
Luciana Castellina, politica e scrittrice italiana, parlamentare comunista, più volte eurodeputata
Il femminismo, oggi. La questione femminile, le conquiste delle donne: e il rischio che tutto sia messo di nuovo in discussione. E poi Zelensky, Trump, Putin e l’Europa. Di questo e altro parliamo con Luciana Castellina, giornalista e scrittrice, militante politica, parlamentare, più volte eurodeputata e tra i fondatori de “il manifesto”, 94 anni di splendida lucidità. Siamo a Testo, la fiera del libro che si è conclusa il 2 marzo a Firenze alla Stazione Leopolda, dove Luciana Castellina ha dialogato con Giulia Siviero sul tema "Fare femminismo, dalla caduta del fascismo ad oggi".
Luciana Castellina, come vede oggi il femminismo, le battaglie delle donne, in un momento in cui la società italiana va molto a destra?
“Non sono pessimista. Noi donne abbiamo fatto tante battaglie, abbiamo ottenuto tante conquiste. Che non sono date una volta per tutte, che dobbiamo difendere e che dobbiamo ampliare. Ma ho fiducia nelle donne. Certo, se nessuna si impegna, il rischio è che Giorgia Meloni ci tolga i diritti che abbiamo conquistato”.
Quali diritti delle donne sente più a rischio?
“I figli. A un certo punto potrebbe dire: ‘Nessuno fa più figli, quindi alle donne impedisco di lavorare, per spingerle a fare figli e a stare a casa’”.
Anche se ci sono molte più donne, adesso, nei ruoli chiave della società.
“Benissimo, ma andiamo a vedere le cifre: le donne sono maggioranza, adesso, nella magistratura, nel settore sanitario, persino fra i manager. Ma gli uomini manager hanno figli al 90 per cento, mentre fra le donne manager solo il 30 per cento hanno figli. Che cosa vuol dire? Che per la carriera hanno dovuto rinunciare ai figli. E questo accade non soltanto per i ruoli dirigenziali”.
Che cosa dovrebbe fare, invece, un governo?
“Lavorare sui nidi, sulle strutture che permettono ad una donna di lavorare e di fare figli”.
L’episodio dell’altro giorno, lo scontro fra Trump e Zelensky, che riflessioni le ha fatto nascere?
“Trump è ributtante. Ma mi fa ancora più schifo l’Europa che pensa di essere nel giusto, e intanto caccia i migranti come fossero banditi. E che non è stata capace di fare un passo di diplomazia, in tre anni, per arrivare a una soluzione del problema ucraino. E invece l’Europa è responsabile: i migranti migrano per gli effetti della colonizzazione europea. E per quello che riguarda la guerra, se non vuoi la guerra non puoi circondare la Russia di basi Nato”.
Da che cosa dovrebbe ripartire la sinistra, in Italia?
“Dalla rete, dal collettivo, dallo stare insieme, dal decidere insieme. Nelle piccole cose, come nelle grandi. Oggi i giovani non vanno neanche a votare, e qualche ragione ce l’hanno. Non si sentono chiamati in causa, non si sentono protagonisti. Non si sentono coinvolti in prima persona. Bisogna coinvolgerli. E non soltanto loro”.
Ha in mente un modello?
“Sì: da qualche anno lavoro molto nei quartieri. E lì, nei quartieri, coinvolgiamo anche i pensionati, che nel quartiere ci vivono, e immaginano le soluzioni meglio dei politici. Bisogna parlarsi, fare rete, comunicare. È lo stesso concetto anche per la lotta al degrado, alla micro delinquenza, allo spaccio”.

A che cosa si riferisce?
“Penso al decreto Caivano. Per Giorgia Meloni, la soluzione per fare tornare l’ordine nelle cittadine a rischio è mandare la polizia. Io sono contro questo modello. Nei quartieri dove lavoro, siamo riusciti a fare nascere una palestra, per togliere i ragazzini dalla strada e educarli allo sport. Creiamo palestre, creiamo scuole, invece di mandare la polizia”.
La democrazia è a rischio, oggi?
“L’ondata di individualismo sfrenato ha portato anche all’esaurirsi della democrazia. Abbiamo vissuto trent’anni di benessere e di pace, e questo ci ha permesso una relativa calma sociale. Ma adesso i tempi sono cambiati, sono più difficili”.
Ci sono rischi concreti per la democrazia?
“La democrazia non è data una volta per tutte, può regredire. Mi dà fastidio anche l’abuso della parola ‘diritti’. Parlare di diritti significa spesso: mi guardo l’ombelico e grido che cosa voglio, di che cosa ho bisogno. Al posto di ‘diritti’, preferirei usare la parola ‘responsabilità’”.
Una rivoluzione, secondo lei, è ancora possibile?
“La mia generazione sognava di cambiare il mondo. Sembrava, dico la verità, più facile di quanto sembri oggi. Ma cominciamo col cambiare quello che accade sotto casa. Cambiamo la fontanella del quartiere. Ripartiamo dalla fontanella, per cambiare il mondo”.