Giulia Cecchettin, Filippo Turetta racconta il femminicidio: le grida d’aiuto spente nella violenza

Lo studente 22enne padovano, reo confesso e in carcere dal 25 novembre scorso, ha ripercorso nell’interrogatorio la serata con l’ex fidanzata sfociata nel delitto. “Non era giusto vivesse senza di me. Le ho dato dieci, dodici coltellate”

di MARIANNA GRAZI
22 giugno 2024

Non aveva scampo. Non c’era futuro per lei. Quel futuro sperato, desiderato, iniziato a costruire senza Filippo Turetta. Quando Giulia Cecchettin gli ha rivelato di voler andare avanti nella sua vita, lui ha messo in atto quel piano criminale già pensato, ipotizzato. L’ha uccisa a sangue freddo, tra le grida d’aiuto della 22enne di Vigonovo sotto le coltellate dell’ex fidanzato, guardandola negli occhi mentre la sua luce si spegneva nel sangue.

Le coltellate di Turetta a Giulia Cecchettin

“Le ho dato, non so, una decina, dodici, tredici colpi con il coltello. Volevo colpirla al collo, alle spalle, sulla testa, sulla faccia e poi sulle braccia”, afferma Filippo Turetta, il giovane accusato della morte di Giulia Cecchettin, nel verbale di interrogatorio al pm, reso noto ieri sera dalla trasmissione “Quarto Grado” di Rete4.

Parole che fanno stare male chi le scrive e, immaginiamo, anche chi le legge. Parole che sembrano a loro volta coltellate, che provocano un dolore sordo, freddo, angosciante. Parole che evocano lucidamente la scena di quel femminicidio che ha scosso tutte e tutti. “Era rivolta all'insù verso di me – aggiunge Turetta –. Si proteggeva con le braccia dove la stavo colpendo. L'ultima coltellata che le ho dato era sull'occhio. Era come se non ci fosse più. L'ho caricata sui sedili posteriori e siamo partiti”.

Era gà morta, ai suoi occhi, dopo i suoi rifiuti. Non restava che rendere tale anche il suo corpo, straziandolo e poi sbarazzandosene. A 21 anni (ne ha compiuti 22 in carcere lo scorso dicembre). Infierendo, con consapevolezza e crudeltà, contro quella che era stata a lungo tempo la fidanzata, la cotta e poi la relazione del liceo, adolescenziale, che spesso sono quei primi amori che non si dimenticano per il resto della vita, anche quando questa va avanti. Segnando per sempre il suo futuro e tranciando di netto quello di Giulia. 

Il racconto del femminicidio 

I regali rifiutati, la rabbia che sale quando capisce di averla persa, il coltello che affonda mentre lei grida ‘aiuto’ e tenta di parare i colpi. Nel racconto di Filippo Turetta traspare l'angoscia degli ultimi momenti di vita della laureanda in Ingegneria biomedica uccisa dall'ex fidanzato e compagno di studi l'11 dicembre scorso.

Nel carcere di Verona, durante l’interrogatorio del primo dicembre scorso – ma reso pubblico solo ora – davanti al pubblico ministero di Venezia Andrea Petroni, il giovane ripercorre il suo legame con Giulia: “Ci siamo messi insieme nel gennaio 2022, abbiamo sempre avuto un bellissimo rapporto. C'era stata una mini crisi nel marzo 2023, ma dopo due settimane siamo tornati insieme”. Poi la confessione, in cui ricostruisce la serata trascorsa a fare shopping e la cena al centro commerciale "La Nave De Vero” di Marghera, dove sono rimasti fino alle 23. Quindi il viaggio di ritorno con l'auto che si ferma in un parcheggio a 150 metri da casa Cecchettin.

“Siamo tornati verso casa di Giulia – ha proseguito – ma ci siamo fermati in un parcheggio a Vigonovo, per non farci vedere. Era successo altre volte, era d’accordo. Volevo darle un regalo, una scimmietta-mostriciattolo. Con me avevo uno zainetto che conteneva altri regali: un'altra scimmietta di peluche, una lampada piccolina, un libretto di illustrazioni per bambini intitolato ‘I mostri si lavano i denti’. Lei si è rifiutata di prenderlo. Abbiamo iniziato a discutere. Mi ha detto che ero troppo dipendente, troppo appiccicoso con lei. Voleva andare avanti, stava creando nuove relazioni, si stava sentendo con un altro ragazzo, Eric. Ho urlato che non era giusto, che avevo bisogno di lei. Che mi sarei suicidato. Lei ha risposto decisa che non sarebbe tornata con me. È scesa dalla macchina gridando 'sei matto, vaff..., lasciami in pace’”.

Turetta racconta quindi che era “molto arrabbiato. Prima di uscire anch'io, ho preso un coltello dalla tasca posteriore del sedile del guidatore”. Un fatto inequivocabile, che dimostrerebbe che il pensiero di farle del male, di ferirla per non dire peggio, era già ben presente nella sua mente. “L'ho rincorsa, l'ho afferrata per un braccio tenendo il coltello nella destra. Lei urlava aiuto ed è caduta. Mi sono abbassato su di lei, le ho dato un colpo sul braccio. Mi pare di ricordare che il coltello si sia rotto subito dopo”. Sarebbe quello il coltello trovato rotto in un parcheggio durante le prime perlustrazioni dopo la denuncia di scomparsa della ragazza.

