Grecia, cade l'accusa di spionaggio per gli attivisti Sarah Mardini e Sean Binder

Nel processo di Lesbo erano imputati 24 operatori umanitari e volontari che hanno partecipato alle operazioni di salvataggio dei migranti sull'isola greca

di MARIANNA GRAZI -
17 gennaio 2023
Sarah Mardini and Seán Binder

Sarah Mardini and Seán Binder

La Corte d'Appello di Militene (Grecia) ha respinto le accuse di spionaggio e falsificazione (pene fino a otto anni di carcere) per vizi procedurali, nei confronti di un gruppo di 24 operatori umanitari e volontari impegnati tra il 2016 e il 2018 nelle operazioni di ricerca e soccorso dei migranti 'sbarcati' dal Mare Egeo sull'isola greca di Lesbo, con Emergency Response Center International (ERCI). Per quasi tutti gli imputati, tra cui Sarah Mardini, rifugiata siriana di 25 anni (protagonista, con la sorella minore Yusra, del film su Netflix "The Swimmers", che ne racconta l'eroica vicenda per salvare i migranti sul barchino in panne in mezzo al mar Egeo), e Seán Binder, cittadino tedesco 27enne, cadono dunque le accuse per questo reato minore: solo due di loro, entrambi greci, saranno rinviati a un tribunale di grado inferiore, con l'accusa di falso per uno e di concorso in un'associazione a delinquere per l'altro.

Le accuse contro Mardini e Binder

Alcune persone tengono degli striscioni durante una protesta a sostegno dei 24 imputati che stavano affrontando il processo per il salvataggio dei rifugiati, fuori da un tribunale di Mitilene, sull'isola di Lesbo, in Grecia, il 10 gennaio 2023

Mardini e Binder, però, stanno affrontando anche un caso più grave, in cui dovranno rispondere di traffico di persone, frode, appartenenza a un'organizzazione criminale e riciclaggio di denaro, reati che prevedono una pena massima di 25 anni e un tempo di prescrizione di 20 anni. Il processo è stato ampiamente criticato dai gruppi per i diritti umani. Inizialmente previsto per il 2021 ma rinviato due volte, è iniziato venerdì scorso. La decisione dei giudici è dovuta ad alcuni vizi procedurali evidenziati dalla difesa degli attivisti, come la mancata traduzione dell'atto d'accusa per gli attivisti stranieri. Prima della sentenza sulla vicenda erano intervenute anche le Nazioni Unite: "Criminalizzare il lavoro di soccorso di persone che rischiano la vita costituisce un precedente pericoloso", aveva detto Elizabeth Throssell, portavoce dell'Ufficio dell'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani. Durante una conferenza stampa, a Ginevra, la responsabile aveva anche chiesto che le accuse nei loro confronti venissero archiviate. "Le accuse contro Sean e gli altri saranno essenzialmente lasciate scadere e andare prescrizione" aveva invece sintetizzato Grace O' Sullivan, eurodeputata irlandese dei partito dei Verdi.

Le reazioni al processo

"Questa non è giustizia! La giustizia sarebbe stata un processo quattro anni fa in cui saremmo stati scagionati" afferma con forza, in un video pubblicato su Twitter, l'attivista tedesco e irlandese Sean Binder, commentando fuori dal tribunale di Lesbo la decisione della magistratura greca, che ha annullato il processo per spionaggio contro di lui e altri 23 attivisti della ong Erci. Binder, assieme a Sarah Mardini, era diventato il simbolo della campagna portata avanti da Amnesty International per chiedere l'assoluzione degli attivisti coinvolti in un processo che è stato definito "una farsa" e "il più grande caso di criminalizzazione della solidarietà in Europa", per fatti risalenti al 2018. "Non celebreremo l'ovvio", ha sottolineato anche Zacharias Keses, avvocato difensore dei due, oltre che legale di Charis Petsikos e Cleo Papapantolean. Ciononostante, il fatto che il tribunale abbia "riconosciuto gli errori commessi durante la citazione in giudizio e il rinvio è molto importante come messaggio per il processo d'inchiesta", ha aggiunto Keses.

Sean Binder a bordo di un barchino che soccorre i migranti sull'isola di Lesbo

Nils Muižnieks, direttore dell'Ufficio regionale europeo di Amnesty International, ha dichiarato: "La decisione odierna offre alle autorità una nuova opportunità di porre fine a questo calvario e di rimediare ai propri errori, facendo cadere tutte le accuse, comprese quelle più gravi di reato ancora pendenti. Gli errori procedurali citati dal tribunale, tra cui la mancata fornitura di una traduzione, non fanno che aggravare l'assurdità del fatto che le autorità greche abbiano preso di mira persone che hanno difeso i diritti di migranti e rifugiati. Esortiamo ancora una volta - ha proseguito - le autorità greche a ritirare tutte le accuse e a permettere a Sarah e Seán di tornare alle loro vite. La criminalizzazione di questi coraggiosi difensori dei diritti umani solo perché hanno aiutato rifugiati e migranti in difficoltà dimostra l'atteggiamento insensibile della Grecia e dell'Europa nei confronti delle persone che cercano sicurezza ai loro confini", conclude. L'atto processuale sarà ora rinviato alla procura e per i 24 imputati le restanti accuse per reati minori scadranno nel febbraio 2023, mentre quelle contro gli operatori umanitari, tra cui favoreggiamento dell'ingresso illegale, partecipazione a un'organizzazione criminale e frode, rimangono in sospeso.

Sarah e Yusra Mardini protagoniste de "Le nuotatrici"

La rifugiata siriana Sarah Mardini non era presente in tribunale poiché la Grecia le vieta l'ingresso per questioni di sicurezza nazionale. Fuggita da Damasco con la sorella nel 2015, aveva ottenuto lo status di rifugiata in Germania, ma era tornata nell'isola greca per partecipare come volontaria alle operazioni di soccorso dei migranti. Arrestata nel 2018 assieme a Binder, ha trascorso più di tre mesi nel carcere greco, prima di essere rilasciata su cauzione. La sua storia, assieme a quella della sorella Yusra, che ha partecipato come nuotatrice alle Olimpiadi di Rio e Tokyo, ha ispirato il film di Netflix "Le nuotatrici". "Dopo quattro anni di limbo abbiamo finalmente ricevuto qualche notizia positiva, ma questa non è giustizia: se la stessa strategia di lunghissimi rinvii e vizi procedurali viene applicata per le restanti accuse, potremmo aspettare ancora 15 anni per dimostrare la nostra innocenza": così il movimento Free Humanitarians nato per chiedere l'assoluzione degli attivisti ha commentato sulla sua pagina Twitter la decisione del tribunale di Lesbo.