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Home » Scienze e culture » Cambiamento climatico: la tragedia della Marmolada è solo il primo avvertimento di un disastro annunciato

Cambiamento climatico: la tragedia della Marmolada è solo il primo avvertimento di un disastro annunciato

Nel 2021 ci sono stati 432 disastri naturali nel mondo. Il crollo di un pezzo del ghiacciaio sulle Dolomiti ha riacceso un dibattito allarmante: quanto tempo rimane?

Domenico Guarino
6 Luglio 2022
Marmolada crollo

Un frame tratto da un video del Soccorso Alpino del ghiacciaio della Marmolada, 5 luglio 2022. (ANSA/SOCCORSO ALPINO)

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Domenica 3 luglio l’ultima tragedia: un seracco del ghiacciaio della Marmolada si è distaccato, franando a valle e portando con sé tutto quello che ha trovato sul suo corso. Comprese le persone: il bilancio parla di 7 morti e 8 feriti, ma ci sono ancora dispersi. Le speranze pochissime. Un crollo improvviso ma non inatteso, secondo gli esperti. Le persone che hanno perso la vita sono vittime di una natura che si ribella alla mano dell’uomo. Un circolo vizioso crudele, che non sembra avere fine.

Crolla ampio seracco di ghiaccio sulla Marmolada
Un importante seracco di ghiaccio è crollato sulla Marmolada: il distacco, secondo informazioni del Soccorso Alpino, si sarebbe verificato nei pressi di Punta Rocca, 3 Luglio 2022. (ANSA/SOCCORSO ALPINO)

Siccità, temperature estreme, alluvioni, tempeste, frane, incendi: secondo l’ultimo report del centro Emdat (“The international disaster database“) solo nel 2021 ci sono stati 432 disastri naturali nel mondo, che hanno causato un totale di oltre 10mila decessi, con un costo complessivo stimato in 252,1 miliardi di dollari. Una situazione tragica. E come se non bastasse, sempre secondo la stessa ricerca, il numero di disastri nel 2021 è stato significativamente superiore rispetto alla media del periodo 2001-2020, quando abbiamo avuto una media di 357 eventi ogni anno, a fronte di un costo di 153,8 miliardi di dollari.

Insomma, il cambiamento climatico vale (oramai) per tutti, nessuno escluso. Tuttavia non costa allo stesso modo a tutti. Anzi, la crisi climatica continua a inasprire disuguaglianze preesistenti. E tutto lascia presagire che questa nuova fase della crisi climatica andrà ad ampliare il divario economico tra i Paesi più ricchi e i Paesi più poveri del mondo. Ad evidenziarlo è il nuovo report di Oxfam rilasciato pochi giorni fa. A causa del tenore di vita molto alto, gli abitanti dei Paesi più ricchi sono infatti inevitabilmente quelli che consumano più energie e di conseguenza inquinano di più. Dunque sono i maggiori responsabili del cambiamento climatico. Di contro, quelli più poveri, pur essendo quelli che meno contribuiscono al cambiamento climatico, risultano i più colpiti dalle conseguenze che ne derivano. E per di più sono meno forniti di infrastrutture, barriere e tecnologie per difendersi dagli eventi climatici estremi. Senza contare che ricevono aiuti insufficienti dai paesi più ricchi.

Marmolada rischio distacco
Marmolada. Foto tratta dal profilo Facebook di Carlo Budel, Trento

Disuguaglianze tra i Paesi, più sono ricchi più inquinano, i più poveri subiscono

L’Italia ad esempio, con circa 325 milioni di tonnellate di Co2 emesse ogni anno, pesa più del Pakistan (208 milioni),che pure ha una popolazione circa 4 volte più grande del Belpaese, ma meno dell’Arabia saudita (515 milioni), che ha appena 34 milioni di residenti, la metà dei nostri. In generale le nazioni ad alto reddito – i Paesi membri dell’Ue, l’Australia, la Nuova Zelanda, gli Stati Uniti, il Giappone, Israele, nonché molti Stati della penisola arabica – emettono anidride carbonica in misura significativamente maggiore rispetto ai paesi più poveri. E nonostante se ne faccia oramai un gran parlare, questi stessi Paesi, dove l’opinione pubblica e la stessa politica, almeno a parole, appaiono più sensibilizzate sul tema, non hanno registrato riduzioni significative nel tempo. Anzi, rispetto al 1990 (11,5 miliardi di tonnellate di Co2) le emissioni nel 2018 risultano addirittura aumentate (12,4 kt). Va sottolineato tuttavia che dal 2010 i valori risultano in costante, anche se lieve, calo.

