Bikini: inno alla sensualità o trappola psicologica?

Oggi è la giornata mondiale: da oltre 70 anni è il capo di abbigliamento prediletto in spiaggia, ma cosa significa o ha significato per le donne nella storia?

di CATERINA CECCUTI
5 luglio 2024
Donna in bikini in riva al mare

Donna in bikini in riva al mare

La moda del momento lo vuole animalier: leopardato, zebrato, pitonato o comunque ispirato alla savana africana. Proprio oggi, 5 luglio 2024, il bikini festeggia 78 anni, e di certo si può dire che abbia rappresentato il capo di abbigliamento femminile più rivoluzionario – e sensuale – di tutti i tempi (ci perdonerà la minigonna, ma qui ci sono ben più di un paio di gambe scoperte!).

Le origini dell’indumento rivoluzionario 

Ma partiamo dall’inizio. Ad inventarlo ufficialmente sono stati i due stilisti francesi Louis Reard e Jacob Heim che, consapevoli della carica esplosiva intrinseca alla loro creazione, decisero di chiamarlo con il nome dell’atollo del Pacifico in cui nel giugno di quell’anno (1946) gli Stati Uniti avevano fatto esplodere degli ordigni nucleari. La loro invenzione, in anni in cui la donna non era ancora libera di mostrare pubblicamente il corpo seminudo, rappresentò uno scandalo – basti pensare che Reard fu costretto a chiamare una spogliarellista del Casinò de Paris per indossarlo durante la presentazione, in quanto le modelle si rifiutarono di farlo –, ma anche un moto impetuoso di liberazione che ricevette una notevole spinta rivoluzionaria da parte di alcune dive del cinema internazionale.

In realtà, per cercare l’origine del bikini, bisognerebbe andare ben più indietro nel tempo rispetto agli anni ’40: come testimoniano i mosaici del III secolo dopo Cristo che ritraggono giovani sportive in due pezzi, rinvenuti a Piazza Armerina (Sicilia) nella ‘Stanza delle dieci ragazze’, l’usanza di indossare due pezzi di stoffa per coprire le zone intime delle donne esisteva già, ma era legata essenzialmente allo sport.

Lucia Bosè in bikini al concorso di Miss Italia a Stresa (UFF.STAMPA WELLA/BENVENUTI/ANSA PR)
Lucia Bosè in bikini al concorso di Miss Italia a Stresa (UFF.STAMPA WELLA/BENVENUTI/ANSA PR)

Quello che si deve all’invenzione del 1946, piuttosto, è l’aspetto seduttivo e, più ancora, quello rivoluzionario che negli anni seguenti permise alle donne di cavalcare l’onda dell'emancipazione femminile, liberandole dal tabù di dover nascondere il proprio corpo, poco importava (all’epoca) se fosse perfetto o imperfetto. La reazione in Europa non fu completamente positiva: il bikini venne vietato in alcune spiagge spagnole, portoghesi e italiane alla fine degli anni ’40. Ci pensarono le dive del momento a cambiarne la storia: nel 1947 Lucia Bosè lo indossò durante il concorso di Miss Italia al posto del costume intero, e Brigitte Bardot lo sfoggiò nel film del 1957 ‘E Dio creò la donna”. Nel 1962 fu la volta di Ursula Andress, che vestiva i panni di Honey Ryder in “Agente 007 Licenza di uccidere”, quando emergendo dalle acqua mostrò l’iconico bikini con la fascia in vita, recentemente battuto all’asta per 500mila dollari.

La bikini blues e i trucchi per nascondere le imperfezioni

Due pezzi di stoffa, si diceva, che hanno cambiato la storia della moda femminile e influenzato quella della donna più in generale. Ma non solo, purtroppo, in senso positivo. Nel 2021 gli organizzatori di Miss Italia – che da anni avevano fatto sfilare le concorrenti in bikini – hanno stabilito che quella scelta, liberatoria negli anni ’50, aveva ormai assunto un significato ambiguo. Grazie ai social e alle pubblicità patinate, il capo francese si è trasformato in una trappola per l’autostima delle donne – soprattutto delle più giovani –, costrette a misurarsi ogni anno con quella prova costume che costringe le più sensibili a mesi di rigida dieta ed esercizio fisico, pur di combattere quella che ormai viene definita la “Bikini blues”, ossia l'ansia da prova costume. Adolescenza, gravidanza e menopausa sono fisiologiche fasi di cambiamento – anche fisico – nella vita di una donna, e come tali dovrebbero essere accettati dalle donne stesse e dalla società tutta, in una prospettiva di body positivity.

Il 5 luglio si celebra la giornata mondiale del bikini
Il 5 luglio si celebra la giornata mondiale del bikini

Invece, la corsa alla perfezione delle forme ha portato addirittura alla creazione – e soprattutto al grande successo – di app che scolpiscono, snelliscono e rassodano i nostri corpi, in modo da farli apparire più simile possibile a quelli dei modelli di riferimento del momento, da Kim Kardashian ad Elisabetta Gregoraci a Chiara Ferragni, per dirne alcune. Se le imperfezioni da nascondere non sono troppe, alcune ragazze si affidano a semplici istruzioni per pose fotografiche come alzare un braccio, mettersi in punta di piedi, farsi riprendere dal basso verso l’alto, distendersi di lato come una sirena con una gamba allungata e l’altra piegata. Secondo una ricerca di MioDottore il 65% per cento del campione intervistato non si sente a suo agio con la zona addominale, il 45% ha il complesso delle gambe, un terzo detesta le foto in costume. Ma in tutto questo la body positivity che fine ha fatto? Prova a ricordarcelo Aurora Ramazzotti, che per le sue prime foto in bikini dopo il parto ha scelto di rinunciare ai filtri, con lo scopo di mandare ai suoi follower un messaggio positivo: accettate il vostro corpo senza paura.