Capelli cortissimi, biondo platino. La giacca con lo stemma della scuola e il sogno di essere finalmente se stesso. Dopo "Skam Italia" e "Il Paradiso delle Signore", un Giancarlo Commare ‘irriconoscibile’ l’anno scorso aveva debuttato nel musical, protagonista di "Tutti parlano di Jamie", show applauditissimo nel West End londinese, che era arrivato per la prima volta in Italia al Brancaccio di Roma. Visto il grande successo, anche quest’anno i temi dell'identità e dell'inclusione sono tornati sul palco con un manifesto allegro e pop che è anche una sfida contro il bullismo e un appello per una libera normalità della diversità. Ma lo spettacolo ha varcato i confini del palcoscenico sollecitando un momento di riflessione tra professori universitari che si sono confrontati su vari temi, dalla politica all’informazione, sempre nel solco dell’identità di genere.
La normale diversità in musical riempie i teatri di tutto il mondo
A grande richiesta è tornato a Roma, al Brancaccio, "Tutti parlano di Jamie", il musical dell'inglese Jonathan Butterell, diretto e adattato in italiano da Piero Di Blasio con musiche originali composte da Dan Gillespie Sells, frontman del gruppo "The Feeling", che firma una colonna sonora in puro pop britannico. Alla seconda stagione in cartellone nel teatro romano, l'edizione italiana del pluripremiato musical "Everybody's talking about Jamie" è una storia di formazione moderna per una generazione alla ricerca di una identità al di là del genere, dell'orientamento sessuale e delle convenzioni.
Lo spettacolo originale nasce da un documentario della Bbc "Jamie: Drag Queen at 16". Dopo il debutto nel 2017 all'Apollo Theatre di Londra, il musical è approdato anche Tokyo, Seul, Los Angeles e Sydney (con le musiche di Dan Gillespie Sells e libretto di Tom Macrae da un'idea originale di Jonathan Butterell) ed è diventato un film per la Fox nel 2021 (disponibile su Prime Video). E dovunque è stato portato in scena ha fatto segnare il pienone.
La storia vera dietro lo spettacolo
Il musical, che prende spunto da una storia vera, racconta le vicende di Jamie, un adolescente che vive in una tranquilla cittadina del nord dell'Inghilterra che vuole essere libero di esprimere sé stesso anche attraverso abiti femminili. Nel paesino di Sheffield, Jaimie combatte con il sorriso la sua battaglia contro i pregiudizi. A vestire i suoi scintillanti panni nella versione italiana è Giancarlo Commare, attore rivelazione delle ultime stagioni televisive e cinematografiche, dalla serie "Skam Italia" al film "Maschile singolare". Al suo fianco la voce potente di Barbara Cola, cantante e interprete di svariati musical, nel ruolo dell'amorevole mamma di Jamie, e un brioso cast di attori e cantanti che mette insieme, tra gli altri, Franco Mannella, Ludovica Di Donato, Lisa Angellilo, Benedetta Boschi, Giovanni Abbracciavento. Piero Di Blasio, già regista del musical "La Piccola Bottega degli Orrori", completa la sua messa in scena grazie anche alle coreografie e supervisione artistica di Laccio, già direttore artistico di "The Voice of Italy" e di "X Factor" e coreografo del Eurovision Song Contest 2022.
Tre anni prima di portarlo in scena: “L’Italia non era ancora pronta”
"Abbiamo aspettato tre anni prima di metterlo in scerna – hanno raccontato il regista Piero Di Blasio e il produttore Alessandro Longobardi -. L'Italia non era ancora pronta. Poi c'è stata la pandemia, la battaglia per il Ddl Zan, Drusilla a Sanremo e abbiamo pensato che forse il momento era arrivato. Jamie è un po' come se Billie Elliot mettesse i tacchi a spillo. Ma - sottolinea Di Blasio -non è la storia di un ragazzo che vuole diventare Drag Queen, ma che vuole essere se stesso. È dunque un manifesto di libertà".
E ora "Tutti parlano di Jamie"… anche all’università
Dal palcoscenico a un incontro con professori universitari. La narrazione dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale sui mezzi di comunicazione sono stati al centro dell’incontro organizzato al teatro Brancaccio di Roma in collaborazione con il primo corso di laurea magistrale in Italia sugli studi di genere, Genders Studies, inaugurato lo scorso settembre all’Università La Sapienza di Roma. Con il titolo "Jamie, il permesso di essere se stessə - Un racconto teatrale su genere e creatività", l’incontro è stato l'occasione per una riflessione sui temi sollecitati dal musical. Nel nuovo scenario politico italiano una donna capo di governo, Giorgia Meloni, ha scelto di declinare il suo incarico pubblico al maschile, "il presidente", mentre la neo-segretaria del partito di opposizione, Elly Schlein ha dichiarato pubblicamente di amare un’altra donna.
“Il presidente Giorgia Meloni ha ragione”, sostiene il professor Roberto Baiocco, ordinario di Psicologia dello sviluppo e dell’Educazione, Psicologia degli orientamenti sessuali e delle identità di genere del Corso di Laurea Magistrale in Gender Studies. “Non solo perché è autodeterminazione - spiega il docente - ma anche perché il partito si chiama ‘Fratelli d’Italia’ e non sorelle o fratell*. È giusto perché ciascuno di noi scelga di posizionarsi e autodeterminarsi. Non dico che apprezzo la scelta ma la ritengo coerente". Diversa la posizione della professoressa Paola Panarese, presidente del corso Laurea Magistrale in Gender Studies: "Pur accettando la scelta di Giorgia Meloni in quanto sostengo la libertà di espressione, manifestazione e auto-affermazione, per una questione linguistica e grammaticale personalmente definisco Giorgia Meloni la presidente del Consiglio della Repubblica. Declinarla al maschile è un errore grammaticale". E rilancia: "Con la collega di Economia di Genere con cui stiamo organizzando un convegno di economiste e femministe per il prossimo anno, ci piacerebbe poter ospitare alla lecture di apertura Giorgia Meloni e Elly Schlein per parlare di economia femminista con due rappresentanti del femminile che incarnano due modi diversi di essere donna che sono entrambe scelte politiche oltre che di libertà".
Per quel che riguarda il giornalismo, l’informazione e la rappresentazione mediatica delle identità di genere, secondo la professoressa Panarese "siamo più avanti rispetto a qualche anno fa, ma abbiamo ancora da lavorare. Il giornalismo è ancora piuttosto indietro nella rappresentazione degli orientamenti sessuali e della indennità di genere. Si fa una grande confusione terminologica confondendo nella cronaca donne, uomini, transessuali, transgender. Si è parlato di relazione lesbica tra una donna e uomo transgender. Il giornalismo non ha le idee chiare e questo alimenta confusione. Per non parlare della pubblicità che per sua natura è una forma di comunicazione iperbolica, molto sintetica, che non può non ragionare per stereotipi, quindi da vita a rappresentazioni distorcenti e distorte".