“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale (…) Gli inabili e i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale”. Così recita l’articolo 38 della nostra Costituzione. E non c’è alcun dubbio che le parole “inabili” e “minorati” releghino una categoria di persone ai margini di una società – quella evidentemente degli “abili” e dei “normodotati” – che non gli appartiene, proprio in quanto diversi dalla maggioranza. La stessa maggioranza che scrive e detta le leggi, selezionando chi ha diritto a cosa e chi, invece, potrebbe ambire ad ottenere quegli stessi diritti (se concessi), quasi fosse un atto di carità. “Gli inabili e i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale”, ma perché sottolinearlo? Forse, in quanto “inabili” e “minorati”, esiste il dubbio che questi cittadini italiani (di serie B?) normalmente potrebbero non avere diritto all’educazione e al lavoro? Non c’è da stupirsi se la ministra per la Disabilità Alessandra Locatelli abbia ravvisato il bisogno di affiancare al cambiamento dei fatti un cambiamento che parta prima di tutto dal linguaggio comune, e ancor prima dal linguaggio utilizzato a livello istituzionale e burocratico.
Ne ha parlato a margine del forum organizzato a Foligno dal Corriere dell'Umbria, in collaborazione con il Ministero per le Disabilità, “Dal G7 Inclusione e Disabilità alla realtà: punti di riferimento e strategie per migliorare le città di tutti”, accogliendo positivamente la proposta del presidente del Senato Ignazio La Russa di inserire la tutela delle persone con disabilità nella Costituzione: "Abbiamo iniziato scrivendo nella riforma che cancelliamo da tutte le leggi ordinarie la parola handicappato e portatore di handicap, perché è un concetto che fa riferimento a un gruppo di persone spesso viene definito a parte. Se abbiamo detto che siamo tutti persone con gli stessi diritti la prima cosa che dobbiamo fare è chiamarci persone. Persona con una disabilità, ma persona prima di tutto. Va da sé che questo è un cambiamento che deve proseguire anche all'interno della nostra Costituzione, che noi rispettiamo, ma che magari deve essere aggiornata per certi termini. Credo che sia stata proposta una variazione, ovvero l'introduzione della parola persona nel senso della tutela della persona con disabilità in generale. Io ho proposto anche di modificare nell'articolo 38 il termine 'minorati' che non esiste più. Lo dobbiamo trasmettere noi perché sui social, in TV e nei TG non passano questi concetti e non passa il cambiamento. Non è facile parlare di disabilità – conclude la ministra - , se ne parla soprattutto quando c'è qualcosa di meraviglioso o qualcosa di tragico. Bisogna parlare di persone con disabilità e di potenzialità, non di limiti o di storie sempre gravi e struggenti da dover raccontare. C'è tanto altro.”
L’intento di Locatelli, dunque, è che la "grande rivoluzione” - come più volte l'ha definita – che verrà dall’attuazione della legge delega sulla disabilità riguardi non solo l’ambito istituzionale e pratico (con la presa in carico delle persone con disabilità e delle loro famiglie, la semplificazione e la sburocratizzazione delle procedure, le nuove modalità di accertamento della condizione di disabilità civile e la realizzazione del progetto di vita individuale), ma si ponga anche l’ambizioso obiettivo di cambiare il linguaggio. Questo perché termini come "minorati", nel gergo e nel sentire comune, vengono utilizzati come dispregiativi. A chi non è capitato di dire o sentir dire a qualcuno che ha commesso un errore banale “Sei proprio un minorato mentale!”. Ecco allora che parole considerate offensive o discriminatori non devono far parte del testo che sopra ogni altro definisce la nostro identità nazionale.
