Ibrahima Lo: “Sulla Mare Jonio ho rivissuto sulla mia pelle il dramma dei migranti”

Il 24enne è voluto tornare sulla nave di Mediterranea Saving Humans che nel 2017 lo salvò dopo il disperato e doloroso viaggio in fuga dal Senegal. “Il livello di violenza e brutalità è peggiorato ancora in questi anni”

di CLAUDIA CANGEMI -
28 settembre 2024
Ibrahima Lo (Facebook)

Ibrahima Lo (Facebook)

“Da anni desideravo tornare nel luogo dove è iniziata la mia seconda vita. Ma non ero preparato alla potenza delle emozioni che questo viaggio avrebbe scatenato in me. Al rientro ho trascorso due giorni con uno psicoterapeuta per elaborare il trauma”. Ibrahima Lo ha ancora la voce rotta mentre racconta la sua prima esperienza sulla nave Mare Jonio di Mediterranea Saving Humans. La stessa Ong che nel 2017 salvò lui, sedicenne, e segnò un lieto fine al suo calvario di migrante senegalese fuggito da un Paese (allora) oppresso da un regime illiberale.

Un’odissea che Ibra ha raccontato nel suo libro “Pane e acqua – Dal Senegal all’Italia passando per la Libia”. La sua storia ha ispirato in parte il film Io capitano” di Matteo Garrone. Accolto in una comunità, ne fu espulso al compimento dei 18 anni e si ritrovò a lavorare come uno schiavo e a vivere sotto i ponti. Poi l’incontro con persone generose che hanno creduto in lui, e la decisione di dedicare la sua vita a testimoniare cosa significa essere costretti a migrare, essere rapinati e rischiare di morire di sete, fame e fatica nella traversata del deserto, subire ogni sorta di angheria e violenza nelle prigioni libiche, convivere con le peggiori sofferenze e vedere i propri amici e compagni di sventura morire di stenti, per i pestaggi e le torture o annegati.

Instancabile, Ibrahima Lo ha percorso in lungo e in largo l’Italia e non solo, partecipando a ogni manifestazione sul tema. In questi giorni è stato a Bruxelles e Strasburgo come assistente del neoeletto europarlamentare Mimmo Lucano.

Il libro di Lo, "Pane e acqua"
Il libro di Lo, "Pane e acqua"

Che cosa l'ha indotta a fare questo “salto di qualità” e a salire sulla Mare Jonio?

“Raccontare e testimoniare è importante, e non mi tiro mai indietro. Però poi bisogna passare anche dalle parole ai fatti. Dopo anni di impegno negli equipaggi di terra di Mediterranea, ho avuto il privilegio di poter salire sulla Mare Jonio, benedetta da papa Francesco alla partenza, il 23 agosto. Dopo poche ore di navigazione abbiamo incontrato una barca di legno alla deriva carica di uomini, donne e bambini. Li abbiamo salvati e consegnati alla guardia costiera intervenuta nel frattempo. Qualche altro miglio e abbiamo incrociato un gommone già mezzo affondato. Quando ci hanno visto le donne a bordo hanno fatto il tipico grido di felicità delle africane. Infine abbiamo soccorso decine di siriani e bengalesi su un barchino di ferro: credevano di non avere più speranze, erano quasi rassegnati alla fine. In tutto Mediterranea ha salvato 182 persone nel giro di 48 ore”.

Che effetto le ha fatto ritrovarsi nella situazione che lei stesso ha vissuto anni fa?

