ha fatto molto discutere negli Usa, dove Lia Thomas - campionessa transgender - ha infranto tutti i record dei campionati universitari candidandosi al ruolo di prossima stella olimpica. La Fina ha peraltro previsto la creazione di una “categoria aperta”, una proposta che nasce a sostegno dell'inclusione di genere, ma che secondo alcuni corre il rischio di una ghettizzazione.
Un divieto è arrivato anche dal rugby mondiale. “Non diciamo di no per sempre”, ha spiegato Coe, dopo l’Esecutivo della World Athletics. Finora la federazione mondiale chiedeva alle atlete transgender di ridurre la quantità di testosterone nel sangue a un massimo di 5 nmol/L (nanomoli per litro) e di rimanere sotto questa soglia ininterrottamente per un periodo di 12 mesi prima della competizione. Ma ora il bando è completo. Di fissare nuove regole si occuperà una commissione ad hoc, guidata da un'autorità indipendente, con la partecipazione di scienziati dello sport e di un rappresentante transgeder. “Saremo guidati in questo dalla scienza sulle prestazioni fisiche e sul vantaggio maschile che inevitabilmente si svilupperà nei prossimi anni - ha aggiunto lord Coe -. Man mano che saranno disponibili ulteriori prove, rivedremo la nostra posizione, ma crediamo che l'integrità della categoria femminile nell'atletica sia fondamentale”. E su questa linea, l'atletica ha anche rivisto i criteri di partecipazione tra le donne di atlete iperandrogine, come Caster Semenya. Dovranno ridurre il loro livello di testosterone nel sangue al di sotto di 2,5 nanomoli per litro, da cinque, e devono rimanere sotto questa soglia per due anni per competere a livello internazionale nella categoria femminile in qualsiasi evento di atletica leggera. Finora, le limitazioni riguardavano solo le gare dai 400 metri in su.
“È sempre difficile prendere una posizione quando confliggono i diritti di due gruppi, ma noi abbiamo scelto di tutelare le donne”, ha spiegato Coe, nel giorno in cui la sua federazione ha tra l'altro anche ribadito l'esclusione dalle gare internazionali di russi e bielorussi, piazzando un bell'ostacolo sull'intenzione Cio di ammetterli a Parigi 2024 come neutrali. Ma c'è anche un'altra ferita che attraversa lo sport mondiale. Lo scorso novembre il