Don Paolo: “Accoglienza e lavoro: aiutiamo le persone ad affrontare il futuro”

Direttore dell’Ufficio Pastorale Migrantes di Vercelli, ha creato un progetto che si rivolge a tutti coloro vivono situazioni di disagio e difficoltà: “Siamo partiti da una domanda: cosa serve a una persona oltre alla casa e all’ospitalità? Serve un lavoro!”

di GUIDO GUIDI GUERRERA -
22 ottobre 2024
momenti di convivialità tra volontari e ospiti

Momenti di convivialità tra volontari e ospiti

Paolo Solidani è un diacono piemontese che da sempre dedica ogni sforzo per fare dell’accoglienza il punto forte del suo cammino umano, sorretto da incredibile passione e da tanta fede. Solidani e solidarietà sembrano evocare assonanze fatte per annunciare una sorta di destino, una direzione già impressa nella stessa storia esistenziale di Paolo.

Lui, direttore dell’Ufficio Pastorale Migrantes di Vercelli, ha concepito l’accoglienza e l’inserimento di migranti e non solo puntando sulla funzione produttiva del lavoro, arrivando a vincere in pieno la scommessa. Un progetto immaginato 7 anni fa, partito in sordina, ma che oggi si è tradotto in una realtà perfettamente ispirata alla Dottrina Sociale della Chiesa. Da quella attività lavorativa derivano molteplici benefici, legati all’incremento dell’autostima e al senso di acquisita dignità che ogni persona del Centro di Accoglienza sperimenta.

La produzione delle uova di un allevamento di galline e la cura della terra con la realizzazione di orti, hanno raggiunto numeri e dimensioni notevoli, grazie anche alla partecipazione della Asl locale: tutte attività gestite, assieme all’insegnamento della lingua italiana, da una ventina di volontari. “Il rapporto umano che ormai si è venuto a sviluppare tra di noi è splendido: fatto di sorrisi, battute gioviali e anche cordiali. Certo, non mancano i momenti difficili, perfino le incomprensioni, ma quelle servono a farci conoscere meglio e a vivere le sfide con maggiore coraggio”.

La sede operativa dell'Associazione Sant'Eusebio ODV
La sede operativa dell'Associazione Sant'Eusebio ODV

Paolo Solidani è un uomo di chiesa concreto ma con spiccato senso dell’ironia, vivace nell’eloquio e nell’esporre le sue idee: “Dobbiamo guardare in faccia la realtà – sottolinea –. E la realtà significa dover preparare queste persone ad affrontare il futuro, offrendo loro l’opportunità di una formazione professionale. Il loro domani sarà costellato  di difficoltà lavorative, di problemi a trovare casa, di inserimento sociale. Noi dobbiamo provvedere a questo per tempo, fornendo gli strumenti necessari per non fallire quell’appuntamento”.

E la delicata questione della multiculturalità, la multireligiosità in che modo si affronta?

“Nessun problema. Chiunque da noi è libero di professare e manifestare il proprio credo, purché ciò avvenga sempre nel totale rispetto dell’altro”.

Don Paolo, qual è lo scopo del progetto che unisce Migrantes e diocesi di Sant'Eusebio?

“La carità è l’aspetto centrale che unisce l’Ufficio Pastorale Migrantes all’Associazione Sant’Eusebio. ‘La carità non avrà mai fine’ afferma San Paolo ed è come se ci dicesse che le chiacchiere stanno a zero, non c’è più tempo da perdere e non possiamo permetterci più di girare la testa dall’altra parte. La povertà di qualsiasi ordine, grado o forma esiste perché c’è un problema che non è stato risolto: può essere un conflitto armato, una crisi economica, oppure una grave situazione climatica. Si tratta in ogni caso di un problema che non è stato risolto e va affrontato. Sappiamo di essere piccoli, ma vogliamo avere un cuore grande e questo è ciò che lega la Migrantes all’associazione Sant’Eusebio ODV”.

Donazione mensile di uova all'Emporio Solidale
Donazione mensile di uova all'Emporio Solidale

Chi sono le persone che vengono accolte?

“Singoli, famiglie coinvolte dal fenomeno della mobilità umana, e in modo particolare immigrati stranieri, i migranti interni italiani, ma anche i rifugiati, i profughi, gli apolidi e i richiedenti asilo, compresa la gente dello spettacolo viaggiante. Le categorie sono davvero molteplici e a queste ultimamente si sono aggiunti anche tanti ragazzi e ragazze italiani. Anche loro, con i loro problemi, sono arrivati fino a noi attraverso vie diverse per chiedere il nostro aiuto”.

Quali sono i motivi più ricorrenti di disagio?

