Main Partner

main partnermain partnermain partner

Partner

main partner

Martina Fuga e la sua Emma: "La disabilità? Sento di avere una figlia non una malattia"

La responsabile della comunicazione di CoorDown: "Ho scoperto che la mia bambina aveva la sindrome di Down quando la tenevo già tra le braccia"

di CATERINA CECCUTI -
20 luglio 2022
Martina Fuga con la figlia Emma(2)

Martina Fuga con la figlia Emma(2)

La nascita di un figlio con disabilità intellettiva cambia la vita in infiniti modi. E non si parla di uno stravolgimento necessariamente o completamente negativo, piuttosto di un cambio di prospettiva che spesso e volentieri porta i genitori a rimettere in discussione se stessi e le proprie priorità, come professionista e come essere umano. È quanto è accaduto anche a Martina Fuga, attualmente responsabile della comunicazione di CoorDown (Coordinamento Nazionale Associazioni delle persone con sindrome di Down), quando nel 2005 ha accolto nella propria vita sua figlia Emma, con sindrome di Down: “Benché all'epoca ce ne fosse già la possibilità, durante la gravidanza non avevo eseguito alcun test di diagnosi prenatale. Ho saputo che mia figlia Emma aveva la sindrome di Down alla nascita, quando già la tenevo tra le braccia e sentivo di avere una figlia, non una malattia”.
Martina Fuga con la figlia Emma che oggi ha 17 anni

Martina Fuga con la figlia Emma che oggi ha 17 anni

A Luce! Martina, che con la sua famiglia abita a Milano, racconta la sua esperienza positiva, nonostante le grandi fatiche che una disabilità comporta, la grande rete di solidarietà che fin da subito ha incontrato nell'associazionismo e l'umanità dimostrata dai medici che l'hanno affiancata nel percorso di accettazione e comprensione della condizione. “La mia fortuna è stata quella di avere avuto subito intorno medici e specialisti che hanno saputo comunicarmi nel modo giusto la diagnosi. Nel corso degli anni ho incontrato genitori di ragazzi con sindrome di Down che si erano sentiti dire cose rudi, violente, come 'Tuo figlio non potrà fare questo e quello' oppure 'Avreste dovuto fare l'amniocentesi!' Quando è nata Emma invece i medici vennero da me e mi chiesero semplicemente: 'Come vede la sua bambina?'. Io risposi che la trovavo bellissima, pur immaginando che se mi avevano fatto una domanda simile era perché dovevano dirmi qualcosa. Nelle ore a seguire sono stata supportata dal personale ospedaliero, una ginecologa venne nella mia stanza con in mano alcune fotografie di suo fratello, anche lui con sindrome di Down, per raccontarmi tante cose della loro vita. Il giorno successivo alla nascita di mia figlia avevo già un'associazione di riferimento che mi diceva cosa aspettarmi e quali opportunità avrei potuto offrire ad Emma. Insomma, l'impatto con la sindrome è stato da subito improntato alle prospettive, alle storie possibili piuttosto che al dolore e all'impossibilità”.

Martina Fuga con la figlia Emma

Martina Fuga con la figlia Emma

È stato un percorso solo positivo? “Ovviamente no. Come tutti quelli che si trovano ad affrontare la mia stessa situazione per la prima volta, anche io sono caduta nel buco nero della non conoscenza. Non avevo mai incontrato una persona con sindrome di Down prima di Emma, non sapevo nulla dell'argomento. Allora mi sono tuffata nel web, nei libri, sono andata a caccia di storie, perché le storie ti offrono prospettive e futuro. È stato un impatto difficile, ma grazie alla rete di supporto che ho incontrato fin da subito è stato un impatto attutito”.

Oggi Emma ha 17 anni. Che tipo è? “Fa la terza superiore, va a scuola da sola in autobus ed è una ragazza molto serena. Una delle mie paure quando è nata era che la disabilità intellettiva potesse in qualche modo impedirle di esprimere quello che sente, quello che vuole. Oggi posso dire che Emma è consapevole, attenta, capace di esprimere stati d'animo e desideri. Forse perché è cresciuta in un contesto sociale e familiare in cui le è stata sempre riconosciuta ogni piccola conquista con entusiasmo e gioia, e questo ha sviluppato  in lei molta autostima. Dei miei tre figli, Emma è la più sicura di sé, nonostante le grandi fatiche che deve affrontare. È una giovane donna piena di interessi e di passioni. Certo, l'arrivo dell'adolescenza si è fatto sentire. Da piccola instaurare relazioni con i coetanei era più semplice e più spontaneo, oggi l'inclusione sociale è un punto critico. Rispetto a quando era bambina fa più fatica ad avere amici normotipici, però in compenso ha diverse amicizie con ragazzi con sindrome di Down. Per il resto è autonoma, usa i mezzi di trasporto, fa teatro e atletica, sa gestire il proprio tempo da sola e a scuola ha delle ottime relazioni con insegnanti e compagni”.

