Non c’è Sanremo senza polemiche. E se poi le proseguono anche dopo la finale anche meglio, vale il detto ‘purché se ne parli’. Meglio ancora – in termini di ascolti, meno di gradimento politico e ora capirete perché – se si parla di temi ‘pruriginosi’ come la questione gender, queer, omosessuale o che dir si voglia.
L’anno scorso fu il bacio tra Rosa Chemical e Fedez, quest’anno se si tolgono il ‘caso Travolta’ e la ‘bufera Ghali’ (che tra l’altro ha ancora strascichi a giorni di distanza), l’episodio – meglio, il mancato episodio – che ha fatto discutere in questi giorni post sanremesi è stato l’outing a Marco Mengoni e Mahmood, che alcuni giornalisti hanno definito “gay dichiarati”.
L’outing a Mengoni e Mahmood
Roberto D'Agostino e Peter Gomez, durante la trasmissione “Che sarà” condotta da Serena Bortone, hanno fatto riferimento all’orientamento sessuale dei due cantanti, che però non hanno mai reso dichiarazioni sull'argomento, nonostante le pressioni e le insinuazioni negli anni non siano mancate. Nessun coming out, solo un vergognoso outing da parte di due professionisti dell’informazione – di nome almeno – che in modo irrispettoso commentano il festival. “Quest'anno Mengoni, che è gay dichiarato, con il giochino dell'ammazzamosche ha baciato solo donne", proclama quasi deluso il direttore di Dagospia. “Anche Alessandro è gay dichiarato”, aggiunge poco dopo l’altro, a capo dell’edizione online del Fatto Quotidiano, riferendosi a Mahmood.
Immediata la reazione sul web, in cui si sono moltiplicati i commenti arrabbiati e indignati contro i giornalisti e anche contro la conduttrice, che non avrebbe preso le distanze da quelle dichiarazioni. “Una delle cose più schifose che possa fare una persona è fare outing ad un'altra che non hai parlato del suo orientamento. Vi dovete vergognare!", si legge in un post. “Nessuno e ripeto NESSUNO dei due ha mai fatto dichiarazioni simili e anche se l’avessero fatto È LA LORO VITA e questo NON DEVE influenzare il giudizio su di loro. IMPARATE AD AVERE RISPETTO DELLE PERSONE", scrive un'altra utente.
Coming out e outing: che differenza c’è
Ma perché tanto clamore per queste frasi? Semplice, perché fare outing a una persona è una delle azioni più discriminanti, offensive e pericolose che si possano fare, visto che va a intaccare la sfera più intima, privata del soggetto in questione, rivelando senza il suo consenso un dato sensibile (e presunto).
Visto che si tratta di un argomento particolarmente delicato da trattare è quindi importante sottolineare la differenza, fondamentale, tra i termini ‘Coming out’ e ‘Outing’, spesso confusi – soprattutto in passato – quando si fa riferimento al momento e al modo in cui viene reso noto l’orientamento sessuale di una persona considerata eterosessuale e cisgender fino ad allora. Intanto è fondamentale ribadire che le due espressioni non sono affatto intercambiabili, che una indica l’azione volontaria e direttamente compiuta mentre l’altra una cosa subita senza consenso. Quindi torniamo a rileggere insieme le definizioni, in modo da chiarire una volta per tutte come stanno le cose.
- COMING OUT: parola inglese che letteralmente significa "uscire fuori", cioè dichiararsi o rendersi visibile. Si usa quando una persona decide di dichiarare volontariamente il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere. Esempio: “Mamma/papà/amic* voglio dirvi che io sono gay/lesbica/bisessuale...”. Ovviamente, ma repetita iuvant, non è obbligatorio.
- OUTING: parola inglese che significa rendere pubblico l'orientamento sessuale o l’identità di genere di una persona terza, senza il suo consenso. Esempio: Mario dice a Paolo: “Sara è lesbica” (in questo caso Sara non ha dato il suo assenso alla rivelazione o voleva tenerla segreta o farsene carico in prima persona).
Ecco, qui torniamo al caso scatenante: D’Agostino e Gomez hanno fatto esattamente questo, hanno infranto come ruspe contro un castello di sabbia la sfera privata dei due cantanti, in diretta televisiva (sulla Rete pubblica statale, non su Tele Norba), sbandierando ai quattro venti dichiarazioni non supportate da prove, vantando di conoscere Mengoni e Mahmood anocr meglio di quanto, evidentemente, loro conoscono se stessi. Un’altra occasione persa per tacere, o almeno per concentrarsi sulla musica, più che su chi la fa.