Il costo umano della guerra di Israele a Gaza, che dura da più di un anno, non si misura solo con le vittime, con i morti, ma anche con le vite che, a causa del conflitto, sono cambiate per sempre. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) delle Nazioni Unite stima che almeno 94mila persone siano rimaste ferite e più di 24mila – un cittadino di Gaza su 100 – hanno riportato lesioni permanenti, incluse gravi ustioni, traumi alla testa e alla colonna vertebrale e amputazioni di arti.
Allo stesso tempo, è diventato praticamente impossibile lasciare Gaza per ricevere cure mediche e solo 16 ospedali su 36 stanno funzionando, concentrandosi però sulle emergenze e le prestazioni più urgenti, che non possono essere interrotte, mentre tutti i servizi di riabilitazione sono quasi ovunque interrotti. Secondo l'OMS, è disponibile solo il 12% delle attrezzature necessarie per i feriti, come sedie a rotelle e stampelle.
Il fabbro
In piedi tra due sbarre fissate alle pareti di una clinica mobile a Rafah, nel sud di Gaza, Rizeq Tafish ha il volto concentrato mentre compie i suoi primi passi in quattro mesi. “Prima provavo solo tristezza e disperazione. Ora sento felicità e libertà” dice sorridendo dopo l’esercizio. Rizeq, un fabbro di cui la BBC riporta la testimonianza, è uno dei primi tra migliaia di feriti palestinesi che dovrebbero ricevere nuove protesi da medici giordani utilizzando la tecnologia britannica avanzata. Sfollato a Rafah, è stato ferito a giugno da uno colpo di carro armato israeliano mentre usciva dalle preghiere del venerdì. Con la gamba amputata non poteva più lavorare e si sentiva disperato. “Ho perso tutta la mia vita: il mio lavoro e la mia speranza – spiega l’uomo –. Non c'era nessuno a prendersi cura di mia moglie e del mio bambino. Avevo bisogno di aiuto anche per usare il bagno”.
I bambini
Misk ha 18 mesi e aveva appena imparato a camminare. Ora fatica a stare in piedi sull'unico piede buono che gli è rimasto. Ma Hanan, che ha 3 anni, ha ferite molto più gravi: è stata letteralmente scagliata fuori dall'appartamento al primo piano dove abitava con la sua famiglia. “Cerchiamo di distrarla, ma lei chiede sempre di sua madre – racconta la zia Sheifa – e chiede anche: ‘Dove sono le mie gambe?’. Non so cosa dirle”, aggiunge la donna in lacrime. Dalla tristezza passa alla rabbia: “Ho chiesto all'esercito israeliano perché le al-Doubris (case residenziali, ndr) sono state prese di mira, ma non ho ricevuto risposta”.
Gli abitanti del luogo ritengono che il padre delle ragazze, un poliziotto ricoverato in terapia intensiva, possa essere stato preso di mira. Israele ha attaccato molte persone che lavoravano per le forze di sicurezza nella Gaza governata da Hamas. Ma a farne le spese sono soprattutto civili e bambini o ragazzi senza alcuna colpa.
L’adolescente
Con i droni israeliani sopra la testa, Diya al-Adini, 15 anni, osserva la distruzione vicino a casa sua, a Deir al-Balah. Al collo ha la sua macchina fotografica digitale, il bene più prezioso che ha, acquistato con mesi di risparmi. Ma non può più usarla da sola, non ha più le braccia. Ad agosto, infatti, stava giocando al computer in una caffetteria quando Israele l'ha bombardata. “La velocità del razzo mi ha reso difficile reagire. Dopo il colpo, ho perso conoscenza per alcuni secondi”, ricorda l’adolescente. “Quando mi sono ripresa, era tutto bianco. Mi sembrava di guardare un film. Ho cercato di alzarmi, ma non riuscivo a muovermi; non avevo mani per aiutarmi”. Diya amava nuotare e portare a spasso i suoi cani, faceva commissioni in bicicletta e fotografava paesaggi. Ora si affida alla sorella maggiore, Aya, per scattare le foto. Ma è determinata a restare positiva: “Sto cercando di pianificare un futuro migliore, in modo che, dopo aver ricevuto le protesi, possa lavorare sodo ed eccellere per diventare una fotografa famosa – dice –. Ho bisogno dei miei arti per tornare alla mia fotografia e a tutto ciò che ho amato”.
Le protesi innovative
Rizeq, Misk, Anan, Diya: vite diverse, età diverse, situazioni purtroppo simili, accomunate dalla perdita di una parte di sé a causa della guerra che sta devastando la loro terra e le loro esistenze. Che potrebbero trovare anche una speranza comune nel programma sanitario giordano, che utilizza protesi innovative di due aziende britanniche, Koalaa e Amparo, più facili da montare e dotate una nuova tecnica di stampaggio diretto per gli arti inferiori, in modo da evitare mesi di attesa e innumerevoli adattamenti.
“Si tratta di un nuovo tipo di protesi. La sua caratteristica principale è la rapidità di fabbricazione. Significa che sarà pronta per il paziente entro una o due ore”, spiega il medico dell'esercito giordano, tenente Abdullah Al-Hemaida, che ha montato in quattro e quattr’otto la gamba sostitutiva a Rizeq. Il suo team medico ha già aiutato decine di amputati. Ogni protesi costa circa 1.400 dollari, finanziati interamente dallo Stato giordano e da un ente di beneficenza nazionale. Ogni protesi viene registrata digitalmente per consentire il monitoraggio a distanza e le procedure di follow-up. Se la sicurezza lo consentirà, l’esercito prevede di portare a Gaza due unità mobili, perché c'è un enorme bisogno di protesi in tutto il territorio e per tutte le fasce d'età.