Attivisti contro la fast fashion chiedono all’Australia di boicottare alcuni marchi

Nel mirino degli attivisti per i diritti umani ci sono colossi cinesi come Shein e Temu, che contano milioni di clienti al mese. La richiesta è quella di seguire le misure di Stati Uniti e Unione Europea

11 giugno 2024
fast fashion

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Attivisti anti-schiavitù hanno espresso allarme per le pratiche di produttori di larga scala di fast fashion, tra i quali i cinesi Shein e Temu, chiedendo all'Australia di seguire l'esempio degli Stati Uniti e dell'Unione Europea e di bandire le importazioni di beni prodotti con cattive pratiche di diritti umani.

Le marche di fast fashion di basso costo stanno attraversando un boom anche in Australia e le organizzazioni per i diritti umani avvertono che le compagnie tagliano i costi usando manodopera forzata.

La compagnia di abbigliamento e accessori Shein ha già 800 mila acquirenti online al mese in Australia e si avvia a conseguire vendite per un miliardo di dollari australiani (610 milioni di euro) l'anno, secondo Roy Morgan Research, mentre il fornitore di beni di consumo Temu ha 1,2 milioni di clienti in Australia, con vendite annuali di 1,8 miliardi di dollari (1,1 miliardi di euro). Sia Shein che Temu dichiarano di operare eticamente.

L'Unione Europea ha messo al bando dal suo mercato i prodotti frutto di lavoro forzato e ha introdotto stretti requisiti per le compagnie, perché riferiscano di casi avversi di diritti umani e di impatto ambientale delle loro operazioni. E gli Stati Uniti hanno proibito nel 2021 l'importazione di beni sospettati di essere prodotti dalla minoranza etnica Uiguri in Cina. Dal 2019 in Australia è in vigore il Modern Slavery Act, che obbliga i grandi produttori a identificare e affrontare i propri rischi di schiavitù moderna e di mantenere fonti di approvvigionamento responsabili e trasparenti. Un riesame della legge ha tuttavia rilevato che le norme non erano seriamente applicate e ha raccomandato misure più strette. Secondo la direttrice dell'Australian Human Right Institute, Justine Nolan, le norme esistenti in Australia sul lavoro forzato "impallidiscono” a paragone di quelle in vigore nell'Unione Europea e negli Stati Uniti.