Emma è nata con la sindrome di Down

Emma è nata con la sindrome di Down

I compagni come si comportano? “Personalmente ho molta fiducia nei giovani di oggi, perché sono cresciuti nella diversità più di quanto non sia capitato a noi, dunque sono molto aperti. Bisogna capire però che anche loro sono  alle prese con la ricerca della propria identità ed è giusto che si prendano i loro spazi e i loro tempi per farlo. Non mi sento di colpevolizzarli se qualche volta non invitano Emma a mangiare la pizza o non mostrano riguardi particolari. Devo dire però che quando le amiche la invitano fuori, mia figlia diventa radiosa, come sempre le capita quando può prendere parte a qualche occasione sociale. Nei miei confronti ha continue richieste di autonomia e io, piano piano, devo sfilarmi dalla sua vita e darle lo spazio che chiede”.

Qual è la sua più grande paura nel dare ad Emma l'autonomia che chiede? “Che qualcuno possa approfittare della sua fiducia, della sua grande apertura verso il mondo. Emma è piena di slancio verso il prossimo e se va in autobus da sola non manco mai di farle raccomandazioni sugli sconosciuti. Non ho paure invece legate al suo futuro, a cosa potrà fare. Su questo mi sento molto serena perché credo che sarà in grado di trovare un lavoro e di vivere per conto proprio, con i giusti supporti che saranno necessari”.

Emma ha 17 anni e frequenta la terza superiore

Emma ha 17 anni e frequenta la terza superiore

Le campagne di CoorDown

Professionista del mondo della comunicazione, negli ultimi 17 anni Martina Fuga ha messo a disposizione del mondo del volontariato le proprie competenze e abilità, divenendo responsabile della comunicazione di CoorDown e coordinando importanti campagne di comunicazione internazionali improntate alla sensibilizzazione del pubblico, delle istituzioni e del mondo del lavoro sul tema dell'inclusione e del diritto all'indipendenza delle persone con sindrome di Down: 10 campagne in 10 anni che hanno ottenuto 22 Leoni a Cannes e altri prestigiosi riconoscimenti internazionali. “Dai contesti associativi ho ricevuto tanto e a un certo punto ho sentito il bisogno di offrire alla causa il mio contributo. Gratuitamente volevo restituire quello che mi era stato dato nel corso degli anni, dunque mi sono impegnata in diverse associazioni e nel Coordinamento Nazionale" dice la donna.

Come siete riusciti a raggiungere gli incredibili successi delle campagne di sensibilizzazione registrati negli ultimi 10 anni? “Grazie all'intuizione di due creativi, Luca Pannese e Luca Lorenzini di Small. CoorDown da dieci anni investe molto sulla comunicazione, e questo ci ha portato prima di tutto a un cambio della narrazione sulla disabilità. Abbiamo sfidato il modo di raccontarla al mondo, mettendo in secondo piano i testimonial famosi e portando le persone con sindrome di Down ad essere protagonisti diretti. Senza il solito pietismo, raccontando piuttosto un punto di vista positivo e portando cambiamenti anche nel linguaggio della narrazione. Abbiamo chiesto allo spettatore di smettere di immaginare solo quello che non possiamo fare, ma di concentrarsi piuttosto sulle possibilità, senza creare nuovi miti, senza pretendere che ogni persona con sindrome di Down debba per forza diventare una star dello sport o del cinema. La comunicazione può essere un alleato straordinario per l'inclusione, e noi abbiamo potuto contare su tanti alleati esterni e sulla loro rete di contatti".

Martina Fuga con la figlia Emma

Martina Fuga con la figlia Emma

Esempio virtuoso dell'impegno di CoorDown è stata la campagna “Just The Two of Us, lanciata in occasione del World Down Syndrome Day 2022, un messaggio forte che ha l'intento di cambiare l’immaginario sulle persone con sindrome di Down e abbattere stereotipi e luoghi comuni, portando alla ribalta il maggiore tra i tabù che le riguardano: la sessualità.

