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Un barrito d'allarme: cala la popolazione degli elefanti e l'habitat scompare

Nella Giornata internazionale dedicata a questa iconica specie, il 12 agosto, il WWF torna a ribadire: "Il principale nemico è l'uomo e le sue attività"

di DOMENICO GUARINO -
12 agosto 2022
Un elefante africano nella savana

Un elefante africano nella savana

Il grido (o meglio, il barrito) d’allarme degli elefanti: dai 12 milioni stimati circa un secolo fa oggi se ne contano solo 415mila, con un calo rispettivamente del 60% negli ultimi 50 anni per le popolazioni che vivono in savana negli ultimi 50 anni, e addirittura del 75% per l’elefante di foresta, la cui popolazione negli ultimi vent’anni è passata da 270.000 esemplari a meno di 75.000. Tra il 2002 e il 2011, nella sola area centro-africana, la popolazione complessiva dei pachidermi ha subito un declino del 62% e una riduzione del proprio areale del 30%. "Questo drammatico declino è ulteriormente peggiorato dal 2011 al 2015 con una perdita di popolazione fino al 90% in alcuni territori" secondo quanto denuncia il WWF, in occasione della Giornata mondiale dedicata proprio all’elefante che si tiene ogni anno il 12 di Agosto.

Il peggior nemico dell'elefante è l'uomo

Un branco di elefanti africani si abbevera da una pozza d'acqua. Parco nazionale di South Luangwa, Zambia © Richard Barret_WWF

Naturalmente, come sempre accade purtroppo, il peggior nemico dell’elefante è… l’uomo. Che con le sue attività ne provoca la morte direttamente o indirettamente. A partire della crisi climatica, con il conseguente aumento -in numero e intensità- delle ondate di caldo e siccità che provocano la scomparsa di grandi aree umide e la necessità di sempre più grandi spostamenti per trovare acqua, per arrivare al bracconaggio, che resta ad oggi la causa principale del declino di entrambe le specie di elefanti africani. Secondo quanto riporta il WWF, negli ultimi anni il fenomeno delle uccisioni illegali si è ulteriormente esteso per la sempre più diffusa presenza di gruppi terroristici, che spesso gestiscono il commercio illecito di parti di animali selvatici, che rappresenta una importante fonte di guadagno per queste organizzazioni criminali. Oltre al mercato dell’avorio, oggi molti elefanti vengono uccisi a causa del conflitto che il plantigrado può creare con le attività (in primis agricoltura) di alcune comunità locali. E "nonostante dal 1989 la CITES abbia regolato il commercio d’avorio e dal 2018 la Cina, primo mercato al mondo per richiesta, ne abbia vietato commercio e detenzione, si stima che proprio a causa delle zanne ogni anno vengano uccisi oltre 20.000 elefanti" denuncia l’associazione ambientalista.

La perdita dell'habitat e la tecnologia in soccorso

Elefanti della foresta a Dzanga Bai, Riserva speciale di Dzanga-Sangha, Repubblica Centrafricana © Andy Isaacson - WWF-US

Va poi considerata la perdita di habitat dovuta all’intensificazione di attività umane come l'agricoltura o la realizzazione di infrastrutture, tanto che oggi, si calcola, queste specie occupano meno di un quinto dello spazio idoneo disponibile: in tutto il continente africano ci sono ancora 18 milioni di km2 di terra idonei ad ospitare popolazioni vitali di elefanti, dei quali però appena il 17% è effettivamente abitato dai pachidermi. Per fortuna gli studi dimostrano che gli sforzi di conservazione in alcuni contesti si stanno dimostrando efficaci. "La lotta al bracconaggio e una pianificazione territoriale migliore, che promuova la coesistenza uomo-fauna, sono la chiave per la conservazione di questa specie iconica. Grazie a queste politiche alcuni elefanti di foresta si sono stabilizzati in aree protette ben gestite, come quelle del Gabon, della Repubblica del Congo o dell’area Kavango-Zambesi" dice ancora il WWF. E poi c’è il ruolo della scienza e delle nuove tecnologie: recentemente un gruppo di ricerca delle Università di Bath, Oxford e Twente ha infatti  brevettato un algoritmo che potrebbe essere in grado di supportare le azioni di salvaguardia della specie, migliorando  il monitoraggio e i censimenti, prevenendo eventuali azioni di bracconaggio, non mettendo in pericolo le persone nel processo di raccolta dati ed avendo anche il vantaggio -non trascurabile- di essere meno invasiva per gli animali.