Almeno 214: è il numero, enorme, di condanne a morte eseguite in Arabia Saudita solo nei primi 9 mesi del 2024. Una mole di esecuzioni che non si vedeva dal 1990, secondo quanto denuncia Amnesty International. E il numero reale potrebbe essere più alto, visto che spesso le esecuzioni vengono fatte in segreto. Il ‘record’ del 2024 supera di gran lunga quello del 2023 quando le condanne eseguite erano state 172 in 12 mesi.
Il dato è riportato nel documento sottoscritto in occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte e, per dirla con le parole delle Ong che lo hanno redatto, “segna il totale rovesciamento di una precedente moratoria annunciata dall’Arabia Saudita su questo tipo di reati”. Nel 2018 infatti il principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman si era impegnato a ridurre l’uso di queste condanne capitali, ma il numero di esecuzioni, fatti salvi gli anni del Covid, ha continuato a salire, fino appunto a raggiungere i numeri di quest'anno.
Chi finisce nelle mani del boia
Nelle mani del boia sono passate persone condannate per reati legati alla droga, ma anche persone incarcerate per aver espresso il proprio dissenso online, e non di rado minorenni. Quattro esecuzioni su 10 tra quelle eseguite nel 2024 riguardavano reati considerati non gravi in base all’articolo 6.2 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici. In particolare, tra le 214 esecuzioni del 2024 (dato al 9 ottobre), 59 sono state comminate per reati legati alla droga, tra questi 46 erano stati commessi da persone straniere, tra cui due cittadini egiziani giustiziati lo scorso 28 settembre.
Sono state punite con la pena di morte anche molte persone che avevano protestato in modo pacifico, esprimendo il proprio dissenso, o richiedendo riforme politiche e la tutela dei diritti umani. Come nel caso di Mohammed al-Ghamdi, ex insegnante di 55 anni, condannato per i suoi post in rete: la sentenza nei suoi confronti è stata poi ridotta a 30 anni di detenzione.
“Siamo sconvolti dal crescente numero di esecuzioni nel Paese. Questo dimostra il disprezzo delle autorità saudite per il diritto alla vita e contraddice il loro stesso impegno a limitare il ricorso alla pena di morte”, scrivono Human Rights Watch, Amnesty International, Alqst per i diritti umani (Ong saudita, il cui nome richiama la parola araba per “giustizia”), Reprieve, l’Organizzazione saudita europea per i diritti umani (Esohr, ong con sede a Berlino), Mena rights group ed Ecpm-Insieme contro la pena di morte.
Pena di morte, esecuzioni in crescita
Va detto che purtroppo l'Arabia Saudita si trova in 'buona compagnia': infatti, se a fine 2023 il numero degli Stati in cui è stata abolita la pena di morte è salito a 112, le sentenze capitali emesse in 52 Paesi sono state 2.428, in aumento rispetto alle erano 2.016 del 2022. Mentre e sono più di 27 mila le persone incarcerate con una condanna alla pena di morte.
Le esecuzioni nel 2023, quelle almeno di cui si ha notizia certa, sono 1.153, con un aumento del 31% rispetto al 2022. A guidare la macabra classifica, oltre all'Arabia, ci sono la Cina, l'Iran la Somalia e naturalmente gli Stati Uniti.
“Mentre continuano a perpetrare questi abusi, le autorità saudite stanno cercando di ripulire l’immagine del Paese a livello internazionale. È importante che la comunità internazionale non si lasci abbagliare da queste distrazioni, ma si concentri sulla realtà, ovvero il picco di esecuzioni e la repressione della libertà di espressione”, scrivono le ong. La richiesta alle autorità saudite da parte delle sette ong firmatarie del rapporto è una moratoria sulle esecuzioni. Ma l’obiettivo finale è l’abolizione della pena di morte per tutti i crimini.
E in attesa di raggiungere questo risultato, chiedono al Paese di eliminare l’uso della pena di morte nei confronti di minorenni e per reati non gravi.