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Il violino della Shoah, la storia dell'inferno di Auschwitz risuona grazie a una donna

Appartenuto alla 16enne musicista ebrea Eva Maria che lo tenne con sé fino alla morte nel lager. Recuperato dall’ingegnere Carlo Alberto Carutti, continua a suonare grazie a Alessandra Sonia Romano

di GUIDO GUIDI GUERRERA -
3 febbraio 2024
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Quella che stiamo per raccontare è la storia di un violino unico nel suo genere. Il violino della Shoah, capace di disegnare con le note davanti ai nostri occhi, con il suo suono mai sopito, l’immane tragedia di un popolo oppresso e perseguitato fino allo sterminio. Tutto ha inizio quando questo straordinario strumento viene scovato dall’ingegnere Carlo Alberto Carutti, appassionato di oggetti rari, nel negozio di un mercante d’arte torinese una decina di anni fa. L’esperto si rende subito conto di trovarsi di fronte a un pezzo di pregevole valore, un Collin Mézin costruito in Francia sul finire dell’800. Ma la cosa singolare e davvero interessante sarà scoprire che al suo interno nasconde il segreto rivelatore della sua provenienza: un biglietto con su scritta – a matita – una frase musicale di sei battute, nella quale è inserito un gruppo di numeri che fanno subito pensare a quelli tipici delle matricole in uso nei campi di concentramento tedeschi.
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Alessandra Sonia Romano suona il violino appartenuto a Eva Maria Levy

Carutti non tarda a scoprire che quel violino, su cui è impressa una Stella di David in madreperla, era appartenuto alla matricola 168007 corrispondente a Enzo Levy, unico sopravvissuto di una famiglia italiana condotta una mattina di novembre del '43 ad Auschwitz Birkenau.

I fratelli Enzo e Eva Maria ad Auschwitz

Enzo, la madre e la sorella Eva Maria, chiamata con affetto Cicci, dopo essere stati condotti in carcere vengono scortati fino al famigerato binario 21 da dove inizierà il loro viaggio verso l’orrore. La madre verrà immediatamente uccisa nelle camere a gas mentre il destino vuole che la giovane musicista venga momentaneamente risparmiata per i meriti della sua arte, che le consentono di entrare a far parte dell’orchestra ebraica organizzata dai tedeschi per il proprio divertimento. Enzo viene invece spedito nei cosiddetti campi di lavoro, da dove alla fine riuscirà a trovare una via di fuga. Come animato da uno spirito misterioso, il violino si trasforma in ambasciatore tra i fratelli che con messaggi cifrati riescono a comunicare tra loro, facendo così sapere l'un l'altro di essere ancora in vita. Poi tutto finisce, anche la guerra, ma a persistere sono le ombre pesanti di quella tragedia immane. E ancora una volta il Collin Mézin diventa testimone di quei giorni tremendi e ambasciatore di auspicabile nuova speranza.
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Eva Maria e Enzo Levy

Il violino della Shoah: da donna a donna

Fa bella mostra di sé, in quel 2016, in una sala museo di Cremona e la violinista Alessandra Sonia Romano che lo nota viene rapita dal fascino quasi surreale che emana. Sta per essere chiamata a esibirsi nel suo concerto, ma lei continua a non staccare la mente da quello strumento e lo racconta al suo proprietario, quando va a congratularsi con lei dopo l’esecuzione. Le corde del violino della Shoah, perfettamente restaurato, vibreranno ancora una volta tra le mani di una donna, una famosa concertista come lo era stato all’epoca Eva Maria, quasi a chiudere un cerchio che aspettava solo di diventare perfetto. 'Cicci', morta a soli 22 anni, a cui era stata negata la possibilità di una carriera per colpa delle leggi razziali imposte da una dittatura cieca e brutale, vive ancora grazie alla bravura e alla sensibilità di Alessandra: quando l’archetto tocca le corde accade il miracolo di due anime che unite dalla meraviglia della musica si fondono in un tutt’uno. Alessandra, ci racconta come ha avuto tutto inizio? "Era il 2016 ed ero stata invitata a esibirmi in un concerto al Museo Civico di Cremona, dove si trovano allestite le cosiddette 'Stanze della musica' in cui si trovavano alcuni strumenti musicali da collezione offerti in comodato d’uso dal collezionista Carlo Alberto Carutti.
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La musicista racconta le emozioni provate nel suonare quel particolare strumento dall'inestimabile valore storico

