Una vita scandita da un prima e un dopo. L'incidente stradale seguito da
12 anni di tetraplegia. E poi una
battaglia legale che si è conclusa con una svolta storica.
Mario (nome di fantasia) è la
prima persona in Italia che legalmente ha potuto scegliere il suicidio medicalmente assistito. E prima di farlo ha deciso che era arrivato anche il momento di svelare al mondo la sua vera identità: non si chiamava "Mario", come abbiamo imparato a conoscerlo, ma
Federico Carboni. Aveva
44 anni e viveva a
Senigallia, in provincia di Ancona. "Vi auguro buona fortuna, vi voglio bene", ha detto sul letto d'ospedale. Poi ha premuto il tasto per azionare l' "aggeggio" come lo chiamava lui, per far arrivare alle vene il farmaco mortale. E'
deceduto alle 11.05 di una mattina afosa di giugno. Il
16 giugno, per la precisione, una data che rimarrà nella storia del nostro Paese, perché ha
sancito un prima e un dopo senza precedenti.
Un passo avanti significativo nella lotta per la libertà di scelta dei pazienti
"Il fine vita ha un costo, ma lo Stato non se ne fa carico"
"In assenza di una legge, lo
Stato italiano non si fa carico dei costi dell'assistenza al suicidio assistito e dell' erogazione del farmaco, nonostante la tecnica sia consentita dalla
Corte Costituzionale con la
sentenza Cappato/Dj Fabo". A denunciarlo era stata l'
Associazione Coscioni che aveva attivato subito una
raccolta fondi per Mario. Perché morire in Italia ha un costo che ricade sul paziente. Nel suo caso la somma era di
5mila euro. Grazie a una
"straordinaria mobilitazione", la cifra che è stata raccolta ha superato di gran lunga l'equivalente necessario per
sostenere le spese della strumentazione e del farmaco. Mario non ha perso l'occasione di ringraziare chi lo ha aiutato nel suo ultimo viaggio. "Grazie a tutti - ha dichiarato - per avere coperto le spese del 'mio' aggeggio, che poi lascerò a disposizione dell'Associazione Luca Coscioni per chi ne avrà bisogno dopo di me. Continuate a sostenere questa lotta per essere
liberi di scegliere".
Legge sul fine vita, una manifestazione di protesta dell'Associazione Luca Coscioni
Suicidio assistito, la legge che non c'è
La storia di "Mario" è un passo in avanti sul fronte del
fine vita. Ma comunque in Italia continua a non esserci una legge che ne definisca le regole e i confini (approvata lo scorso marzo alla Camera è rimasta incagliata in Senato). E non c'è malgrado il richiamo della
Corte Costituzionale che nel
2019 sollecitò il
Parlamento ad approvarla. La Corte si stava esprimendo sul caso di
Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Coscioni che aveva accompagnato in Svizzera a morire Fabio Ridolfi,
dj Fabo, tetraplegico dopo un incidente stradale. Tutto questo per annullare le atroci sofferenze che stava vivendo. Cappato non era punibile perché il caso di dj Fabo rispettava tutte e
quattro le condizioni fondamentali che permettono la pratica: essere tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitali; essere affetti da una patologia irreversibile; essere affetti da una patologia fonte di sofferenze intollerabili; essere pienamente capaci di prendere decisioni libere e consapevoli. Anche per Federico Carboni valevano queste condizioni, riconosciute dalla sua Asl di riferimento (la Asur Marche) dopo quasi
due anni di battaglie legali, fra cause penali, ricorsi, diffide. "Due anni di
ostinazione e determinazione", come li ha definiti
Cappato, in prima linea al capezzale di Federico insieme a
Filomena Gallo, avvocata e Segretaria nazionale dell' Associazione Coscioni, ma anche a parenti ed amici. Inchiodato al letto e sofferente più di sempre per un’infezione che lo tormentava da settimane, "Mario" se ne è potuto andare sereno.
Ridolfi chiedeva il suicidio assistito allo Stato Italiano, ma dopo i continui ritardi ha scelto la sedazione profonda