Alessia Piperno è nata a Roma nel 1992, è una travel planner per lavoro e per passione. Ama viaggiare, girare il mondo, conoscere nuove culture e osservare posti nuovi. Non va mai nello stesso due volte, o almeno l'intento è questo, perché c'è troppo da esplorare. Nel 2016 inizia il suo viaggio in solitaria, che la porterà in 50 nazioni diverse. Ma una in particolare le lascerà un segno più profondo: l'Iran.
Era il 2022 quando Alessia lo sceglie come tappa, anno in cui le coscienze del Paese hanno iniziato a scuotersi all'unisono provocando un terremoto, ma Alessia non poteva immaginare che ne sarebbe stata in qualche modo inghiottita. Il 28 settembre, giorno del suo trentesimo compleanno, Alessia si trovava a Teheran . Da circa una decina di giorni era morta Mahsa Amini e per le strade, nelle piazze, riecheggiavano le urla “Donna, vita, libertà”. È in quel momento che Alessia Piperno smette di essere una semplice viaggiatrice, una turista, e diventa un fatto di cronaca riportato da tutti i media italiani. Con lei, ospite all'Edera Fest a Firenze , abbiamo ripercorso quei momenti.
Ci racconta cos'è accaduto quel giorno?
"Era il giorno del mio compleanno e io ho sempre odiato festeggiarlo, invece quello lo ricordo come il più bello della mia vita. Stavo bene lì in Iran, Teheran è un posto che amo, avevo fatto amicizia con un gruppo di turisti e avevamo deciso di trascorrerlo insieme. Poi è successo una cosa non prevista. Quella sera ci hanno bloccato delle guardie. Erano vestite in borghese, quindi lì per lì non abbiamo subito capito cosa stesse accadendo. Abbiamo realizzato quando ci hanno portato nella prigione di Evin, nel settore 209, che è quello dove sono detenuti gli oppositori politici. Mi sono ritrovata lì, pur non avendo mai preso parte a quelle proteste, non perché non ne condividessi la ragione, ma perché non ho avuto il coraggio Erano proteste violente».
È stata in prigione per 45 giorni, cosa ha vissuto?
"Sono stata molto male, più che altro perché continuavano a dirmi che ci fossi rimasta dieci anni. Avevo paura di non poter più riabbracciare la mia famiglia. Non poterli sentire, mi hanno concesso di chiamarli solo due volte, è stata la parte più difficile" dell'esperienza. Oltre al fatto che mi sono avvicinata a una realtà che fino a poco tempo prima avevo visto solo in tv o sui giornali. Vedere coi propri occhi, vedere le condizioni di quella prigione, sono immagini che non rimuoverò mai dalla mia mente ”.
Cosa si porta dietro di quei giorni?
"La disperazione e il fatto che queste persone non hanno deciso di vivere in Iran, che per me è uno dei Paesi più belli al mondo però purtroppo è nelle mani di un regime dittatoriale, e non hanno la stessa fortuna che invece ho io, che ho la libertà di fare tutto quello che mi passa per la testa”.
Ricorda la prima chiamata che hai fatto ai tuoi genitori?
"Non la dimenticherò mai. Ero sparita da quattro giorni. Non volevano farmi parlare con loro, così ho iniziato a non mangiare. Al quinto giorno mi hanno permesso di chiamare a casa. È stata una telefonata particolare, ha risposto mia madre al telefono e io le ho detto che l'amavo immensamente e che mi trovavo in prigione pur non avendo fatto nulla. Non sono riuscito a sentire la sua risposta perché mi hanno tolto il telefono dalle mani io è stato un incubo perché non sapevo come loro avevano reagito”.
In che condizioni ha vissuto in quei giorni?
"Il settore 209 è più un centro di tortura. Su di me non hanno fatto nulla di fisico, ma mentalmente mi hanno messo a dura prova. Mi dicevano che dovevo rimanere lì dentro per 10 anni, che mia madre era morta. Poi ti umiliano. Non ci sono letti, si dorme per terra su coperte che non avranno mai lavato, con le blatte e la sporcizia intorno. Ci veniva concesso di respirare aria all'aperto per dieci minuti a settimana, quando eravamo fortunati, che poi non era nemmeno un cortile, ma una cella alla quale mancava una parte di tetto. Quello che io ho iniziato a chiamare il 'quadrato di cielo'. Potevamo fare la doccia una o due volte a settimana. A me, che sono vegetariana, solo gli ultimi giorni mi hanno portato un po' di verdure, altrimenti ci davano sempre carne. In tanti, infatti, mi hanno chiesto perché non mangiassi la carne neppure in quelle condizioni. Per me era un modo per non perdere me stessa, ho provato a farlo fino alla fine”.
A cosa si appigliava in quei momenti?
“All’amore per la mia famiglia”
È riuscita a preservare se stessa? C'è un prima e un dopo Evin?
"Sì, come per ogni capitolo della nostra vita. Per me l'Iran è un capitolo molto importante. Tornassi indietro rifarei le stesse scelte: andrei a Teheran e mi rifarei quei 45 giorni in prigione, perché mi hanno insegnato tanto e mi hanno fatto conoscere lati di me fino a quel momento sconosciuti. Riprendermi è stato un percorso, più che altro lasciar andare quello che avevo visto, sapere che mentre io ero di nuovo libera, di nuovo a casa, c'era chi era ancora costretto tra quelle mura. Questo è stato un pensiero che non mi ha permesso di godere appieno della mia ritrovata libertà. Per fortuna quello che amo è rimasto com'era. Continuo e continuerò a viaggiare, da sola o in compagnia. Continuerò ad amare l'Iran. solo con delle conoscenze ed esperienze diverse”.
Le piacerebbe tornare?
"Dopo aver scritto il libro (Azadi! ndr) credo che non mi darebbero nemmeno il tempo di scendere dall'aereo che mi porterebbero direttamente a Evin. A parte tutto, mi piacerebbe molto tornarci ma so che sarebbe incosciente da parte mia. Non sarei la benvenuta. Ma magari un giorno..."
Che progetti ha per il futuro?
"Spero che il mio futuro sia esattamente com'è oggi il mio presente. Non cambierei niente".