“Vedere quegli esseri umani annaspare, gridare e pregare mi ha fatto tornare tutto in mente: il 9 giugno 2017 io e i miei compagni fummo recuperati dai volontari di Mediterranea, ma a poche centinaia di metri un altro gommone affondò. Gli operatori riuscirono a salvare una decina di migranti, oltre un centinaio però annegò sotto i nostri occhi. Ho cercato di resistere all’ondata di emozioni che mi ha travolto, sono riuscito a parlare e persino a scherzare con le persone salvate. Loro mi hanno raccontato delle torture subite in Libia: il livello di violenza e brutalità è peggiorato ancora in questi anni, con il beneplacito dell’Europa intera e dell’Italia in particolare. A quel punto non ce l’ho più fatta a reggere il ricordo di allora e la sofferenza di quelle persone. Ho pensato di buttarmi in acqua per chiedere ai pesci di quelli che in tutti questi anni sono annegati nel più grande cimitero del mondo. Avrei voluto poter portare quei racconti ai familiari in Africa. Li aspettano ma non torneranno. Non esiste tortura peggiore che ignorare per mesi o per anni se chi ami è vivo o morto. Questo pensiero mi ha fatto piangere, ma mi vergognavo e mi chiudevo nel bagno”.

Cosa pensa della politica europea e italiana sui migranti?

“Tutto il male possibile, ovviamente. L'Europa che da secoli depreda il nostro continente delle sue risorse, sfrutta i suoi abitanti e soffia sul fuoco delle cosiddette guerre tribali pretende poi che noi africani ci rassegniamo a veder morire di fame o di pallottole i nostri figli, negandoci anche la possibilità di rischiare la vita e affrontare un vero calvario per tentare di sopravvivere. La situazione non fa che peggiorare, non solo a causa della moltiplicazione dei conflitti più o meno dichiarati, ma anche per gli effetti del cambiamento climatico (la cui responsabilità ricade sui Paesi ricchi): dalla siccità ai tifoni e alle alluvioni sempre più frequenti. E cosa fa la ricca Europa? Blinda i confini e paga lautamente gli assassini. Il governo italiano è in prima fila: riempie di soldi chi è al potere in Libia e in Tunisia affinché impedisca ai profughi di partire, senza preoccuparsi o distinguere neppure tra quanti avrebbero diritto a essere accolti perché in fuga da Paesi in guerra o perseguitati da regimi liberticidi”.

Ibrahima Lo ricevuto da Papa Francesco
Ibrahima Lo ricevuto da Papa Francesco

Il cinismo della realpolitik?

“Peggio... Siamo di fronte al colmo dell'ipocrisia. Gli stessi che fingono di stracciarsi le vesti per le donne afghane e iraniane o per i civili massacrati a Gaza si fanno poi un vanto di essere riusciti a ridurre il numero dei migranti giunti sulle coste europee, perché la priorità non è tutelare i diritti umani bensì preservare i privilegi di chi ha avuto la fortuna di nascere in Italia o in Europa. Che importa se buona parte di quelli che mancano all'appello sono stati torturati e trucidati durante la fuga? L'essenziale è che muoiano in assenza di testimoni. Per questo il governo fa la guerra alle ong che tentano di salvare i migranti: pone ogni possibile ostacolo alle loro missioni, costringe le navi in porto con fermi amministrativi dettati da motivazioni ridicole, impone di raggiungere i porti più distanti per tenerle lontane dal Mediterraneo. Pretende che i soccorritori lascino agire la cosiddetta guardia costiera libica pur sapendo che i migranti preferiscono morire tra le onde piuttosto che tornare in quei lager. Addirittura impone che l'equipaggio di una nave soccorra un solo gruppo di naufraghi per poi dirigersi al porto prescritto, lasciando morire eventuali altri disperati in cui dovesse imbattersi durante la navigazione. E sta tentando di vietare i sorvoli degli aerei come Seawatch, i soli in grado di intercettare e segnalare i barconi in difficoltà alle navi che pattugliano il Mediterraneo”.

La Mare Jonio su cui si è imbarcato è stata benedetta da papa Francesco: cosa pensa di quel gesto?

“Voglio ringraziarlo dal più profondo del cuore. Io sono musulmano ma considero Bergoglio un punto di riferimento per chiunque, di qualsiasi fede o ateo che sia, creda nei valori della difesa della vita, della solidarietà e della giustizia. Quella benedizione è uno schiaffo in faccia a quanti si dicharano ferventi cristiani e ostentano il rosario mentre condannano a morte migliaia di innocenti nel nome del popolo italiano, rivendicando le loro azioni e definendole 'difesa dei confini'”.