In una di queste stanze si trovavano due pezzi di notevole valore: un mandolino della prima guerra mondiale e un violino proveniente dai campi sterminio, uno strumento bellissimo dell’800 francese fabbricato dal liutaio Collin Mézin e venduto a Torino a Edgardo Levy, che lo acquistò per donarlo alla figlia 16enne, Eva Maria, poco prima del 1938. Solo a vederlo sono rimasta letteralmente folgorata e con quella emozione nel cuore sono andata a fare il mio concerto. Al termine ho avuto la visita del proprietario del violino che con mia inimmaginabile sorpresa mi ha chiesto di suonarlo". Due donne lombarde, lei e Eva Maria Levy, unite dallo stesso strumento… "Io lo sono, lei no. Ha abitato durante la guerra a Tradate in Lombardia ma era nata a Verona e poi con la famiglia si era trasferita a Torino. Diciamo che proprio in terra lombarda si è deciso il suo destino, quando un brutto giorno è stata portata via dai tedeschi e mandata a morire ad Auschwitz. Alla stazione di Milano le viene proibito di portare con sé qualunque bagaglio, ma Eva non intende separarsi dal suo violino per niente al mondo e così lo nasconde sotto il cappotto riuscendo ad eludere la sorveglianza. Lo porterà con sé in quell’inferno sulla terra, quale simbolo non solo della sua arte ma della propria emancipazione come donna, con l’orgoglio di essere ebrea". Quando si esibisce con quel violino, divenuto ormai famoso, si sente vicina a Eva? “Ovviamente sì. Soprattutto per il fatto che noi violinisti siamo convinti che parte della nostra anima rimanga imprigionata all’interno del nostro strumento con il quale si stabilisce un rapporto di affinità totale.
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Eva Maria Levy

Quindi tutte le volte che suono il violino di Eva, la sento non solo vicina ma addirittura dentro di me. Non c’è dubbio che quando impugno il violino della Shoah il mio modo di suonare si trasforma e diventa assolutamente diverso rispetto al solito modo di esibirmi. Tutti i miei concerti eseguiti con quello strumento li dedico sempre a quella giovane musicista morta a soli 22 anni, senza poter compiere il percorso professionale cui avrebbe avuto diritto. Per me Eva è diventata di fatto una persona di famiglia alla quale sono affezionata come ad una sorella".

L'amore per la musica e l'importanza della storia dello strumento

Com’è nato il suo interesse per la musica ebraica? "È un legame che c’è sempre stato: si tratta di un genere ricco di pathos che è molto in sintonia con il mio modo di sentire, con il mio stesso carattere. Mi è stato ripetuto come quelle esecuzioni siano diventate un po’ il mio cavallo di battaglia e a questo punto sono la prima a volerlo credere. Personalmente la trovo una musica così ricca di passione e disperazione da toccare le corde più profonde del sentimento e a coinvolgere in modo assolutamente unico mentre si ascolta". Lo strumento della musicista ebrea continua a raccontarci una storia atroce ma è anche simbolo di resilienza... "Lo considero senz’altro un mezzo di comunicazione molto potente, in quanto emblema stesso dell’olocausto e questo l’ho potuto constatare specialmente quando porto il violino nelle scuole. La sua voce ‘parla’ ed è capace di far arrivare messaggi di una testimonianza tangibile a tutti i ragazzi che così riescono meglio di qualunque altra lezione a immedesimarsi in questo terribile dramma. In modo particolare noto come le giovani musiciste avvertano immediatamente una corrente empatica molto forte con la sventurata Eva".
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Romano porta il violino anche nelle scuole per raccontarne la storia

Uno violino speciale, custode di segreti… "Sì , all’interno della cassa armonica è stato trovato un piccolo biglietto con sei battute musicali e la scritta in tedescon 'la musica rende liberi'. Una sorta di pentagramma che invece della divisione delle battute ha disegnati i paletti del filo spinato mentre tra le note una serie di cifre corrispondono al numero di matricola del fratello di Eva, Enzo. Un modo per far capire alla sorella che era ancora vivo". Se lei fosse Eva agirebbe con lo stesso sfrontato coraggio? “Per fortuna viviamo in un contesto molto diverso. Tuttavia mi sono accorta che, a causa dell’ondata sempre più preoccupante di antisemitismo, portare con me quel violino e affrontare certi argomenti ripercorrendone la storia mi procura spesso non pochi timori. I rischi ci sono e non posso sottovalutarli, ma nonostante ciò sono determinata a proseguire e andare avanti perché trovo giusto che sia così". La musica ha sempre avuto un ruolo primario nella conciliazione tra popoli. Ritiene che potrebbero essere così anche per dire basta ai conflitti in atto? "La musica è capace di veicolare i messaggi molto importanti e da sempre è stata fermento e motivo di pacificazione in tante situazioni di crisi. Il suo linguaggio d’amore è planetario e può essere compreso istantaneamente da chiunque perché riesce a toccare il cuore. Certo, quelli che stiamo attraversando sono momenti molto turbolenti e i segnali davvero poco incoraggianti. Per questo il violino della Shoah dovrebbe essere emblema e monito per eccellenza di atrocità che non dovrebbero più esistere sulla faccia della terra. Ma come faccio ad essere ottimista, con tutto quello che ogni giorno è davanti ai nostri occhi? Non ci resta, perciò, che sperare".