La rivoluzione normativa e linguistica
Di modifiche al linguaggio se ne comincia finalmente a parlare, negli ultimissimi anni, perché proprio sulle parole che usiamo tutti i giorni si costruiscono le convinzioni solide del nostro essere e del nostro percepire il prossimo, così come l’intero mondo che ci circonda. Il panorama normativo in materia di disabilità ha subito un’evoluzione con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 62. del 3 maggio 2024, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 15 maggio 2024 e operativo dal 30 giugno. Vengono introdotte nuove definizioni normative e apportate modifiche alla Legge 104, con “l’obiettivo di migliorare il riconoscimento e il trattamento delle persone con disabilità, per garantire loro un accesso più equo al sistema dei servizi, delle prestazioni, dei supporti e dei benefici, in linea con i principi di autodeterminazione e non discriminazione sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.”
Sempre a partire dal 30 giugno 2024, il termine “handicap” e i suoi derivati sono stati sostituiti da un linguaggio più rispettoso: la parola “handicap” è sostituita da “condizione di disabilità”; i termini “persona handicappata”, “portatore di handicap”, “persona affetta da disabilità”, “disabile” e “diversamente abile” sono sostituiti da “persona con disabilità”; le espressioni “con connotazione di gravità” e “in situazione di gravità” sono sostituite da “con necessità di sostegno elevato o molto elevato”. In fine il termine “disabile grave” è sostituito da “persona con necessità di sostegno intensivo”.
Molto spesso, quando si parla di disabilità, può capitare che una persona priva di questa caratteristica non sappia bene come esprimersi per non essere offensiva. Sul sito tieniamente.it esiste un interessante glossario di parole che sono cadute in disuso e che potrebbero essere offensive per la persona che vive una disabilità, cercando di individuare anche un modo di dire sostitutivo più inclusivo. Per esempio è sconsigliato l’utilizzo di handicappato/portatore di handicap, definizioni derivanti da un modello medico che vedeva l’handicap come uno svantaggio.
Oggigiorno questi termini sono superati e non vengono più utilizzati nell’ambito medico. Sarebbe bene non utilizzare neanche la parola “invalido”, perché significa letteralmente “non-valido”, e nessuna persona dovrebbe essere giudicata tale sulla base delle proprie caratteristiche fisiche-intellettive-cognitive. Anche “diversamente abile” è visto come un termine scorretto, perché nasce sulla base di una norma accettata (l’essere abile) e definisce le persone che si discostano dal sistema abile-normativo. “Si consiglia di usare persona con disabilità, in quanto pone l’accento sulla persona e non su una sua caratteristica che può essere la sua disabilità”, si legge sul sito. Stessa cosa vale per il termine “normodotato” che, insieme a normoabile, sarebbero da evitare in quanto si riferiscono sempre a qualcosa di normale, in contrapposizione alla persona con disabilità.
“Costretto sulla carrozzina e affetto da/vittima di”: impariamo a non usare termini simili perché rimandano a una concezione negativa della disabilità e degli ausili (anche tecnologici) usati dalle persone per muoversi nel mondo. È fondamentale ricordarsi che la disabilità non affligge, non è negativa, è semplicemente una caratteristica.
I termini che possiamo utilizzare sono carrozzina, sedia a ruote o sedia a rotelle. Persone disabili (disabled people) invece si riferisce al identity-first language, ed è utilizzato soprattutto dalle persone e dagli attivisti disabili per rivendicare il loro stato politico di minoranza oppressa. Elizabeth Barnes scrive che, come non si dice people with gayness (persone con omosessualità) non si dovrebbe dire neanche people with disabilities. In linea generale, quindi, per essere inclusivi quando parliamo di disabilità le parole da usare sono persone con disabilità (come scritto nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità) e persone disabili (se si vuole porre l’accento sul significato di minoranza oppressa). “In conclusione – spiega il sito dell’Associazione campana che assiste persone in condizioni di disagio fisico, emotivo e sociale -, per non sbagliare ed essere inclusivi basta chiedere alla persona quali sono le parole da usare, come suggerisce l’attivista Sofia Righetti.”