Sono però i paesi a reddito medio (tra gli altri, Cina, India, Pakistan e Nigeria) ad aver registrato l’aumento più significativo: +140,6% in quasi 30 anni. Di fatto, gli unici paesi ad aver registrato dei valori calo nel periodo considerato sono stati i paesi a basso reddito. Questi erano già i minori responsabili di emissioni nel 1990, quando emettevano quantitativi equivalenti ad appena l’1,6% della Co2 emessa dai paesi ricchi. In questi stati, in 28 anni le emissioni sono diminuite del 21,4%. Parliamo in questo caso perlopiù di paesi africani, cui si aggiungono Afghanistan, Siria e Corea del nord.

inquinamento Paesi a basso reddito
L’inquinamento colpisce di più i Paesi a basso reddito, ma per salvare la specie umana tutti devono agire

Come evidenzia Oxfam nel suo report, l’Africa, che ospita il 17% della popolazione mondiale, è responsabile solo del 4% del totale delle emissioni a livello globale. Un rapporto che risulta invece capovolto nel caso dei paesi più ricchi, che contribuiscono per il 37% delle emissioni globali pur ospitando il 15% della popolazione della Terra. E, ironia della sorte, è proprio in questi paesi che si concentra il 70% dei 7.340 gli eventi climatici estremi che hanno colpito la Terra tra il 2000 e il 2021. A fronte di questi dati, appare evidente come il principio “chi inquina paga”, che è stato adottato all’inizio degli anni settanta nelle regolamentazioni ambientali, appare tutt’altro che applicato. “Ad oggi c’è ancora molta strada da fare in questo senso, visto che i costi maggiori li devono sostenere i paesi più poveri e meno responsabili del cambiamento climatico, e che anche il contributo dei paesi a reddito più elevato è minimo rispetto ai bisogni effettivi!” sottolinea Oxfam.

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Il protagonista di questa vicenda è Leonardo Lotto, studente aostano, che la mattina del 23 febbraio è rimasto vittima di un incidente in mare. Il ragazzo era a Melbourne con un gruppo di amici quando dopo un tuffo tra le onde sul bagnasciuga ha picchiato violentemente la testa contro il fondale di sabbia. In quel momento è iniziato l’incubo: prima gli amici lo hanno aiutato a uscire dall’acqua, poi la corsa disperata in ospedale. Dopo l’intervento d’urgenza, è arrivato il duro responso: “Frattura delle vertebre C3 e C5, spina dorsale danneggiata". Leonardo Lotto è paralizzato dalla testa in giù e non potrà più camminare.

"Continuerò a lottare e farò tutto il necessario. A volte cadrò, ma alla fine mi rialzerò, vivendo sempre giorno per giorno, superando i momenti più bui”.

Dopo il ricovero all’Alfred Hospital di Melbourne, in Australia, “le sue condizioni sono stabili, e ora è pronto per iniziare il suo lungo percorso riabilitativo a Milano con tutte le energie e la positività che hanno sempre caratterizzato la sua personalità”. E gli amici, proprio per sostenere le cure, hanno organizzato una raccolta fondi online.

✍ Barbara Berti 

#lucenews #lucelanazione #australia #leonardolotto
  • È quanto emerge da uno studio su 1.700 ragazzi toscani realizzato dal Meyer center for health and happiness, di cui è responsabile Manila Bonciani, insieme all’Università di Firenze, e presentato in occasione della Giornata internazionale della felicità nel corso di un evento organizzato al Meyer health campus di Firenze.

Cosa gli adolescenti pensano della felicità? Come la definiscono? Cosa li rende felici? Queste alcune domande dello studio. Dai risultati emerge che i ragazzi spesso non riescono a dare neanche una definizione della felicità. Tuttavia ne sottolineano la rilevanza e la transitorietà. 

Dalla ricerca emerge così che la manifestazione della felicità si declina in sei dimensioni:
➡ La più rilevante che emerge è quella dell’interesse sociale, data dall’importanza che viene attribuita dai ragazzi alle relazioni interpersonali.
➡ La seconda è l’espressione della soddisfazione verso la propria vita, del fare le cose che piacciono loro.
➡ La terza è vivere emozioni positive, rilevanza che si riscontra anche nelle parole dei ragazzi che esprimono in maniera importante l’idea di essere felici quando sono senza preoccupazioni o pressioni che avvertono frequentemente, come anche quella scolastica.
➡ La quarta è il senso di autorealizzazione insieme a quello di padronanza delle varie situazioni che si trovano ad affrontare.
➡ Infine in misura minore la loro felicità è legata all’ottimismo, cui gli stessi adolescenti non attribuiscono grande rilevanza, sebbene rappresenti la sesta dimensione della felicità identificata.

