La storia di Manuel, un “ragazzo in gamba”. “Vedere sui social persone con le protesi mi ha dato forza. Ora faccio lo stesso”

Manuel Pascual Castro è uno storico dell’arte e un divulgatore. Amputato per scelta a una gamba che gli causava dolori atroci, ora testimonia che una vita normale e bella è possibile

di MIRKO DI MEO
6 aprile 2025
Manuel Pascual Castro

Manuel Pascual Castro

Manuel Pascual Castro è uno storico dell’arte, prossimo a diventare professore, attivista e, come si definisce lui stesso sul suo profilo Instagram, “un ragazzo in gamba”. Fin da piccolo ha una malattia vascolare al piede sinistro, “nulla di grave”, come racconta. Dopo qualche tempo, gli viene diagnosticato un tumore benigno: “Nulla di pericoloso, ma a causa di un eccesso di circolazione era necessario rimuoverlo”. Un’operazione all’apparenza semplice che, però, ha portato a complicazioni: la ferita post-intervento non si è mai cicatrizzata, costringendo Manuel a convivere con un dolore cronico. Nel 2014 il primo intervento, poi dieci anni di medicazioni autonome, altri due interventi nel frattempo, tanta paura e ansia, fino alla scelta più coraggiosa di tutte: amputarsi la gamba per poter ricominciare.

Una storia particolare la sua. Vuole raccontarcela?

“La parola "amputazione" all’inizio mi spaventava. Immagina sentire a 25 anni che ti devono tagliare una gamba. Per anni ho normalizzato l’idea di vivere con una ferita e un dolore costante pur di non perdere l’arto. Dopo il Covid mi sono trasferito a Roma e ho fatto finta di non avere problemi, li ho ignorati. Ma alla fine del 2023, a 33 anni, qualcosa è cambiato nella mia testa. Camminavo tantissimo – perché sappiamo tutti come sono i mezzi romani (ride) – ma il dolore non mi lasciava più nemmeno dormire. Dovevo prendere farmaci per attenuarlo e riuscire a riposare qualche ora. Oltre al dolore fisico, c’era quello psicologico, insostenibile. Ne stava risentendo anche la mia vita sociale”.

Cosa è cambiato in lei?

“Ho soppesato le due opzioni che avevo: continuare a vivere con un dolore incessante, che mi causava attacchi di panico, ipocondria e ansia generalizzata, oppure amputare. Alla fine del 2023 ho parlato con i dottori e ho spiegato loro che volevo procedere con l’amputazione”.

Come hanno reagito i medici?

“All’inizio con diffidenza. Non volevano procedere perché mi ritenevano troppo giovane. Io, invece, vedevo l’essere giovane come un vantaggio: mi sarei potuto abituare più in fretta alla protesi. Poi ho parlato con il traumatologo e lui, al contrario, era d’accordo con me. Mi ha detto che avevo già affrontato la parte più complessa dell’intervento: l’accettazione di vivere senza un arto”.

La sua è stata una scelta consapevole.

“Esatto. Mi sento privilegiato. Non dirò che è stato facile, mentirei. Ho avuto momenti di negazione, crisi di pianto. Ma ho potuto scegliere il quando, il dove e il come farlo. Non è poco. Io non mi sono svegliato dopo un incidente senza una parte di me. E dopo un intervento del genere, è necessario avere i nervi saldi per affrontare la fisioterapia e la riabilitazione. Io ero pronto. Quando mi sono svegliato dall’operazione, volevo "mangiarmi il mondo". Il fatto di non vivere più con quel dolore 24 ore su 24 mi ha sollevato”.

Le persone attorno a lei come hanno reagito?

“Con rispetto e comprensione. Volevano vedermi felice e sereno”.

Perché è in Italia?

“Sono uno storico dell’arte e ho sempre avuto il pallino per l’Italia. Durante il Covid ho iniziato a studiare italiano e poi ho deciso di mettermi alla prova: prima a Roma, poi a Firenze. L’italiano mi ha salvato la vita, ha dato un senso alle mie giornate durante la pandemia. A Roma ho conosciuto il mio fidanzato e, per ragioni lavorative, ci siamo trasferiti a Firenze”.

Fa divulgazione nelle scuole. Vuole raccontarmelo?

“Parto sempre da due concetti: parole e sguardi. Ognuno deve scegliere come nominarsi. A me piace l’espressione "persona con disabilità". La mia disabilità è una realtà, fa parte di me. È giusto trovare parole giuste e accoglienti, ma insieme al linguaggio deve cambiare anche la mentalità. Anche gli sguardi vanno educati. Quando non indossavo la protesi, la gente mi fermava per strada con sguardi pietosi. Ogni giorno, dieci o quindici persone mi chiedevano cosa mi fosse successo. Mi spaventava la curiosità morbosa. Mi chiedevo: se fossi stato un giovane più fragile, come mi sarei sentito? Quando ho messo la protesi, lo sguardo è cambiato: da "poverino senza una gamba" a "eroe". Per questo, nelle scuole, sottolineo sempre quanto sia importante il modo in cui guardiamo e interagiamo con gli altri. La reazione dei ragazzi è straordinaria. Voglio diventare insegnante per dimostrare che si può fare tutto”.

Cosa l’ha spinta a raccontare la sua storia sui social?

“A me ha aiutato tantissimo vedere persone con una protesi che conducevano una vita "normale". Ricordo un video di una donna in viaggio in Messico con la sua protesi: mi ha tranquillizzato, mi ha dato forza. Le mie pubblicazioni sui social e i miei interventi a scuola hanno lo stesso scopo: portare testimonianza. A volte incontro persone che hanno subito un’amputazione: se posso, vado in ospedale e offro consigli per affrontare il percorso”.

Che rapporto ha con il suo corpo?

“C’è un prima e un dopo. Prima dell’intervento, il mio era un corpo dolorante. Sapevo che la qualità della mia vita sarebbe migliorata, ma avevo paura di vedermi. Poi, un giorno, ho fatto la mia prima doccia da solo, mi sono guardato allo specchio e ho pensato: "Guarda che figo". La gamba mi aveva fatto tanto male, e non vederla più è stato un sollievo. Ho sentito leggerezza. Ora voglio bene al mio corpo, mi prendo cura di me stesso. La fisioterapia mi ha insegnato che dobbiamo assumerci la responsabilità del nostro fisico. Io ho iniziato a camminare con la protesi dopo due mesi, quando in genere ci vogliono cinque o sei. Questo perché mi sono preso cura di me”.

La sua vita sessuale è cambiata? 

“Sarò sincero: vedo che gli altri hanno più interesse in me. Prima, quando mi spogliavo, non toglievo mai le calze, non volevo che nessuno vedesse il mio piede. Ora, invece, non ho alcun problema a togliermi la protesi”.