“Sono molti i disagi che andiamo a incontrare: spesso tante persone al termine del percorso burocratico, a prescindere dal riconoscimento della loro domanda di protezione internazionale, devono andar via. Noi ci occupiamo di quelli che hanno un permesso di soggiorno, tuttavia non tutti dispongono di un tetto sopra la testa, quindi molti di loro si rivolgono a noi per un’ospitalità. Poi c’è il problema della comunicazione: se non si conosce l’italiano è impossibile accedere a qualsiasi forma di lavoro e di socializzazione. A questo ostacolo si aggiunge la necessità di una specializzazione lavorativa, la difficoltà di trovare case a prezzi d’affitto ragionevoli, senza contare gli estenuanti iter burocratici e legali a cui cerchiamo di dare risposta attraverso uno sportello chiamato Centro Informazioni per Stranieri”.

Come si fa a trasformare una struttura di accoglienza in realtà produttiva?

“Facendosi una semplice domanda, così come ce la siamo posta noi: cosa serve a una persona oltre alla casa e all’ospitalità? Serve un lavoro! E allora ci siamo ingegnati per realizzare una serie di attività produttive che non avessero bisogno categorico di personale specializzato. Così abbiamo realizzato il primo allevamento di appena cinquanta galline ovaiole. Abbiamo dunque capito subito di aver centrato l’obiettivo, perché in breve tempo la gente ha apprezzato il progetto, il prodotto e il contesto, al punto che oggi abbiamo dovuto ampliare la produttività per rispondere alle tantissime richieste . Fatto questo, come se non bastasse, abbiamo realizzato un orto per la produzione di prodotti orticoli in un piccolo appezzamento di pochi metri quadrati. Un successo anche questo, ma per soddisfare le richieste abbiamo chiesto ulteriori spazi produttivi.

Oggi abbiamo circa 1500 metri quadrati di terreni, frutto della concessione gratuita di un nostro vicino e anche della disponibilità dell’ASL di Vercelli”.

Alcuni volontari e ospiti di Migrantes
Alcuni volontari e ospiti di Migrantes

Questo primo passo assicura un inserimento nel contesto lavorativo?

“È la nostra terza sfida, forse la più difficile, tesa a far diventare permanente e produttivo ciò che siamo riusciti a realizzare. Abbiamo serie speranze che quest’ultimo passo si possa concretizzare. La risposta che ci arriva dal territorio è incoraggiante: significa che le persone sono attente, tutte persone che non si fanno influenzare da una cultura facile e distruttiva. Siamo sulla strada giusta probabilmente, tuttavia non bisogna mai lasciarsi andare pensando di essere arrivati. Al contrario occorre sempre puntare al nuovo, al futuro.”

Quale rapporto si riesce a instaurare a livello umano nel vostro piccolo centro?

“Un rapporto splendido, fatto di sorrisi, battute gioviali e anche cordiali. Certo, non mancano i momenti difficili, le incomprensioni, ma quelle servono a farci conoscere meglio e a vivere con maggiore coraggio affrontando le cose nella loro realtà e senza per prenderci in giro. Un giorno, un nostro carissimo amico che non vedevo da molto tempo è voluto venire a trovarci e mi ha detto : “Paolo, ti rendi conto che avete realizzato una Piazza? Guarda quanta gente c’è qui adesso, qui dove un tempo c’era solo delinquenza, furti e chi più ne ha, ne metta. Oggi c’è tanta gente che qui sta bene e vuole rimanerci.”

Multiculturalità significa anche differenze per ciò che riguarda la sfera esistenziale compresa quella religiosa. Questo genera conflitti o ostacoli?

“Non abbiamo mai avuto nel nostro piccolo nucleo problemi del genere, anzi favoriamo lo scambio di informazioni, raccontandoci quello che sappiamo e abbiamo letto dai rispettivi libri sacri. A prescindere dalla diversa educazione religiosa, tenendo anche conto che qualcuno non ne professa nessuna, non devono mai venire a mancare il rispetto e l’amicizia reciproca, e questa è l’indispensabile raccomandazione prima di entrare nella nostra comunità”.

I partecipanti a uno dei corsi di italiano presso le aule dell'associazione
I partecipanti a uno dei corsi di italiano presso le aule dell'associazione

Qual è la sua più grande speranza?

“Nessuno di noi è eterno, perciò quando si comincia a vedere il declino delle forze resta la speranza che i nostri ragazzi sappiano prendere in mano questa realtà e farla loro per poterle dare la continuità che merita. In questo mi rinfrancano le parole di San Francesco: ‘Chi lavora con le sue mani è un lavoratore. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le sue mani, la sua testa ed il suo cuore è un artista’”.