Con la passione della musica e del canto addosso, Giorgia Meneghesso è una giovane donna di Varese molto attiva e impegnata soprattutto nel condurre campagne di informazione sulla cosiddetta osteogenesi imperfetta, disabilità di cui lei stessa è affetta. Laureata in Lingue e letterature straniere all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha ottenuto due master in Traduzione letteraria e in ambito scientifico-tecnologico. Quest’ultima specializzazione le ha consentito di occuparsi con maggiore competenza delle persone con disabilità motoria, con l’intento principale di salvaguardarne i diritti attraverso una profonda opera di sensibilizzazione.
In qualità di rappresentante regionale di As.It.O.I (Associazione italiana osteogenesi imperfetta) Meneghesso, oltre ad essere attiva sul fronte della comunicazione, fa anche parte del Gruppo Donne Uildm (Unione italiana lotta alla distrofia muscolare), collabora a congressi medici e organizza eventi, creando un fil rouge tra strutture ospedaliere e pazienti. In qualità di artista è ideatrice di spettacoli di crowdfunding e come attivista partecipa a festival e manifestazioni: occasioni preziose che le permettono di far conoscere le proprie doti canore e che nel contempo le offrono l’opportunità di affrontare con il pubblico presente i temi delicati legati a discriminazione, alla disabilità e a ogni forma di emarginazione che abbia a che vedere con il fenomeno dell’abilismo: “Uno stigma che ancora oggi accompagna le persone disabili e che le fa ritenere inferiori e meno valide – afferma Giorgia –. Si tratta di un vero e proprio paradigma culturale responsabile di una serie di discriminazioni che riguardano ogni aspetto della nostra società”.
Giorgia, come si superano le barriere imposte da una disabilità?
“Credo che le barriere non siano imposte solo dalla disabilità, anche perché mettendola in questo modo sembra che quest'ultima sia un ‘problema’ o una responsabilità che ricade solo sulla singola persona con disabilità. Credo invece che le barriere derivino dall'incontro tra un corpo o una mente che funzionano diversamente, con delle limitazioni causate da una malattia, da un incidente, dall'età e via dicendo, in una società che non offre gli strumenti per superare questi limiti. Un contesto sociale che non è pensato per essere vissuto, occupato e abitato per tutti i tipi di corpi e di menti. La disabilità è un fatto che riguarda tutta la società e il primo passo per cambiare le cose è essere consapevoli delle tante discriminazioni che ancora esistono nei confronti delle persone disabili”.
Lei è una cantante e musicista. In quale misura questa sua dimensione artistica può svolgere un ruolo terapeutico?
“La musica e il canto possono essere anche terapeutici perché permettono di esprimere sé stessi e le proprie emozioni. Infatti, diversi allievi, dopo una lezione, mi hanno detto che è stato come fare una sorta di seduta di terapia psicologica, perché mettendosi un po' a nudo si esce dalla propria comfort-zone.
Inoltre, studiare una tecnica vocale permette di aumentare la ‘propriocettività’, ovvero la possibilità di diventare più consapevoli del proprio corpo. La capacità di ascoltarsi è un aspetto importante, che a causa del ritmo di vita frenetico imposto dalla nostra società spesso tendiamo a sottovalutare”.
È stato difficile per lei ritagliarsi uno spazio nel mondo dello spettacolo?
“Non lo nascondo, è stato ed è difficile. Vivere di musica dal vivo è dura per tutti, ovviamente bisogna studiare molto ed essere sempre preparati, come in ogni campo. Ma come donna con disabilità, ho subito la doppia discriminazione di maschilismo e abilismo. Quando mi sono affacciata al mondo della musica in modo professionale, negli anni 90’, sono stata spesso giudicata in base al mio aspetto fisico e considerata non abbastanza bella, o non in grado di cantare, o ancora esclusa da spettacoli a causa di barriere fisiche, quali per esempio locali pieni di scale e con palchi irraggiungibili. Per questo ho avuto meno possibilità di fare gavetta e di formarmi professionalmente, aspetti fondamentali di questo mestiere”.
Quanta carica, quante energie attinge dalla musica?
“La musica è sempre stato il mio motore. Nel corso degli anni infatti ho deciso di utilizzarla per parlare delle tematiche che mi stavano a cuore come i diritti delle persone con disabilità e in particolare delle donne disabili. Per questo è nato il mio spettacolo I was Born this Way, nel quale racconto la mia esperienza come donna e artista disabile. È un dialogo con il pubblico che accompagno in un viaggio tra concetti come l’abilismo e le canzoni che hanno segnato la mia vita suonate dal vivo con nuovi arrangiamenti e cantate da me".
