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Instagram sta testando il pulsante "non mi piace" su video e post
Ebbene sì, Instagram sta testando la funzione “Non mi piace”, una di quelle trovate che, a occhio, sembrano destinate a peggiorare – e di molto – l’ambiente dei social. Nelle ultime ore, non si parla d’altro: il pulsante di disapprovazione è in pole position per alimentare dinamiche di esclusione già tipiche delle piattaforme digitali, contribuendo ad accentuare il fenomeno della cosiddetta reputazione algoritmica. Un meccanismo che, nei fatti, penalizza i contenuti meno apprezzati dalla massa, generando una sorta di censura collettiva, tanto popolare quanto spietata.
Stando a quanto dichiarato da Meta, l’intento sarebbe quello di offrire un nuovo strumento per segnalare contenuti o commenti non pertinenti, migliorando l’esperienza degli utenti. Ma se state pensando a una forma di controllo democratico sui contenuti o a un modo per limitare la tossicità online, siete decisamente fuori strada. Perché non siamo di fronte a un’arma contro la disinformazione o contro gli haters, né a uno strumento per arginare il dilagare delle fake news. No, il tasto dislike rischia di avere effetti ben diversi: radicalizzare ulteriormente la logica della bolla social, quella che ci fa vedere solo ciò che già sappiamo, che ci rassicura, che ci conforta.
L’effetto echo chamber – il meccanismo per cui informazioni, idee e credenze si rafforzano grazie alla loro ripetizione all’interno di un sistema chiuso – rischia di esplodere in modo incontrollato. Perché se già oggi i social network ci mostrano una realtà su misura, eliminando dal nostro campo visivo tutto ciò che non rientra nei nostri schemi, il dislike potrebbe diventare l’ennesimo strumento per rendere il nostro feed ancora più omogeneo e prevedibile.
A poco serve la precisazione di Instagram, secondo cui il numero di dislike non sarà visibile. Il problema non è tanto la pubblica gogna – anche se, volendo, un meccanismo di esclusione sociale potrebbe comunque innescarsi – quanto il modo in cui i contenuti verranno spinti o penalizzati dall’algoritmo. Una notizia scomoda, un pensiero controcorrente, un punto di vista fuori dal coro: basteranno troppi dislike a farli sparire nel nulla.
E a essere più colpiti da questo meccanismo saranno proprio coloro che meno hanno gli strumenti per contrastarlo. I più giovani, che crescono in un ecosistema digitale dove l’approvazione sociale si misura in reazioni e interazioni, rischiano di diventare le vittime perfette di un algoritmo che premia il conformismo e punisce il dissenso. A seguire, ci sono gli analfabeti digitali di ogni età, incapaci di leggere il funzionamento dei social e destinati a finire intrappolati in una narrazione sempre più semplificata e binaria.
E così, un pulsante apparentemente innocuo potrebbe trasformarsi in un’arma a doppio taglio, capace di ridurre ulteriormente lo spazio per il confronto, per il dubbio, per la complessità. Perché se un’idea non piace, la si può affossare. Se un contenuto non è in linea con il pensiero dominante, lo si può marginalizzare. In un mondo dove il dissenso diventa sempre più fragile e l’omologazione sempre più forte, il dislike potrebbe rivelarsi l’ennesima tessera di un puzzle inquietante. Potere agli “stramaledetti cuoricini”? “Grazie, ma no grazie”.