Vincenzo Schettini con "La fisica che ci piace" è un po' come “Capitano, mio capitano!”. Chi non ricorda questo appassionato appellativo conferito come un premio Nobel dagli allievi del professore nell’indimenticabile e struggente film “L’Attimo Fuggente”? Ebbene, i tempi cambiano e le mode comunicative pure, ma un professor Keating sarà sempre pronto a coinvolgere i propri studenti, attraendoli con i suoi metodi innovativi fatti per sconvolgere le regole del gioco e creare scompiglio tra la categoria degli stessi docenti. A impersonare in tutto il protagonista della pellicola, reso celebre dalla superba interpretazione di Robin William, troviamo Vincenzo Schettini, un insegnante che da tempo imperversa sui social con le sue affascinanti lezioni di fisica dimostrativa dal titolo “La fisica che ci piace” (il nome del suo canale YouTube).
Si tratta di una forma di divulgazione della materia decisamente accattivante e resa ‘potabile’ anche a chi è quasi digiuno della materia. Il docente, simpatico nell’esporre e in qualche caso volutamente fuori dalle righe, è un piacevole istrione capace di mettere tutto se stesso nell’esporre concetti, nel lanciare nuove idee, nel far capire bene semplicemente facendo esempi pratici. Tutto questo senza la minima traccia di accademismo, senza segni di retorica o vuota pedanteria. Il professore dialoga con i suoi allievi reali e virtuali in scioltezza, usando il linguaggio di tutti i giorni, privo di ogni imbarazzo anche quando qualche esercizio non riesce come vorrebbe. E’ autoironico, e questo piace, si prende lui stesso in giro e ciò mette a proprio agio il suo pubblico con cui riesce a stabilire straordinarie onde di empatia pura. Eppure le sue lezioni sono assolutamente autorevoli e serissime nella sostanza, lui conosce a menadito i concetti più complessi della fisica, solo che sa spiegarli con leggerezza apparente, facendo sembrare tutto facile e alla portata di chiunque. In questo il docente, che è anche musicista e amante di armonie, appare come quegli equilibristi che stanno sospesi in aria a molti metri di altezza lasciando credere che sia tutto un gioco, facendo immaginare che quel che stanno facendo sia assoluto, puro divertimento. Ammicca alla sua maniera, del tutto peculiare, cerca consenso con lo sguardo, parla all’improvviso di paura, di fragilità dell’essere umani, delle regole dell’amore e non si preoccupa affatto di lasciare indovinare il proprio orientamento sessuale. E’ un insegnante atipico, non fosse altro che per quella sua particolare acconciatura, e per questo viene frequentemente segnato a dito, proprio da quella classe di insegnanti che invece lui, consapevole di farne parte, non esita a difendere a spada tratta. Il suo modo d’essere, le sue metodologie innovative, il fatto di saper fare uscire una materia scolastica piuttosto ostica dal chiuso della tetraggine austera delle aule, dagli insegnamenti spesso imbalsamati e ripetitivi di docenti privi di stimoli, lo espone spesso a una valanga di insulti molto offensivi.
Essere apostrofato con appellativi come ‘giullare’ o ‘pagliaccio’ è il minimo di cui il professor Schettini è vittima. “Certo la cosa mi colpisce parecchio – dichiara – ma provo più dispiacere per questi insegnanti che con atteggiamenti simili non danno il miglior esempio, non mostrano di essere buoni pedagoghi. Per fortuna sono sicuro che si tratti solo di una minoranza”. Attacchi pesanti si sono scatenati anche negli ultimi giorni e Schettini non ne fa per nulla mistero mostrando pubblicamente gli screenshot delle espressioni assai poco edificanti che gli vengono rivolte. Lui è un comunicatore nato e sa molto bene che rendere palesi le offese ricevute non può far altro che rinsaldare il patto di solidarietà, di fiducia e simpatia con i tanti ragazzi (ma anche un buon numero di adulti) desiderosi di incontrarlo sul web per parlare di tutto: della vita, dei successi e delle difficoltà quotidiane, proprio come si fa con un vecchio amico a cui siamo affezionati. Poi arriva la lezione. Poi.