“La comunicazione è una della mission di CoorDown, perché siamo convinti che per realizzare l’inclusione sia necessario prima di tutto coltivare una cultura del rispetto di tutte le diversità. Grazie alle campagne di sensibilizzazione si possono fare passi avanti concreti e ottenere benefici tangibili per le persone con sindrome di Down. Ogni anno dopo il lancio della campagna per il World Down Syndrome Day ci poniamo la stessa domanda: che cosa facciamo l’anno prossimo? Sentiamo un’enorme responsabilità sulle spalle, ma Luca Lorenzini e Luca Pannese tutte le volte ci sorprendono con idee originali e coraggiose, e ci guidano nella direzione giusta”.

M

Mamma Martina con la figlia Emma

Una delle campagne, “The Hiring Chain”, ha addirittura beneficiato della collaborazione di Sting, che ha prestato la sua voce alla canzone che accompagna le immagini. Ci racconta? “Esatto. 'The Hiring Chain', lanciata nel 2021, è una delle campagne a cui sono più legata. Avrebbe dovuto essere presentata al pubblico nel 2020, pochi giorni prima del lockdown, ma ci siamo fermati perché il momento storico non era propizio per chiedere lavoro. Qui, infatti, raccontiamo il circolo virtuoso che si può creare dando un'opportunità professionale a una persona con disabilità intellettiva. Vederla lavorare può scardinare pregiudizi e generare opportunità per altri lavoratori. Oltre agli amici di 'Small' e alla casa di produzione Indiana, quell'anno di attesa ci ha consentito di coltivare nuove alleanze e di aggiungere delle perle preziose alla campagna, come per esempio il coinvolgimento di Sting, che ha accettato con entusiasmo dando un valore aggiunto al nostro lavoro. Il testo incalzante e gioioso prende vita sullo schermo e testimonia la catena 'virtuosa' dell’inclusione lavorativa. Nella prima scena, una ragazza di nome Simone è al lavoro dal fornaio e mostra ai clienti le sue capacità. Uno di questi clienti è un’avvocatessa che rimane colpita e decide a sua volta di assumere un ragazzo e di dargli un’occasione. Da qui si crea una reazione a catena: le ragazze e i ragazzi protagonisti del video e della canzone mostrano che quanto più le persone con sindrome di Down vengono viste al lavoro, tanto più sono riconosciute come dipendenti di valore".

E poi cosa è successo? "Altra importante intuizione che abbiamo avuto è stata la partnership con LinkedIn, una piattaforma legata proprio al lavoro, che ci ha permesso di concretizzare grandi risultati. Tutte le nostre campagne hanno creato un impatto nella vita delle persone, ma nel caso di 'The Hiring Chain' è stato più semplice quantificarlo in termini di rapporti con aziende e offerte di lavoro. Abbiamo ottenuto oltre 1000 contatti da tutto il mondo, centinaia in Italia e siamo entrati in contatto con circa 30 aziende. Parliamo di aziende che dispongono di diversi punti vendita distribuiti su tutta la penisola, che ci hanno permesso di inserire nel mondo del lavoro già 20 persone e altre ne inseriremo”.
Martina Fuga, responsabile della comunicazione di CoorDown

Martina Fuga, responsabile della comunicazione di CoorDown

Quali consigli ti sentiresti di dare ad altre realtà associative che intendano investire nella comunicazione? “Il mio consiglio è quello di investire in comunicazione per raccontare la propria realtà e diventare visibili, di cercare il linguaggio giusto e stare lontano da stereotipi e pietismo, di raccontare la persona con disabilità non come un eroe né come una vittima, ma appunto come una persona che ha diritto al proprio posto nel mondo. Non solo per rivendicare diritti in maniera astratta, ma facendo vedere cosa vuol dire essere inclusi, nel mondo del lavoro, della scuola ecc. Più che altro i miei consigli sono rivolti ad agenzie e brand che appoggiano campagne apparentemente inclusive ma che di fatto non aiutano molto. Spesso ci sono brand che inseriscono una persona con disabilità nella loro campagna, perché ora il tema della diversità è molto di moda, e un po’ di disability washing non si nega a nessuno. Ma l'ideale sarebbe prima di tutto conoscere la comunità di cui si parla. Per esempio, nel nostro caso da una parte ci siamo affidati alla professionalità di un'agenzia, ma dall'altra ci siamo sempre stati noi che conoscevamo il mondo di cui si voleva parlare in profondità e che avevamo le idee ben chiare su quello che volevamo comunicare. Comprendo che non tutte le associazioni hanno la possibilità di investire nella comunicazione, ma quello che conta è lanciare i messaggi giusti, non puntare sul sensazionalismo ma usare la narrazione e il linguaggio adeguati. Così facendo è possibile creare cultura e incidere nell'immaginario collettivo. Dobbiamo solo scrollarci di dosso le etichette della 'normalità': siamo tutti diversi e va bene così!".