Gli adolescenti che risultano più felici si caratterizzano per essere più empatici, esprimere un atteggiamento cooperativo, avere maggiore autoconsapevolezza, saper gestire meglio le emozioni e risolvere le situazioni problematiche, avere una buona immagine di sé. 

Ancora i maschi risultano essere più felici delle femmine a eccezione della dimensione relazionale e sociale della felicità che non si differenzia in maniera significativa tra i due gruppi, e le fasce di età più piccole, fino ai 15 anni, esprimono maggiormente di essere felici rispetto ai ragazzi di 16-17 o maggiorenni.

#felicità #ospedalemeyer #adolescenza
Domenica 3 luglio l'ultima tragedia: un seracco del ghiacciaio della Marmolada si è distaccato, franando a valle e portando con sé tutto quello che ha trovato sul suo corso. Comprese le persone: il bilancio parla di 7 morti e 8 feriti, ma ci sono ancora dispersi. Le speranze pochissime. Un crollo improvviso ma non inatteso, secondo gli esperti. Le persone che hanno perso la vita sono vittime di una natura che si ribella alla mano dell'uomo. Un circolo vizioso crudele, che non sembra avere fine.
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Marmolada rischio distacco
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Disuguaglianze tra i Paesi, più sono ricchi più inquinano, i più poveri subiscono

L’Italia ad esempio, con circa 325 milioni di tonnellate di Co2 emesse ogni anno, pesa più del Pakistan (208 milioni),che pure ha una popolazione circa 4 volte più grande del Belpaese, ma meno dell’Arabia saudita (515 milioni), che ha appena 34 milioni di residenti, la metà dei nostri. In generale le nazioni ad alto reddito – i Paesi membri dell'Ue, l'Australia, la Nuova Zelanda, gli Stati Uniti, il Giappone, Israele, nonché molti Stati della penisola arabica - emettono anidride carbonica in misura significativamente maggiore rispetto ai paesi più poveri. E nonostante se ne faccia oramai un gran parlare, questi stessi Paesi, dove l’opinione pubblica e la stessa politica, almeno a parole, appaiono più sensibilizzate sul tema, non hanno registrato riduzioni significative nel tempo. Anzi, rispetto al 1990 (11,5 miliardi di tonnellate di Co2) le emissioni nel 2018 risultano addirittura aumentate (12,4 kt). Va sottolineato tuttavia che dal 2010 i valori risultano in costante, anche se lieve, calo. Sono però i paesi a reddito medio (tra gli altri, Cina, India, Pakistan e Nigeria) ad aver registrato l'aumento più significativo: +140,6% in quasi 30 anni. Di fatto, gli unici paesi ad aver registrato dei valori calo nel periodo considerato sono stati i paesi a basso reddito. Questi erano già i minori responsabili di emissioni nel 1990, quando emettevano quantitativi equivalenti ad appena l'1,6% della Co2 emessa dai paesi ricchi. In questi stati, in 28 anni le emissioni sono diminuite del 21,4%. Parliamo in questo caso perlopiù di paesi africani, cui si aggiungono Afghanistan, Siria e Corea del nord.
inquinamento Paesi a basso reddito
L'inquinamento colpisce di più i Paesi a basso reddito, ma per salvare la specie umana tutti devono agire
Come evidenzia Oxfam nel suo report, l'Africa, che ospita il 17% della popolazione mondiale, è responsabile solo del 4% del totale delle emissioni a livello globale. Un rapporto che risulta invece capovolto nel caso dei paesi più ricchi, che contribuiscono per il 37% delle emissioni globali pur ospitando il 15% della popolazione della Terra. E, ironia della sorte, è proprio in questi paesi che si concentra il 70% dei 7.340 gli eventi climatici estremi che hanno colpito la Terra tra il 2000 e il 2021. A fronte di questi dati, appare evidente come il principio “chi inquina paga”, che è stato adottato all’inizio degli anni settanta nelle regolamentazioni ambientali, appare tutt’altro che applicato. “Ad oggi c'è ancora molta strada da fare in questo senso, visto che i costi maggiori li devono sostenere i paesi più poveri e meno responsabili del cambiamento climatico, e che anche il contributo dei paesi a reddito più elevato è minimo rispetto ai bisogni effettivi!” sottolinea Oxfam.
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