Hasina, scappata da Kabul: “Mi manca, ma qui posso studiare e costruire il mio futuro”

Tre anni fa, al ritorno dei talebani, è arrivata in Italia dall’Afghanistan. Già laureanda in scienze politiche, la giovane frequenta la facoltà di informatica e oggi sogna di poter anche aiutare le ragazze rimaste nel Paese che non possono andare a scuola

di MARIANNA GRAZI -
8 settembre 2024
Hasina, 25 anni, è fuggita tre anni fa da Kabul

Hasina, 25 anni, è fuggita tre anni fa da Kabul: oggi vive e studia a Torino

Hasina (per tutela sua e della sua famiglia useremo solo il nome di battesimo, ndr) ha 25 anni, viene da Kabul e poco più di tre anni fa è riuscita a lasciare lo Stato tornato in mano al regime talebano.

Il desiderio di studiare, di formarsi, di ottenere un titolo e magari un lavoro nell’ambito che più appassiona. Sogni normali, all’apparenza, per una ragazza che ha poco più di 20 anni. Ma se le difficoltà nella propria realizzazione, qui in Italia, ci sembrano spesso insormontabili, provate a mettervi nei panni di una giovane che per poter continuare non solo a formarsi, ma anche a vivere appieno i propri diritti umani è dovuta salire su un aereo e fuggire dal proprio Paese.

Hasina è stata fortunata, molte altre sue coetanee e altre donne sono rimaste bloccate in Afghanistan. Grazie al progetto Culture Builds the Future per 10 giovani donne afghane coordinato da Fondazione Emmanuel e sostenuto, tra gli altri, da Fondazione CRT, è potuta venire in Italia e ricominciare – più o meno da dove aveva interrotto – la sua esistenza. “Il 15 agosto era il terzo anniversario (dal ritorno dei talebani, ndr). Già tre anni fa, il tempo vola…” ci racconta, parlando in italiano. Ma di lingue ne conosce tante, questa incredibile ragazza: oltre al dari (madrelingua) parla inglese, hindi, pashto e thai.

“Mi sento molto bene in Italia, qui studio e continuo il mio percorso universitario. Però quando ho lasciato il mio Paese avevo molta paura, perché non sapevo il futuro cosa mi avrebbe portato, ecco”. Arrivata in Italia è tutto cambiato: una coppia italiana l’ha ospitata per 3-4 mesi, “poi ho conosciuto Fondazione Emmanuel e Fondazione CRT che mi hanno sostenuto con una borsa di studio”.

Fondazione Emmanuel e alcuni ragazzi
Fondazione Emmanuel, in collaborazione con altre realtà, ha dato la possibilità a molti giovani provenienti da contesti difficili di poter studiare nel nostro Paese

Da quanto si trova a Torino?

“Da gennaio 2022. Sono arrivata qui a vivere, poi ho cominciato l'università. Adesso studio Informatica, a settembre comincia il mio ultimo anno, il terzo”.

Frequentava già l’università in Afghanistan?

“Ero una studentessa di scienze politiche: ero all'ultimo anno ma non mi sono potuta laureare. Ho scelto informatica perché mi piaceva già da prima ma è una scelta che qui non vedo fare tanto dalle ragazze. Siamo io e Emina, ma tra i compagni di classe, per esempio, se siamo 80 o 90 studenti, solo 7 o 8 sono ragazze. È un tema di cui abbiamo parlato tra di noi”.

E aveva già la passione per l'informatica?

“Sì, perché in Afghanistan per entrare nell’università di Kabul puoi scegliere 5 corsi di studio prima di dare l’esame di ammissione. Fatto questo ottieni un punteggio per ogni scelta ed entri in quella in cui hai raggiunto la posizione migliore in graduatoria. Le mie due scelte principali erano Informatica e Scienze politiche. Là ho studiato relazioni internazionali e diplomatiche, ma mi piaceva anche informatica, quindi ho detto vado con quella adesso”.

Cosa ricorda della sua vita a Kabul? Qual era la condizione delle donne?

“Anche prima che i talebani prendessero il potere in Afghanistan c’è sempre stata, diciamo, la guerra civile. Per questo nelle province, nelle periferie, non c’era molta libertà per le donne, mentre nella capitale c’erano sempre opportunità per noi, per le ragazze, perché in Afghanistan tra il 70 e il 75 per cento della popolazione è formato da persone tra i 15 e i 30 anni, siamo un Paese giovane. Per chi voleva studiare, poteva farlo, poteva frequentare l’università e poi lavorare anche in posti pubblici, nei ministeri o come dottoresse. I problemi, anche di violenza sulle donne, erano semmai nelle province”.

