Alessio Bernabò, skipper visionario: “Il mare un banco di prova, conta quello che sai fare”

La disabilità per la poliomielite non fermano il 49enne che con la sua Vaquita percorre in lungo e in largo il Mediterraneo, collezionando prestigiosi riconoscimenti e vittorie con equpaggi inclusivi

di DOMENICO GUARINO
24 dicembre 2024
Alessio Bernabò (ph. Alessio Taccola)

Alessio Bernabò (ph. Alessio Taccola)

A fine novembre con “A Different Sailing Projec” ha vinto il primo premio, nella categoria local hero, ai prestigiosi BeActive Awards, i premi della Commissione Europea riservati ai progetti sportivi più meritevoli. Alessio Bernabò è nato a Napoli nel 1975, ha vissuto a Cosenza, e ora gira il Mediterraneo a bordo della sua Vaquita, il Class 40 del progetto Crossing Routes. Sin da piccolissimo Alessio, che è iscritto allo Yacht Club Livorno, deve confrontarsi con le difficoltà motorie generate dalla poliomielite che gli ha causato un differente sviluppo dei due arti inferiori.

Recentemente è arrivato primo in tempo reale alla RAN (Regata Accademia Navale), conquistando il Trofeo Pierre Hamon per la Line Honours con un equipaggio misto (disabili e normodotati) che comprendeva una giovane donna alla sua prima esperienza, un istruttore e un marinaio alle prime armi. A maggio del 2024 ha corso la 151 miglia di Livorno con un equipaggio composto interamente da persone con disabilità: Davide Di Maria, Roberto Cavicchi e Emiliano Giampietro, tutti atleti di alto livello. Mai prima di quel momento un equipaggio totalmente composto da atleti con disabilità aveva gareggiato alla pari con gli altri equipaggi.

Quando nasce la sua passione per la vela?

“Nasce tanti anni fa e piano piano, in maniera molto caparbia, è diventata prima un lavoro e poi, quando è ‘scoppiata’ anche in termini sportivi, è diventata una modalità di vita. Io ho una disabilità praticamente da sempre (ho avuto la polio da bambino, quindi ho un arto meno formato dell'altro) e arrivato a un certo punto della mia pratica velistica, avvertivo un certo limite oggettivo, che avevo già sperimentato in altri campi anni prima. E allora mi sono detto che non andava bene, che dovevo trovare il modo di superarlo. E dunque, insieme con dei validissimi compagni di viaggio, ho cominciato a creare degli equipaggi 'inclusivi' per partecipare a regate in altura, gare in mare aperto nelle quali si affronta la navigazione in tutte le condizioni, per cui devi essere preparato ai massimi livelli, a prescindere dalla tua situazione di partenza”.

Partito dunque da una passione, quella della vela nella fattispecie, poi ha utilizzato la sua storia personale come grimaldello per superare i pregiudizi e lavorare per l'inclusione in progetti specifici... 

“Esattamente: da una passione, dalla voglia, da un limite personale che io percepivo, ho deciso di entrare a gamba tesa per determinare una diversa visione delle differenze, attraverso l'implementazione di buone partitiche che, nel caso specifico, si sviluppano a bordo della barca, per essere poi utilizzate anche a terra. È nato tutto così, sperimentando via via. E ormai sono 8 anni che andiamo avanti. Piano piano il progetto si è affinato. Devo dire che io stesso sono diventato sempre più 'importante' come skipper, e oggi mi presento alle competizioni con una mia professionalità specifica, sia pure con le mie particolarità. E lo faccio alla guida di un equipaggio esso stesso professionale, che magari prima veniva guardato con sufficienza, ma che è diventato un equipaggio 'da battere'. Non più dunque comprimari, ma protagonisti. Al di là, ripeto, delle caratteristiche specifiche che abbiamo, ciascuno di noi”.

Cosa serve per fare questo passaggio, non scontato?

“Una grande caparbietà. Il messaggio che voglio lanciare è che le difficoltà, se prese nella giusta maniera, possono rappresentare un trampolino di sfida e di stimolo per superare le barriere determinate da carrieristiche fisiche o anche psicologiche. Devo dire che da questo punto di vista il mare è un banco di prova eccezionale, perché insegna che, a prescindere da come sei, conta quello che puoi fare e che sai fare. Devi essere preparato, non puoi fingere o affidarti all'accondiscendenza degli altri. Si parte dalla preparazione, e dalla consapevolezza che le differenze non sono limiti pregiudicanti ma vanno affrontate e valorizzate”.

Progetti futuri?

“Continuare a gareggiare ai massimi livelli nel nostro campionato, che è quello della class 40, nel Mediterraneo. E poi mi piacerebbe superare gli stretti, dunque essere presente in una regata atlantica, che sarebbe un ulteriore passo in avanti. Da questo punto di vista ricevere il premio della Comunità Europea è stata allo stesso tempo una sorpresa e uno stimolo, perché – come dice il sottotitolo – viene attribuito alle persone che, con la loro attività, hanno spinto altri ad essere attivi nel contesto di riferimento, ed hanno lasciato il segno nella loro comunità. Questo è quello per cui lavoro sempre, e che continuerà ad essere al centro di quello che faccio”.

In conclusione, ci dice quali e quanti pregiudizi ha dovuto superare?

“Sicuramente all'inizio per persone come me sembrava non ci fossero possibilità, le porte apparivano chiuse. Quindi sì, di pregiudizi ne ho incrociati tanti: i più non credevano che una persona come me, che se la vedi in terraferma barcolla da un lato all'altro manco fosse la Torre di Pisa, potesse competere con i cosiddetti 'normodotati'. Che avesse cioè sviluppato, attraverso lo studio e l'applicazione costante e caparbia, tutti quei meccanismi che gli permettono di sfruttare al meglio le proprie capacità. E la cosa che vorrei venisse fuori da quello che faccio è che, avendolo dovuto sopportare io, questo pregiudizio, grazie al mio lavoro e al lavoro dell'equipaggio, non tocchi subirlo anche ad altri. È quello che spero”.