Parola a Vincenzo Schettini
Professore, un metodo nuovo e discusso, il suo… “Certo, discusso ma di indubbio successo. Successo personale ma specialmente la rivincita di materie come la matematica e la fisica. In realtà quando ho iniziato questa esperienza didattica sui social è stato per rispondere alla mia passione di sempre: l’insegnamento. Cosa che per diversi anni non è stata per niente facile. Pur essendo docente di fisica part time in una scuola di Castellana Grotte, dedico la maggior parte del mio tempo a divulgare le mie materie sul web, contando su un pubblico sempre più vasto e interessato. Credo di aver ‘annusato’ in tempo la metamorfosi epocale in atto: oggi fare la mia professione solo a scuola significa essere schiacciati da una burocrazia borbonica, confrontarsi con un contesto nel quale non esiste più il concetto di meritocrazia ma dove tutto ormai risponde solo a criteri di economia di mercato, in forza dei quali il professore viene alla fine pagato una miseria”. Si sente in qualche misura il Robin Williams de “L'attimo fuggente”? “Assolutamente sì. Ed è una cosa a cui non avevo pensato. In realtà mi capita spesso di parlare ai miei studenti del potere dell’amore, delle paure, della solitudine come pure dei metodi di studio nuovi. Ma sottolineo la necessità di cogliere a piene mani dalla scuola le cose migliori che può offrirti, come l’arte del saper parlare, di usare bene la lingua italiana. Questo è il requisito primario per emergere nel mondo dello studio e in quello del lavoro. Dico sempre ai ragazzi: se qualcuno, competente, vi corregge un errore di italiano mentre parlate aprite bene le orecchie e soprattutto non fate l’errore di sentirvi offesi per questo, anzi siate loro molto grati”. Ritiene di essere discriminato per il lavoro che propone? “Il mio metodo ha certamente scoperchiato uno sconcertante vaso di Pandora, soprattutto perché dimostra come si possa essere comunicativi e creativi rispetto a certe figure professionali affezionate a un tipo di insegnamento inerte e ripetitivo, destinato fatalmente ad avere scarso appeal nei confronti degli studenti. Le innovazioni sono quindi motivo di critiche perché chi ha idee nuove è inevitabilmente preso di mira. In ogni caso mettersi in discussione ogni giorno è faticoso e costa sacrifici: come diceva un celebre studioso è inevitabile stare in alto sul tetto senza che i corvi prima o poi ti vengano a beccare”.Cosa risponde a chi proprio in questi giorni le muove critiche offensive? “Mi meraviglio che questa pioggia di insulti arrivino da docenti che per definizione dovrebbero essere educatori piuttosto che atteggiarsi a bulli violenti. Essere bullizzati da questi colleghi è inconcepibile, anche perché magari sono gli stessi che in classe si ergono a paladini della non violenza e della tolleranza, magari presumendo di formare coscienze mediante l’uso consapevole e corretto della rete. Qualcosa qui non quadra affatto. Intendiamoci: quando le critiche sono giuste e motivate le accetto sempre molto volentieri, ci mancherebbe. Ma che mi si dia del ‘giullare’, questo no. Non lo posso accettare proprio da una categoria che rispetto e ritengo intellettualmente evoluta nella sua generalità. Mi chiedo perché la storia debba monotonamente e scioccamente ripetersi, con i soliti stigmi che perfino il cinema rappresenta come uno stucchevole cliché. E’ un dato di fatto che mi suscita dispiacere, più verso loro che per me. Vorrebbero per caso farmi fare la fine del professor John Keating? Beh, si accomodino. Sono certo che il grido planetario di ‘Capitano, mio Capitano’ li sommergerebbe”. Ha mai avuto motivo nella sua vita di sentirsi escluso, emarginato? “Senza dubbio, specialmente