“Ti va di stare bene?”: gli under 35 in fuga dalla carriera alla ricerca della felicità

Alla domanda “Ti ricordi cosa volevi fare da grande?” solo il 14% ha fatto sapere di essere diventato ciò che voleva da bambino, il 55% ha dichiarato che vorrebbe lavorare all’estero, ma che lasciare l'Italia sarebbe un sacrificio. Il sondaggio realizzato dalla community Instagram della media company CNC Media racconta i giovani tra insoddisfazioni e Paese reale.

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI
16 maggio 2024
Giovani e lavoro (foto di repertorio)

Giovani e lavoro (foto di repertorio)

“Bravi voi, bravi tutti voi”, cantava Levante in uno dei suoi pezzi più radiofonici e, a ben vedere, il principio dell’articolo che state per leggere non può che essere più azzeccato di questo. Nell’ambito del sondaggio realizzato dalla community Instagram della media company CNC Media, alla domanda “Ti ricordi cosa volevi fare da grande?” il 44% dei giovani tra i 18 e i 35 anni ha dichiarato di non avere mai avuto le idee chiare, il 24% ha ammesso di aver cambiato obiettivo e di esserne soddisfatto e solo il 14% ha fatto sapere di essere diventato ciò che voleva da bambino. Ad aver risposto ai quesiti proposti nelle stories della pagina, dando un giudizio, tra le altre cose, sulla fiducia nei confronti del proprio futuro lavorativo, sono stati in sessantamila.

L’indagine: la carriera non è più una priorità

Il risultato dell’indagine è tutt’altro che banale: i giovani d’oggi non hanno intenzione di dirsi scontenti. Diversi da come si immaginavano da piccoli, semmai, ma nel complesso soddisfatti degli adulti che sono diventati, nonostante le difficoltà personali e sociali che hanno incontrato sul cammino. Lavoro più flessibile, settimane lavorative da quattro giorni e lavoro ibrido sono, secondo Gen Z e Millennial, la ricetta per stare bene. La carriera non è più una priorità. Il lavoro, interpretato principalmente come una fonte di reddito e non come uno status symbol, viene accettato solo se ben retribuito e capace di tenere in equilibrio professione e vita privata. Una fotografia che va letteralmente a sbattere con una concezione che fino ai primi anni del Duemila raccontava storie di giovani pronti a tutto pur di emergere, scalare vette, tagliare traguardi. Oggi, la priorità è stare bene, possibilmente lontano dalle responsabilità lavorative. Non a caso, il 77% degli intervistati ritiene il benessere psicologico prioritario.

Giovani e lavoro (foto di repertorio)
Giovani e lavoro (foto di repertorio)

Il punto è che, nonostante il rinnovato sguardo sul mondo di giovani e giovanissimi, la società continua a imporre standard assai difficili da raggiungere. Una corsa infinita che vorrebbe far sentire gli under 35 inadeguati e insoddisfatti, ma che sta trovando nella maggior parte di loro nemici sempre più agguerriti. C’è, poi, un 23% che ha dichiarato di essere disposto a barattare il benessere psicologico con il successo. Una estremizzazione che cela una piccola grande verità: per imboccare la strada della felicità serve quantomeno cercare di assomigliare a chi si desiderava essere. Questa chiave interpretativa appare la più adeguata per comprendere l’esito del sondaggio che inequivocabilmente racconta storie di ragazze e ragazzi che cercano lo stipendio - è vero -, ma non rinunciano a desiderare di svolgere un mestiere che li appassioni. Un rifiuto dei compromessi che non sempre trova una pratica applicazione.

La “questione Italia”.

Il 55% degli intervistati ha dichiarato che vorrebbe lavorare all’estero, ma che lasciare lo Stivale sarebbe un sacrificio, il 30% fa sapere di aver scelto la terra natia per lavorare e solo il 15% di aver intrapreso la strada dell’espatrio. Lasciare il Paese pare non sia più di tendenza, nonostante in molti percepiscano un forte distacco tra il futuro pensato e quello palesatosi.

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Lo scontro con la realtà

Alla luce di questi dati, una domanda sorge pressoché spontanea: sarà mica che i giovani, quelli che non vogliono scoprirsi insoddisfatti, si sentano persi in balìa di un presente sempre più privo di punti riferimento e costellato di piccole boe luminose in un mare nero come il petrolio che non fanno altro che contribuire a perdere la bussola? Se, da una parte, la prospettiva di un benessere a portata di mano è l’ideale verso cui tendere, dall’altra, a mostrare i denti c’è il mondo reale fatto di bollette da pagare e frigoriferi da riempire con, sullo sfondo, un incontrovertibile sistema iper-capitalista che impedisce ogni seppur minimo allontanamento dal meccanismo del consumo.

In questo scenario, i giovani scappano dall’idea di sacrificare tempo ed energie per guadagnare soldi e prestigio, ma si rendono conto di aver bisogno di risorse per vivere dignitosamente, trovandosi schiacciati dalla forza dei due poli opposti.

Giovani e lavoro (foto di repertorio)
Giovani e lavoro (foto di repertorio)

E se il problema non fossero la carriera e la corsa alla realizzazione, ma semplicemente la loro trasposizione contemporanea? Se fosse l’idea di fallire ad atterrire e a spingere alla rinuncia, al rifugio in una comfort-zone fatta di uno stipendio modesto ma sicuro, un televisore al plasma e il divano cammellato? E se, infine, una società sempre più votata al favore, allo scambio, incapace a riconoscere e premiare il merito stesse dimostrandosi incapace di essere base per ogni qualsivoglia futuro? Difficile a dirsi. Di sicuro, a occuparsene dovrebbe essere la politica, quella che, tra qualche anno, potrebbe dover fare i conti con una società spenta e priva di ambizioni. A occhio, per gestire la faccenda i mental coach su YouTube non bastano più. “Ce lo dirà il tempo che questo non è oro, ma luccica lo stesso”.