Quanto "costa" all'ambiente la fast fashion? Il risvolto oscuro dello scintillio da passerella

Sfruttamento della manodopera a basso costo, iper produzione e, spesso, lavoro minorile. Ma l'industria della moda produce anche il 10% delle emissioni globali di carbonio

di DOMENICO GUARINO
8 ottobre 2022
fast fashion

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Cambiarsi d'abito più volte al giorno, seguire mode e modi, imitare le passerelle glamour, cercare il proprio stile ed adattarlo agli stati d'animo: la fast fashion è la risposta alla scatola magica dei desideri. Peccato che, dentro quella scatola, ci sia anche tanto altro. E il più delle volte non si tratta di sorprese piacevoli. L'altra faccia della medaglia luccicante, fatta di abiti e scarpe da indossare una volta e via, parla infatti di sfruttamento della manodopera a basso costo, lavoro minorile, discriminazioni, consumo energetico e delle risorse naturali e ovviamente inquinamento.

Cos'è la fast fashion

Mettiamo ordine innanzitutto. Il termine Fast Fashion (dall'inglese letteralmente "moda veloce"), è stato utilizzato per la prima volta all'inizio degli anni Novanta, quando Zara sbarcò a New York e il New York Times sottolineò subito come il marchio avesse come obiettivo dichiarato quello di impiegare solo 15 giorni per progettare, produrre, distribuire, allestire e vendere i suoi capi. Da Zara agli altri brand il passo è stato veloce, tanto quanto la diffusione del concetto. E oggi con fast fashion si fa riferimento a tutto quell’abbigliamento che passa attraverso grandi catene di distribuzione, dove si vendono capi a basso costo che solitamente, stagione dopo stagione, copiano gli ultimi stili delle passerelle, riproponendoli a condizioni accessibili per il grande pubblico che altrimenti non potrebbe permetterseli. Un’idea geniale di marketing, con conseguenze non di poco conto: dall’iper produzione, allo sfruttamento di manodopera a bassissimo costo e senza diritti, a volte del lavoro minorile. E c'è soprattutto la questione ambientale.
fast fashion

Capi a basso costo, venduti da grandi catene di distribuzione, che imitano le novità stagionali delle passerelle di alta moda

L'impatto della moda "veloce" sull'ambiente

I tre principali fattori di impatto del settore della moda sull'inquinamento globale sono la tintura (36%), la preparazione del filato (28%) e la produzione di fibre (15%) (rapporto Quantis International del 2018). Stando ai dati di Business Insider la catena produttiva dell'industria della moda causa il 10% del totale delle emissioni globali di carbonio, tanto quanto l'intera Unione Europea, più di tutti i voli internazionali e di tutti i trasporti via mare messi insieme (UNEP, 2018). Basti pensare che ogni secondo di ogni giorno e ogni notte viene bruciato o gettato in una discarica l'equivalente di un camion della spazzatura pieno di vestiti (UNEP, 2018), e che circa il 60% dei materiali utilizzati dall'industria della moda sono in plastica (UNEP, 2019), con la conseguenza che ogni anno vengono rilasciate nei mari 500 mila tonnellate di microfibre, ovvero l'equivalente di 50 miliardi di bottiglie di plastica (Ellen MacArthur Foundation, 2017). Senza contare che circa il 20% dell'inquinamento delle acque reflue industriali di tutto il mondo proviene dall'industria della moda (WRI, 2017), e che il settore della fast fashion consuma circa 93 miliardi di metri cubi d'acqua - sufficienti per soddisfare i bisogni di cinque milioni di persone (UNCTAD, 2020).
deserto atacama cile

Nel deserto di Atacama, in Cile, una distesa di milioni di tonnellate di abiti

Infine, secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, le emissioni della sola industria tessile saliranno del 60% entro il 2030. Ce n’è d’avanzo per avviare una seria riflessione, che parta dal concetto che quello che indossiamo oggi, insieme con quello che mangiamo, è la determinante del nostro futuro. Un capo in meno, un albero in più. Saremo magari meno alla moda ma la nostra salute e il nostro benessere se ne gioverà, e non poco.