nel periodo della mia adolescenza, quando sono sentito escluso a causa del mio orientamento sessuale. In realtà era più un problema di autoesclusione che nasceva da me stesso piuttosto che essere provocato dagli altri. Vivevo quella mia situazione personale in un contesto epocale per cui uscire allo scoperto significava senz’altro essere messi alla berlina e fatti oggetto di pesanti atti di bullismo. Quindi in silenzio sono andato avanti fino all’età di vent’anni, momento in cui ne ho parlato con i miei genitori che come sempre hanno dimostrato di essere la mia roccia. Loro sono state le prime persone in assoluto con cui mi sono aperto: così proprio grazie al loro appoggio morale ho provato molto lentamente a parlarne anche con qualche amico. Intanto la mia adolescenza era passata, in modo confuso e straniante perciò restavo piuttosto disorientato rispetto ai miei interessi sessuali, che all’inizio si erano indirizzati in modo convenzionale verso le donne. Di quello che oggi sono non faccio ormai mistero anche nel corso delle mie lezioni, anzi mi piace giocare e provocare con qualche mio atteggiamento in modo deliberato. Devo però dire che non sono mai stato apparentemente giudicato per le mie scelte sessuali, intuendo che coloro che vorrebbero attaccarmi su questo piano se ne guardano bene. Immagino più per paura della censura generale che per rispetto nei miei riguardi. Ma forse mi sbaglio”. Quale scuola immagina per il futuro? “Non possiamo guardare al futuro senza soffermarci sul presente. Il caos nella scuola regna sovrano perché le molteplici suggestioni esterne che puntano all’innovazione si scontrano con metodi ormai obsoleti e giurassici. In ogni caso stiamo vivendo un momento di bulimia delle informazioni e di una evidente dicotomia di proposte. Come tutti i periodi che preludono a cambiamenti la confusione è totale. Però una volta compreso il corretto utilizzo dei nuovi strumenti informatici che introducono per esempio alla sperimentazione quotidiana del Metaverso, non faremo certamente a meno dei metodi tradizionali di informazione e formazione. Un libro, per esempio, non smetterà di essere fatto di carta, per il piacere di essere sfogliato, annusato e amato come solo le cose fisiche possono esserlo. Lo stesso vale per le lezioni frontali o la necessità di prendere appunti su un quaderno che non potrà mai essere sostituito da un tablet. Anzi arrivo a dire che l’uso del tablet o del cellulare a scuola distrae e quindi sarebbe proprio da evitare. Le pressioni che arrivano dall’esterno sono molto forti, la tradizione non lo è meno: così credo che dovranno passare molti anni prima di raggiungere un buon equilibrio”. Cosa risponde a chi l'accusa di fare didattica spettacolo? “Che questo tipo di comunicazione non è affatto facile e implica anzi grande dispendio di energie oltre alla non comune capacità di trasmettere messaggi all’apparenza semplici e accattivanti, ma che siano assolutamente corretti dal punto di vista scientifico. Posso assicurare inoltre che ricevere centinaia e centinaia di email ogni giorno si traduce in un impegno tutt’altro che indifferente, anche se uno staff mi aiuta in questo. A volte arrivano messaggi particolarmente delicati che contengono perfino richieste di aiuto: in questi casi me ne occupo sempre personalmente. Quindi occorrono tanto tempo ed estrema pazienza. Chi pensa che io faccia didattica-spettacolo non si rende conto che in quella montagna di messaggi ci sono le storie di ragazzi che grazie alle mie lezioni ce l’hanno fatta, hanno migliorato la propria media, hanno superato prove ed esami. Se questo è uno spettacolo, allora ben venga lo show”.Visualizza questo post su Instagram