La disabilità
Il 41enne originario di Fiano Romano e residente da anni a San Marino, dal 1997 vive con un problema agli arti inferiori, una disabilità motoria che lo porta a dover usare una sedia a rotelle ma di cui però non c’è una diagnosi chiara.
“Non si sa esattamente di che si tratti, nessuno è riuscito a capirlo. Sembra che possa essersi trattato di un virus al midollo spinale che è stato danneggiato e così mi impedisce parzialmente l’uso delle gambe”. Dal Lazio, con la famiglia si spostava a Montecatone (Imola) per fare riabilitazione in un centro locale, finché parenti romagnoli della madre “ci hanno proposto di trasferirci a San Marino e così abbiamo fatto”.
Ex atleta, per moltissimi anni ha praticato Triathlon paralimpico ad alti livelli, ha abbandonato la tuta al chiodo per dedicarsi al figlio, oggi 17enne, e al lavoro, in una società di Pesaro che si occupa di servizi per grandi aziende. “Ma mi sono tolto tantissime soddisfazioni”, racconta Simone.
Simone, il volto della speranza
Dopo quello che ha fatto domenica 21 maggio è diventato uno dei volti più emblematici di questi giorni di soccorsi all’Emilia Romagna drammaticamente ferita dall’alluvione. Stivali di gomma ai piedi, zainetto attaccato alla carrozzina, pala in mano e tanta voglia di fare del bene, mente con altre centinaia di persone libera dal fango le strade di Forlì.
Come è nata l’idea di andare? “Un po’ per caso. Tutto è partito dalla sorella mia compagna, che ha visto in un gruppo su Instagram (@WelcometoPesre) un post in cui si organizzavano, attraverso un canale Telegram, per fare macchine e andare su a portare degli aiuti, a supportare attivamente.
Quindi abbiamo deciso subito di partecipare, di renderci utili. Quelli del gruppo sono andati a comprare il materiale necessario, ci siamo dati appuntamento domenica mattina alle 10 al McDonald’s di Pesaro e poi siamo ansati su a Forlì”.
Una volta arrivati che avete fatto? “Ci siamo divisi e abbiamo seguito un po’ la gente del luogo, il flusso di persone. Chi a destra chi a sinistra abbiamo cercato di renderci utili, ognuno facendo qualcosa. È stata una cosa fortuita, nata così, attraverso il passaparola web. Ma ci sembrava il minimo che potessimo fare”.
Recentemente il maltempo, o meglio le alluvioni frutto del cambiamento climatico, hanno colpito anche le Marche dove lei lavora… “La cosa davvero bella è stata proprio questa, che i pesaresi, i marchigiani, dopo aver subito loro stessi il maltempo e grossi danni, si sono organizzati, sono partiti per andare in Romagna e aiutare loro. È una grandissima dimostrazione di umanità. Una cosa impressionante”.
Simone da dove arriva questo spirito solidaristico? “Mio papà è un vigile del fuoco in pensione. Io per una vita l’ho sentito raccontare di calamità naturali, di catastrofi. Aveva delle patenti speciali, quindi quando c’erano questi eventi lui partiva coi camion per andare sul posto, ad esempio in zone terremotate. Quindi sono cresciuto con questa idea, con la voglia di poter fare qualcosa.
Mi ribolliva il sangue, ho cercato a volte di chiedergli dove e come potessi fare ma era quasi impossibile intervenire perché tecnicamente era quasi impossibile circolare per le strade, poi con la carrozzina era ancora più difficile. Quando si è presentata questa occasione l’unica cosa che mi sono sentito di fare è stato andare”.
Ci sono più modi di aiutare e lei si è subito messo in moto in una delle attività più pesanti, lo sgombero delle strade dai detriti… “Sinceramente non mi andava di mettermi sotto il tendone e distribuire beni di prima necessità, volevo proprio rendermi utile e dare una mano a qualcuno davvero. È vero che quello che ho fatto lì è magari solo una goccia in un oceano però è sempre meglio una goccia in più che una in meno. È stato veramente bello, a livello personale, incedibile”.
Come ha trovato i cittadini? Che umore c’era tra la gente? “Due atteggiamenti abbastanza contrastanti. In primis arrivi lì e trovi la disperazione dei residenti che in quel momento hanno perso tutto: la casa, le macchine, qualsiasi sacrificio di una vita, spazzato via in un attimo.
Poi dopo, però, il fatto di trovarsi lì non solo i residenti, non solo le forze dell’ordine ma proprio una marea di volontari per portare aiuti nel momento del bisogno, non dico abbia alleviato il dolore ma quantomeno non li ha fatti sentire soli.
Te lo chiedi: ma questa gente dove va a dormire? Cosa mangia? Dove va in bagno? Perché le case sono completamente devastate. Dove eravamo noi l’acqua è arrivata al primo piano, ci sono i segni sui muri, le finestre rotte dove la forza della tempesta ha spaccato i vetri.
Le abitazioni sono rimaste su ma sono inagibili e stare lì è sconvolgente. Vedi cataste altissime di roba, mobili, vestiti, libri, tutto da buttare. Ma vedi anche la volontà della gente di ripartire, di sistemare. Quindi sensazioni contrastanti”.
E tra i volontari invece? “Quando vai in certe zone non sai cosa ti aspetta, dove andare, cosa fare. Poi quando arrivi senti l’energia che c’è in quel posto e quindi ti lasci trascinare, chiedi se c’è qualcosa che puoi fare, se qualcuno ha bisogno di aiuto in una casa, in una strada.
Ci si divide per fare quel che serve ma tutti per lo stesso motivo. È meraviglioso, centinaia e centinaia di persone che si muovono come una macchina dei soccorsi organizzata senza quasi parlare. C’erano addirittura pompieri arrivati dal Trentino Alto Adige. Ci siamo messi tutti insieme per la popolazione dell’Emilia Romagna.
Lei cosa ha provato nello spalare il fango?
“Quando sei lì la fatica non si sente. Spali, parli con tutti e tutti ti dicono la stessa cosa. Non c’era tempo nemmeno per sentire la fame o la stanchezza mentre dai una mano a quelle persone. Poi magari dopo 4/5 ore inizi a sentire meno le forze, hai male dappertutto e lì capisci di aver fatto il possibile. Ma la fatica è l’ultima cosa a cui pensi”.
In caso di nuovo ci fosse un evento simile, ripartirebbe, rifarebbe quello che ha fatto domenica? “Sì assolutamente, senza dubbio”.