“Quando vedo una famiglia con un bambino disabile, con lo sguardo cerco subito di vedere se c’è un fratello o una sorella. E comincio a piangere, è più forte di me”. È uno dei tanti messaggi che arrivano dalla comunità dei sibling, la parola usata in tutto il mondo per definire i fratelli e le sorelle di persone con disabilità. Una vita speciale, la loro, a volte molto complessa, soprattutto nell’infanzia: le famiglie ruotano intorno al figlio più fragile, e loro finiscono spesso in secondo piano. Facile capirlo da grandi, più difficile quando si è bambini. Il rischio è quello di crescere non solo con il senso di colpa per essere 'normodotati', ma anche con la preoccupazione costante di doversi prendere cura del fratello o della sorella disabile, soprattutto nel futuro, quando i genitori non potranno più farlo.
Ma a chi dire queste cose? Come confessare il travaglio di chi, all’apparenza, è la parte fortunata della famiglia? Margherita Tercon è una di loro e ha fatto un lungo cammino prima di ritrovare il suo nome, la sua identità autonoma e distinta da quella di "sorella di Damiano", autistico dalla nascita. Ha 32 anni, abita a Rimini e ha scoperto la comunità dei siblings per caso, in un evento a cui era stata invitata con il fratello nella giornata mondiale dedicata alla disabilità. Per la prima volta è diventata lei la protagonista, la persona da ascoltare e aiutare, e le si è aperto un mondo. Oggi è uno dei punti di riferimento dei fratelli e delle sorelle sibling. Ne parla sui suoi profili social (su Instagram: @la_panzer) e in un anno ha ricevuto centinaia di messaggi e richieste di ascolto. Cosa ha provato quando ha scoperto che qualcuno si occupa anche di voi? "È stata una grande svolta. È incredibile che nessuno consideri mai i fratelli e le sorelle dei disabili, che sono molto importanti per l’equilibrio della famiglia. Ci sono gruppi di supporto per tutti, ma per i fratelli, che vivono una vita complicata e che spesso sono l’unico futuro di quelle persone, non esiste niente". Dovesse elencare le caratteristiche in comune a tutti i sibling? "La cosa inevitabile in tutte le famiglie in cui c’è un figlio disabile è che il centro dell’attenzione sia lui o lei. E il figlio non disabile passa inevitabilmente in secondo piano. Ma da bambini è difficile capirne il motivo, così come è difficile capire, sempre da bambini, perché il rapporto con il fratello o la sorella non può essere reciproco: perché lui può picchiarmi, ad esempio, e io no? Cosa ho di diverso?". È stato così anche per lei? "Mio fratello ha 9 anni più di me, e ciò nonostante io ero mentalmente più grande di lui. Era strano. Non era il classico fratello più grande, protettivo come i fratelli maggiori delle mie amiche. Mi chiedevo: perché?". Quando ha cominciato a capire? "Non è da piccoli che si prende coscienza. Io sono nata con un fratello che era disabile e per me era la normalità. Ho cominciato a rendermene conto più da grande, con il contatto con l’esterno, con altre famiglie. Allora vedevo bene le differenze e mi sono fatta delle domande". Di cosa ha sofferto, da sorella di Damiano? "Mi sono resa conto di essere cresciuta con il senso colpa verso molte persone, soprattutto i genitori. Ricordo certi momenti di tensione e preoccupazione in famiglia e il mio problema era quella di pesare il meno possibile. Ho trovato una lettera che ho scritto a 10 anni ai miei genitori dalla vacanza, dicevo loro che avere un figlio in meno in casa sarebbe stato meglio. Poi il senso di colpa verso il fratello, sempre: se vado in vacanza e non lo porto con me, se riesco a fare cose che lui non può fare, se sto con gli amici senza portarmelo dietro". E si cresce più in fretta, più bravi? "Sì, ho sempre avuto la sensazione di dover essere efficiente, più brava possibile, di dover trovare in fretta un lavoro con un buon guadagno, perché un giorno mi sarei dovuta occupare anche di lui". Quindi essere un sibling porta a essere più forti? "A volte sì, questa vita aiuta, porta ad essere più determinati a crescere in fretta per non pesare su una famiglia già appesantita e a raggiungere obiettivi e successi". Sui suoi profili social è diventata un punto di riferimento per altri fratelli come lei. Gli esempi più dolorosi? "Alcuni raccontano di aver fatto cose molto forti per attirare l’attenzione dei genitori, tutta rivolta al fratello o alla sorella disabile. Come cercare di stare male, di ammalarsi, tentare cose pericolose fino ad andare in ospedale". Lei non ha avuto bisogno di questi espedienti? "Per fortuna no, i miei genitori hanno cercato di non farmi sentire il peso di mio fratello. Hanno cercato di farci stare uniti e di puntare su un’alleanza naturale fra fratelli. So di altri che invece sono proprio cresciuti con il compito di diventare caregiver dei loro fratelli disabili. E sono stata io a parlare per prima del futuro, del dopo di loro. Loro non ne hanno mai fatto cenno. Molti sibling sentono che la loro identità è legata a doppio filo con quella del fratello o sorella, cosa che può limitare molto la propria realizzazione personale". Cosa consiglia alle famiglie? "Di lasciare che ogni figlio faccia esperienze fuori dalla famiglia, per formarsi e trovare la loro identità. Io sono stata fortunata, ho potuto studiare in altre città, anche all’estero, sono potuta diventare Margherita, e non solo 'la sorella di Damiano'. E così quando sono tornata, ho potuto scegliere di stare con lui e non sentirlo come un obbligo o come la risposta ai miei sensi di colpa. Ora stiamo molto insieme e abbiamo progetti comuni". Cosa direbbe ai genitori di figli 'diversi' come voi? "Di non concentrarsi solo sui deficit, sulle mancanze del figlio disabile, ma sulle loro capacità e potenzialità. L’obiettivo di tutti, nella vita, è essere felici con se stessi, non in rapporto agli altri. E siccome le persone come mio fratello, che nascono così, non hanno consapevolezza di quello che gli manca, bisogna aiutarlo solo ad essere felice, come tutti noi. Devono cambiare punto di vista. I limiti, a volte, sono nella nostra testa". E per Damiano su cosa avete puntato? "A lui piace stare in mezzo alla gente ed esibirsi, e io ho deciso di farne un lavoro per me e per lui. Ho smesso di guardarlo come quello che non può fare le cose, e siamo felici entrambi".Visualizza questo post su Instagram