Singapore, impiccato per un chilo di cannabis

La denuncia di Amnesty International per l’Asia: "Esecuzione illegale e arbitraria". Da marzo 2022 già 12 esecuzioni capitali

di BARBARA BERTI -
26 aprile 2023
Tangaraju Suppiah, l'uomo impiccato per un chilo di cannabis (Instagram)

Tangaraju Suppiah, l'uomo impiccato per un chilo di cannabis (Instagram)

A Singapore impiccato un uomo per un chilo di cannabis, Amnesty denuncia: “esecuzione arbitraria e illegale”. Nella mattinata del 26 aprile, a Singapore è stata eseguita la condanna a morte di Tangaraju Suppiah, 46 anni, giudicato colpevole di aver collaborato al traffico di un chilo e diciassette grammi di cannabis. L’uomo era detenuto nel complesso carcerario di Changi dove poi ha avuto la pena capitale.
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Leelavathy Suppiah (al centro), sorella del condannato Tangaraju Suppiah, e altri membri della famiglia, mentre tiene una lettera di petizione per chiedere clemenza (Foto: New Straits Times)

“Questa esecuzione illegale e arbitraria, date le molte irregolarità riscontrate nel procedimento giudiziario, mostra ancora una volta quanto Singapore si ostini a usare la pena di morte” sostiene Ming Yu Hah, vicedirettore di Amnesty International per l’Asia. E aggiunge: “Le norme sulla droga vigenti a Singapore, fortemente repressive, prevedono anche l’obbligatorietà della pena di morte”. Il vicedirettore spiega: “I giudici non possono prendere in considerazione eventuali attenuanti, come le circostanze del reato, la condizione dell’imputato e altri fattori importanti. Il vicino di Singapore, la Malesia, sta rinunciando a tutto questo in favore della protezione della vita umana”. Secondo Amnesty International “queste norme non contrastano l’uso e la disponibilità della droga, né e proteggono efficacemente dai danni causati da tali sostanze”. “Singapore deve tener conto della crescente tendenza globale a rinunciare alla pena di morte e dichiarare in primo luogo una moratoria sulle esecuzioni” conclude Hah.
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La protesta contro l'impiccagione (Instagram)

L’accusa del 2013

Nel 2013 Tangaraju Suppiah era stato accusato di essersi messo d’accordo con due uomini per introdurre il quantitativo di cannabis sull’isola. La condanna si era basata essenzialmente sulle dichiarazioni rese durante l’interrogatorio, in assenza di un avvocato e di un interprete, e su quelle dei due co-imputati, presentati come testimoni dell’accusa. Uno dei due uomini era stato poi prosciolto mentre non era mai stato rintracciato un quarto uomo che avrebbe dovuto confermare le loro testimonianze.

La condanna del 2017

Tangaraju è stato condannato nel 2017 per "favoreggiamento mediante associazione a delinquere finalizzata al traffico" di 1.017,9 grammi (35,9 once) di cannabis, il doppio del volume minimo richiesto per una condanna a morte a Singapore. L'uomo è stato stato poi condannato a morte nel 2018 e la Corte d'Appello ha confermato la decisione. Branson, un membro della Global Commission on Drug Policy con sede a Ginevra, nei giorni scorsi aveva scritto sul suo blog che Tangaraju "non era neanche lontanamente vicino" alla droga al momento del suo arresto e che Singapore potrebbe essere sul punto di mettere a morte un uomo innocente. Ma il ministero dell'Interno di Singapore aveva risposto che la colpevolezza di Tangaraju è stata dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio. Il ministero aveva detto che due numeri di cellulare che secondo i pubblici ministeri gli appartenevano erano stati usati per coordinare la consegna della droga.
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Le proteste contro la condanna a morte di Tangaraju Suppiah

La legge sulla droga

Dal 2013, a seguito di emendamenti alla Legge sulla droga, i giudici hanno un limitato potere discrezionale nel decidere la condanna, qualora l’imputato si sia limitato a fare il “corriere”, se abbia collaborato alle indagini o se le sue condizioni di salute mentale siano tali da non renderlo consapevole delle sue azioni o delle sue omissioni in relazione al reato che gli è contestato. Se la procura non conferma l’avvenuta collaborazione, il giudice perde il potere discrezionale e deve emettere una condanna a morte: di fatto, quindi, la sentenza è nella mani della procura. Dopo una pausa di oltre due anni, Singapore ha ripreso le condanne a morte a marzo 2022: da allora ci sono state 12 impiccagioni. Le Nazioni Unite affermano che la pena di morte non ha dimostrato di essere un deterrente efficace a livello globale ed è incompatibile con il diritto internazionale sui diritti umani, che consente la pena capitale solo per i crimini più gravi.