Lo sport accetterà mai l’omosessualità? L’ultimo caso nel rugby: “Le relazioni lesbiche andrebbero cancellate”

Fare coming out nel mondo dello sport resta ancora oggi un tabù. L'ultimo esempio di come l'omosessualità non venga accettata ci viene dal rugby femminile nelle Fiji. Eppure combattere l'omofobia non sarebbe fondamentale per creare una società più giusta ed equa?

di EDOARDO MARTINI
6 febbraio 2025
Sono circa 2,5 milioni le donne che praticano il rugby femminile nel mondo

Sono circa 2,5 milioni le donne che praticano il rugby femminile nel mondo

Come mai ogni volta che un atleta, in qualsiasi sport, dichiara la proprio omosessualità, quest'ultima fa notizia? Semplice. Nonostante non sia più considerata una malattia mentale dal 1990, fare coming out risulta ancora oggi un tabù. Un “atto di coraggio“ che molti sportivi si rifiutano di fare per paura delle critiche e dei “chiacchiericci“ successivi. E nonostante la società si stia evolvendo, sono molti gli esempi nei quali lo sport non accetta l'omosessualità.

Il “problema” dell'omosessualità nello sport

L'ultimo, in tal senso, ci viene dal Sud del Pacifico, dove la direttrice del rugby delle Fiji, Laijipa Naulivou, ha dichiarato che l'omosessualità nello spogliatoio ha influenzato in negativo le performance della squadra femminile. “Le giocatrici figiane di rugby hanno i loro diritti, ma se avere una relazione omosessuale influisce sulla squadra, allora dovrebbe essere cancellata. Chi ha giocato con me sa che non tollero l'omosessualità femminile nel rugby”, le parole della donna. Immediata la risposta del direttore esecutivo del Movimento per i diritti delle donne delle Fiji, Nalini Singh, che ha messo in evidenza come queste dichiarazioni non fanno altro che alimentare stereotipi di genere: “L'idea che essere gay sia un problema nel rugby femminile è profondamente preoccupante e perpetua stereotipi dannosi che non hanno posto negli sport o nella società moderna”.

La questione sollevata nel 2014 da Philipp Lahm

 Ed è proprio questo il problema. Allo sport, ma anche alla società in generale, manca la capacità di accettare. Questione sollevata già nel 2014 dall'ex capitano della nazionale tedesca, Philipp Lahm, che nel suo libro Das Spiel. Die Welt des Fussbals, ha cercato di spiegare il mondo del calcio dall'interno suggerendo che i calciatori non dovrebbero dichiararsi omosessuali. Il motivo? “Non potrebbero contare sulla stessa maturità nei suoi avversari o sui campi e dovrebbero sopportare insulti e diffamazioni“.

Un “calcio” all'omofobia 

Il calciatore del Cagliari Jakub Jankto mentre bacia il suo compagno (Instagram)
Il calciatore del Cagliari Jakub Jankto mentre bacia il suo compagno (Instagram)

Da quel 2014 però di tempo ne è passato e di “calci“ all'omofobia ne sono stati dati tanti. Il caso più recente è quello di Jakub Jankto, centrocampista del Cagliari, che ha dichiarato la propria omosessualità sui social. Tra l'altro, è diventato il primo e, ad oggi, anche l'unico calciatore dichiaratamente omosessuale in Serie A. Riavvolgendo il nastro e spostandoci in Spagna, troviamo Víctor Gutiérrez, pallanuotista della nazionale, che ha reso pubblica la sua omosessualità in un'intervista del 2016 alla rivista Shangay, diventando così il primo atleta di sport di squadra d’élite a parlare apertamente del suo orientamento sessuale. E poi la tennista francese Amelie Mauresmo, il rugbista britannico Gareth Thomas, lo sciatore professionista britannico Gus Kenworthy, il pattinatore spagnolo Javier Raya e molti altri nomi. Tutti sportivi che non hanno avuto paura di mostrare chi sono veramente. 

Quando gli insulti omofobi cancellano un momento di gioia

Se a quest'ultimi, il coming out è andato bene, c'è a chi invece questo momento di gioia è stato rovinato da una pioggia di insulti omofobi. Stiamo parlando della calciatrice brasiliana e attaccante del Manchester United Geyse Ferreira, che dopo aver pubblicato una foto con la sua fidanzata, ha dovuto fare i conti con i soliti leoni da tastiera. “Questi attacchi, oltre a essere profondamente offensivi, riflettono una mentalità che non è in linea con i valori di rispetto ed empatia che dovremmo promuovere come società. Non rimarrò in silenzio di fronte ai pregiudizi. Continuerò a vivere e condividere la mia vita con autenticità e coraggio“, ha scritto la calciatrice. Stessa sorte toccata all'attaccante del Chelsea Sam Kerr che su Instagram, a novembre dell'anno scorso, aveva annunciato la gravidanza della sua compagna, la centrocampista del West Ham Kristie Mewis. 

Una società senza discriminazioni 

Insomma, nonostante qualche esempio positivo, sembra che il mondo dello sport non accetti ancora i coming out. E questo è un gran peccato perché quest'ultimo avrebbe il potenziale per funzionare da veicolo di cambiamento reale. Che poi combattere l'omofobia sarebbe necessario per creare una società più giusta ed equa. Una società dove tutti gli atleti e le atlete potrebbero competere al massimo delle loro potenzialità, liberi/e da discriminazioni e da tutti quei “chiacchiericci“ di cui facevamo esempio in precedenza.