Il racconto prosegue con il giovane che riferisce di aver preso Giulia “per le spalle mentre era per terra. Lei resisteva. Ha sbattuto la testa. L'ho caricata sul sedile posteriore. In macchina lei ha iniziato a dirmi ‘cosa stai facendo? Sei pazzo, lasciami andare’. Era sdraiata sul sedile. Poi si è messa seduta. Si toccava la testa. Pensavo solo a guidare. Poi ho iniziato a strattonarla a tenerla ferma con un braccio. C’eravamo fermati in mezzo alla strada. Ho provato a metterle lo scotch sulla bocca. Non mi ricordo se se l'è tolto o è caduto da solo perché non l'avevo messo bene, è scesa e ha iniziato a correre. Anche io sono sceso. Avevo due coltelli nella tasca, e in auto dietro al sedile del guidatore. Uno l'avevo lasciato cadere a Vigonovo. Ho preso l'altro e l'ho rincorsa. Non so se l'ho spinta o è inciampata. Continuava a chiedere aiuto”. E qui la decina di coltellate che hanno ucciso Giulia Cecchettin. 

Fatti che risalgono a meno di un mese prima da questa confessione, raccontati nei dettagli, evocativi. E orribili. Tremendi, dolorosi, inconcepibili se non si trattasse di un fatto reale, tangibile nella sua drammaticità. Riportati alla luce dal racconto di un giovane uomo di poco più di vent’anni che uccide la ex fidanzata, colpendola con violenza, accoltellandola più e più volte preda di una rabbia insensata, guardandola negli occhi mentre muore. 

“Volevo suicidarmi, ma i miei speravano di trovarmi vivo”

Lo scotch per legare il corpo di Giulia Cecchettin acquistato “per attaccare il papiro di laurea”, i coltelli in macchina “perché avevo avuto istinti suicidi”, il cambio dei vestiti insanguinati “perché ne ho sempre uno con me”. Filippo Turetta ha pensato di uccidersi dopo aver assassinato l’ex fidanzata. Non lo ha mai nascosto, fin dalla sua cattura dopo il tentativo di fuga. Gli è mancato il coraggio, la forza di togliersi la vita, perché “i miei genitori speravano di trovarmi ancora vivo”. O almeno questa è la sua versione, quella riferita al pm nell'interrogatorio.

Turetta, accusato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, crudeltà, efferatezza, sequestro di persona, occultamento di cadavere e stalking, si riconosce nelle immagini ricavate dalle telecamere al distributore di benzina di Cortina d'Ampezzo. “I vestiti sporchi di sangue – ha precisato – li ho cambiati con altri che avevo in macchina. In auto ho sempre un cambio, coperte, qualcosa da mangiare, da bere”.

Poi racconta il viaggio verso il lago di Barcis, il luogo dove ha abbandonato il corpo di Giulia Cecchettin, dicendo che avrebbe voluto togliersi la vita: “Sulla strada per Barcis mi sono fermato in un punto in cui non c'erano case, e sono rimasto un po’ lì. Ho provato anche con un sacchetto a soffocarmi, però anche dopo averlo stretto con lo scotch non sono riuscito, e l'ho strappato all'ultimo. Allora ho preso lei e sono andato a nasconderla”. Lei che non è più Giulia, ma il suo cadavere violato da decine e decine di coltellate. Scaricato a margine della strada, in modo che rotolasse nel canalone, occultato alla visione di chi passava per la strada. 

Infine, la fuga verso la Germania. "Avevo un pacchetto di patatine in macchina - ha dichiarato - e una scatolina con qualche biscotto. Non ho mai comprato nulla da mangiare. I soldi che avevo li ho spesi per rifornimenti di benzina. Volevo togliermi la vita con un coltello che avevo comprato, ma non ci sono riuscito. Pensavo che se avessi fumato e bevuto sambuca sarebbe stato più facile suicidarmi, ma invece ho vomitato in macchina. Ho aperto Google Chrome, cercavo notizie che mi facessero stare abbastanza male da avere il coraggio per suicidarmi, ma ho letto che i miei genitori speravano di trovarmi ancora vivo e ho avuto l'effetto opposto. Mi sono rassegnato a non suicidarmi più, e ad essere arrestato”.

Dopo il rinvio a giudizio Turetta approderà all'udienza preliminare già fissata dal Gup Claudia Maria Ardita il 15 e 18 luglio. Il reo confesso del femminicidio di Giulia Cecchettin, lascerà in quell’occasione per la prima volta il carcere di Montorio (Verona), dov'è rinchiuso dal 25 novembre, per mettere piede in aula di giustizia. Di fatto, se non vi saranno sorprese, l'ultimo passo verso il processo in Corte d'Assise, che potrebbe partire a ottobre. Nessuna ipotesi di rito alternativo: il capo di imputazione lo esclude. Per il 22enne studente padovano il rischio è quello dell'ergastolo.