La sua famiglia come si è posta in merito al suo desiderio di studiare?

“È sempre stata molto aperta. Noi siamo cinque, non tanti rispetto le altre famiglie in Afghanistan, ho una sorella e un fratello. Anche loro hanno studiato, business management, perché i nostri genitori hanno sempre supportato questa cosa. Prima loro lavoravano con una ong”.

Hasina a Kabul, città dov'è nata e cresciuta
Hasina a Kabul, città dov'è nata e cresciuta

Com’è nata l’opportunità di venire in Italia? Ci ripercorre un po’ le tappe?

“Ho avuto la mia possibilità perché ho conosciuto una famiglia italiana quando ero in Afghanistan. La situazione è peggiorata quando sono arrivati i talebani: tutti scappavano, i governi stranieri hanno cominciato il progetto di evacuazione e tutti abbiamo pensato che quella fosse l’unica opportunità. Io ho lasciato il Paese verso l’Italia perché conoscevo questa famiglia: sono riusciti a far mettere il mio nome in uno dei voli di evacuazione ma c’era un sacco di gente che voleva lasciare l’Afghanistan, perciò mi hanno contattato per tirarmi dentro, diciamo. La situazione era molto pesante. Io sono entrata all'aeroporto di Kabul facilmente, non ho visto tanta difficoltà”.

Dopodiché arrivata qua…?

“Sono venuta a Milano a settembre 2021 e sono rimasta fino a dicembre. Frequentavo un corso d'italiano di livello A2/B1. Ho voluto imparare subito la lingua e questa famiglia mi ha aiutato: fin da subito ero intenzionata a riprendere gli studi. Grazie alle conoscenze della coppia sono entrata in contatto con Fondazione Emmanuel e quando hanno pubblicato il bando per le borse di studio e li ho contattati. Mi hanno fatto una specie di intervista per conoscermi e dopo un paio di giorni mi hanno chiamata per vederci a Torino, la città che avevo scelto tra le varie opzioni, e qui c’erano altre due ragazze, una con Fondazione San Paolo, una con REAM SGR e io con CRT”.

Che periodo era? E in cosa consiste il progetto?

“Quando ho conosciuto l’ente che ci ha sostenuto era febbraio 2022. Ero e sono davvero molto contenta di avere. Non c’è solo una borsa di studio, ma anche il trasferimento a Torino e tutta la parte di servizio annessi, compreso l’alloggio, è sotto questa tutela, altrimenti sarebbe impossibile”.

Oltre all’università ha qualche passione particolare?

“Sì, per imparare nuove lingue e vedere tanti posti. E mi piace la musica. Invece non sono molto sportiva (ride)”.

Le manca l'Afghanistan?

“Sì, certo, è il mio Paese dove sono nata, dove sono cresciuta. Mi manca tanto. Poi è anche molto bello, non tutti sanno questa cosa”.

Nella vita di tutti i giorni qual è il cambiamento più importante che hai vissuto? “Secondo me adesso sono più responsabile. Quando sono venuta qui avevo 21 anni, prima i miei genitori erano mio fratello e mia sorella, io sono la più piccola e non mi sentivo la responsabilità. Pesavo solo a frequentare l'università mentre adesso quando guardo al futuro, il mio e della mia famiglia, mi sento di dover fare tante cose”.

Hasina all'Università di Torino
Hasina all'Università di Torino

Lei può costruire il suo futuro, ma nel suo Paese oggi le ragazze, le bambine, non possono continuare a frequentare la scuola: che impatto può avere?

“Mi dispiace molto per loro. Ci sono tantissime giovani che non possono neanche lavorare. Spero che questa cosa cambi ma secondo me è difficile, perché in poco tempo e non si possono cambia tante cose. Dipende dal governo e dalle comunità internazionali capire come supportare le donne e la gente dell’Afghanistan”.

E Hasina adesso che è pronta a laurearsi cosa vuole fare?

“Come si dice, excited in italiano? Sono eccitata, molto ottimista di poter lavorare con il mio corso in informatica. Mi piace tanto, per esempio, disegnare i programmi, i website, i siti internet”.

Le piacerebbe aiutare le donne afghane?

“Certamente. E non sono sola, anche altri ragazzi e ragazze, che sono usciti e non sono in Italia ma in altri Paesi, hanno questa cosa in mente per il futuro. Vogliamo capire che cosa possiamo fare per aiutare; adesso non possiamo fare niente, perché non abbiamo granché da offrire, però per il futuro speriamo, sì”.