La notte elettorale statunitense ha confermato un responso che esperti ed esperte di settore (ma anche gran parte dell’opinione pubblica mondiale) purtroppo temevano. Le elezioni per il 47° Presidente degli Stati Uniti, infatti, hanno consegnato nuovamente a Donald Trump le chiavi dello Studio Ovale, la stanza dei bottoni più importante al mondo. Un ufficio che, dopo una certo non illuminata presidenza Biden, è destinato a riempirsi (di nuovo) di valori quali populismo e discriminazione. Le elezioni, per quanto democratiche, hanno premiato la pancia degli elettori e delle elettrici che, per svariati motivi, hanno deciso di non riconfermare la vice dell’attuale tandem presidenziale, Kamala Harris.
Ma se, dal lato dem dello schieramento, la campagna elettorale non può che essere considerata una vera e propria corsa ad ostacoli, non si può che dire la stessa cosa per quella di Donald Trump. Un percorso costellato da una violenza intrinseca, espressa non solo tramite il linguaggio ma anche mediante azioni concrete. Pur non sedendo alla Casa Bianca è stato tra i più accesi sostenitori del rovesciamento della sentenza Roe vs. Wade, uno schiaffo morale nei confronti di milioni di donne che, dal giorno alla notte, si sono viste private di un ombrello legislativo federale che proteggeva il diritto all’aborto. E, in ben due casi, l’estremizzazione del linguaggio e del fervore politico si è rivolta contro lo stesso Trump, oggetto di due attentati che hanno rischiato di ferirlo mortalmente.
Eventi assolutamente da condannare, che hanno il compito di ricordarci quanto l’avversione all’estremizzazione del fervore politico debba iniziare da ben più lontano come, ad esempio, dal contrasto alla propagazione di idee discriminatorie, denigratorie e violente. Un qualcosa che, alla luce dei fatti di Capitol Hill, sembra non rientrare nel vocabolario presente sugli scaffali del salone di casa Trump. Che da gennaio sarà di nuovo la Casa Bianca.
Una campagna elettorale fatta di odio
Fin dal momento della sua ricandidatura, il magnate newyorkese ha deciso di adottare una strategia comunicativa ben nota non solo alle compagini politiche europee di stampo populistico, ma anche agli elettori ed alle elettrici. Un qualcosa alla quale la gente, di conseguenza, dovrebbe essere abituata. Ma colpire il ventre molle dei votanti con proposte irrealizzabili, facendo leva sulla discriminazione del prossimo, è un’arte antica. E l’entourage di Donald Trump è riuscito, ancora una volta, ad interpretarla perfettamente. Diritti sociali, clima, guerra, ma anche vaccini e sanità, sono solo alcune delle tematiche che la ben più potente “the Beast”, per parafrasare “la Bestia” alle spalle di Matteo Salvini, è riuscita a insinuare tra la popolazione statunitense e, in particolare, negli swing states.
Cosa aspettarsi dalla presidenza Trump
Molti hanno definito l’esito di queste elezioni il ritorno dell’ora più buia, per utilizzare le parole che Churchill espresse dopo la caduta della Francia sotto le grinfie del nazismo. Altri, invece, invocano un periodo di libertà, benessere e prosperità. Anche questa divergenza di opinioni, dopotutto, è frutto di una polarizzazione sempre più evidente dell’opinione pubblica, nel momento in cui gli Stati Uniti vivono uno dei momenti di maggior contrapposizione interna dai tempi della Guerra civile.
Ciò che è certo, al contrario, è il programma col quale Trump si è presentato, assieme al suo vice Vance, alle porte di questa campagna elettorale. Una lista di tematiche contraddistinte da un’arbitrarietà spesso caotica e confusionaria, fatta di oppressione dei diritti civili, conservatorismo, negazionismo e pacifismo a fasi alterne.
Diritti civili, sociali e aborto: il machismo che non se ne va
Sui diritti, purtroppo, il lascito di Donald Trump è ben lungi dal dover ancora iniziare. In seguito alla ricomposizione della Corte Suprema durante il suo primo mandato presidenziale (2016-2020), infatti, la sentenza Roe vs. Wade è stata abolita, delegando ai singoli stati la legislazione in materia di aborto. Ma non è l’unico torto che ci si può aspettare nei confronti delle donne statunitensi e delle categorie più deboli come, ad esempio, i migranti. La corsa repubblicana al Campidoglio è stata contraddistinta da un continuo abbassamento del livello di rispetto nei confronti delle donne, contraddistinta da espressioni discriminatorie e violente, che richiamano valori che sempre più persone, in molte parti del mondo, stanno provando a lasciarsi alle spalle in quanto retaggio di un sistema machista. Il rischio, su questo, è quello di un grosso passo indietro.
Il contrasto alla migrazione: dove i luoghi comuni sovrastano la realtà
Sui migranti e sugli epiteti rivolti da Trump a coloro che provano a varcare i confini in cerca di un futuro migliore, scappando da guerre, carestie e violazioni dei diritti umani, molto è già stato detto. Ma ciò che dobbiamo, purtroppo, aspettarci da questi quattro anni di presidenza, è sicuramente un pugno sempre più duro nei confronti di coloro che sono disposti a lasciare tutto - con rischi immensi - pur di andare incontro ad un futuro migliore.
Se i dati raccontano una storia, il populismo impone di sovrascriverla, raschiando via i testi e i dati fondati su ricerche, se proprio non dovesse bastare la sola umana pietà. Se c’è una cosa che il populismo italiano ci ha mostrato, in compenso, è che i blocchi navali sono impossibili. La speranza, per coloro che sono in cerca di migliori condizioni di vita, è che lo siano anche i muri considerati invalicabili.
La promessa di Trump: “Porterò la pace in 24 ore”
Ma ciò che Donald Trump ha più volte ripetuto, negli ultimi mesi, con la stessa cadenza di un tormentone estivo, è la sua abilità nel muovere sullo scacchiere internazionale le pedine della diplomazia, al fine di guadagnare la pacificazione dei molti fronti bellici che attualmente infiammano il mondo. Un auspicio, quello repubblicano, che nasconde in realtà una profonda sottotraccia economica. Nessuna ispirazione Ghandiana, dunque, ma la mera volontà di concentrarsi su un’altra pedina fondamentale nel panorama geopolitico, la Cina, costi quel che costi.
Una declinazione degli interessi che lascerà presto sola la popolazione ucraina, costretta a combattere dal 2022 contro l’esercito invasore comandato dall’autocrate Putin, e che darà ancor più luci verdi a Netanyahu, reduce dal recente licenziamento del ministro della difesa Gallant reo, negli ultimi mesi, di aver detto stop al prosieguo delle ostilità nella Striscia di Gaza.
Populismo, clima e cospirazionismo
Anche l’informazione, sotto la prossima presidenza Trump, correrà il rischio di incappare in un cortocircuito dal quale, si spera, sarà in grado di rialzarsi. Se un ragionamento razionale prevede l’utilizzo di fonti e di dati per corroborare un punto di vista, il populismo rigetta ogni meccanismo di stampo scientifico. È ciò che l’entourage trumpiano ha sempre enunciato, in particolar modo, su clima e vaccini, nonché a proposito di molte altre tematiche considerate ambigue.
La futura presidenza, in ogni caso, è destinata a non aiutare in alcun modo un pianeta già sofferente, come testimoniano i recenti eventi atmosferici sempre più estremi che si stanno verificando. Solo i posteri ci diranno se il mondo intero è ancora sufficientemente resiliente da poter sopportare la miope decisionalità di chi guarda al profitto e non alla luna.