In che modo è stato accolto il suo show?
“Lo show è andato in scena due volte, al Disability Pride di Bologna e al Quarto Stato di Cardano al Campo e ha ottenuto il favore del pubblico con molte recensioni positive e diversi articoli a sostegno. Avrò la possibilità di rimetterlo in scena il 21 settembre al Festival delle Abilità presso Chiesa Rossa a Milano e sto cercando un produttore per poterlo portare in tour.”
È stata mai oggetto di discriminazioni?
“Come dicevo prima, ad una donna si chiede di essere attraente e avendo un corpo non conforme sono stata spesso giudicata inadatta nel mondo dello spettacolo. Ci sono state persone che semplicemente vedendomi più bassa, o seduta su una sedia non mi ritenevano in grado di cantare. Corsi di formazione ai quali non ho potuto partecipare perché molte scuole di musica sono private, quindi non obbligate ad essere accessibili. Sono stata scartata a provini di alcuni musical perché i teatri della tournée non sarebbero poi stati accessibili e via così. Anche pochi mesi fa sono stata scartata da una band non per mancanza di bravura, ma perché mi è stato detto che nel mondo della musica l’apparenza è fondamentale, sottintendendo che il mio aspetto non andasse bene”.
Lei parla spesso di abilismo. Vuole spiegare il concetto ai nostri lettori?
“Si intende lo stigma che ancora oggi accompagna le persone disabili e che le fa ritenere inferiori e meno valide. È un vero e proprio paradigma culturale che porta ad una serie di discriminazioni che riguardano ogni aspetto della società. Quando si parla di discriminazione nei confronti delle persone con disabilità si pensa subito al fatto che fino a non molto tempo fa le persone disabili venissero sterminate, rinchiuse in strutture, o subissero violenze. Oggi si assiste un po’ meno a questi episodi, ma non significa che non esistano. La discriminazione è subdola e la ritroviamo in ogni situazione: dal parcheggiare negli stalli per le persone con disabilità all’utilizzare battute sulla 104, o nomi di malattie come offese, alle barriere architettoniche che non vengono abbattute, ai tagli sulle misure per la vita indipendente, alle pensioni ridicole per cui nessuno protesta, all’ispiration porn di cui abbiamo appena avuto un esempio alle Olimpiadi di Parigi, al pietismo, fino ad arrivare alle violenze e alla segregazione”.
In che modo guarda il mondo e come pensa che il mondo ricambi il suo sguardo?
“Guardo al mondo con speranza e vorrei che a sua volta il mondo mi vedesse come persona nella mia interezza, non solo come ispirazione o con sguardo pietistico per la mia disabilità”.
In che modo sta cambiando la sensibilità delle persone riguardo la disabilità?
“Grazie al web e ai social c’è molta più diffusione di informazioni ed è più facile raggiungere un numero maggiore di persone. Questo fa sì che anche i temi che riguardano la disabilità escano dalla bolla di chi è direttamente coinvolto e che si stia incominciando a creare realmente attenzione a riguardo. Bisogna costruire sempre più cultura sulla disabilità e smetterla di parlare per stereotipi. Da sempre assistiamo a narrazioni drammatiche o eroiche, dove si pensa ‘ai disabili’ come ‘altro dalla società’, attraverso cui fare delle buone azioni o da vedere come fonte di ispirazione. Invece siamo persone e dobbiamo incominciare a parlare della realtà, fatta di pensioni bassissime, di diritti che ancora vanno esigiti, come la vita indipendente, il lavoro, la sessualità e via discorrendo”.
Ha più fiducia in sé stessa o nel prossimo?
“Diciamo che ho un po’ più di fiducia in me stessa che nel prossimo, ma che grazie all’attivismo che portano avanti per molte persone con disabilità nei social e nella vita reale, e a diversi gruppi e collettivi con cui sono venuta in contatto, ho speranza che piano piano le cose inizino a cambiare”.
Cosa immagina nel suo futuro?
“Assistere al cambiamento di paradigma, a un diverso sguardo sulla disabilità e far capire alle persone che l’abilismo esiste e può essere riconosciuto. Non è facile, ma qualcosa si sta muovendo e nel futuro immagino che tutti saranno più consapevoli. Il mio sogno? Mi piacerebbe tanto vedere persone disabili nei posti di potere di aziende e politica, soprattutto rappresentati e supportati in modo adeguato dai media”.