L’India è un Paese induista dove in particolare la minoranza musulmana, che costituisce il 14 per cento della popolazione dell’India e conta circa 200 milioni di persone, ha pochi diritti ed è discriminata. Le differenze tra popolazioni hindu e musulmana sono attualmente un tema centrale del Paese. Un argomento spinoso che può essere affrontato anche in chiave di commedia cinematografica.
L’ha fatto il regista Vijay Krishna Acharya, con “The Great Indian Family”, pellicola che il 5 dicembre aprirà la 24esima dizione di River to River Florence Indian Film Festival: la proiezione, alla presenza del regista, è in programma alle 20,30 al cinema La Compagnia di Firenze.
"The Great Indian Family” è un film divertentissimo che tocca un tema complesso: quello dei conflitti tra popolazione hindu e musulmana. Da cosa nasce la scelta di concentrarsi proprio su questo aspetto?
“Penso che registi, scrittori e artisti in genere tendano a rispondere col loro lavoro al contesto dove vivono e, probabilmente, questo avviene per la gran parte in modo inconscio. Mi sono accorto che intorno a me si parla a gran voce di identità in ambito religioso e questo mi infastidisce. A livello personale, infatti, trovo preoccupante l’identificazione delle persone sulla base della religione, del colore della pelle e altre discriminanti. Provengo da una piccola città e tutto ciò che accade nel mondo esterno poi entra in casa e diventa una discussione familiare. Io mi sento più a mio agio a parlare di questo piuttosto che pontificare sulla politica. Le famiglie e gli esseri umani non sono entità perfette e c'è qualcosa di molto bello nei paradossi quotidiani e nelle differenze con cui abbiamo a che fare”.
Senza fare spoiler, possiamo dire che lo spirito del film va a favore di una società più tollerante e inclusiva. In quest’epoca di conflitti globali, in che direzione sta andando l’India?
“Credo che gli esseri umani siano fondamentalmente buoni e anche quando perdiamo la strada e ci sbilanciamo in direzione del male qualcosa ci riporterà verso l’equilibrio. La politica influenza le persone, ma preferisco confidare nella nostra capacità di affrancarci dall’odio, anche se è un processo che richiede tempo. Nella sua lunga storia il tessuto variegato dell’India ha sostenuto molti attacchi, sono sicuro che anche questo passerà”.
Nella tua carriera ha scritto e diretto uno dei franchise di maggior successo dell’India, “Dhoom”, ma anche serie tv molto popolari, così come il film “The Great Indian Family” è una grandissima produzione: le viene mai voglia di dedicarsi a un progetto indipendente?
“Credo che lo spirito del regista sia sempre indipendente e in larga misura è proprio questo che ci motiva a continuare col nostro lavoro. ‘The Great Indian Family’ è finora la mia opera più intima e personale. Amo la tradizione delle canzoni e della musica nel cinema e questa cornice formale si adatta bene alla vicenda che racconto. Immagino che chiunque lavori nella cinematografia abbia pensato alla relazione tra grandi produzioni e progetti indipendenti come a un rapporto uno a uno, cioè che ogni grande film dovrebbe poi permetterci di fare qualcosa di intimo. Ma è un sogno complicato e leggermente utopico, anche se non impossibile. Per quanto mi riguarda sono molto desideroso di esplorare storie che abitino nuovi spazi e vengano raccontate con una nuova grammatica cinematografica”.
Conosce il cinema italiano? Ci sono autori che ama particolarmente e a cui si ispira?
“I soliti sospetti ovviamente: De Sica, Rossellini, Fellini. Per me ‘Ladri di biciclette’ è un film sempre attuale che non invecchia mai. Amo ‘Nuovo Cinema Paradiso’: è una splendida lettera d'amore indirizzata alla magia del cinema. Un regista che ho scoperto durante un festival cinematografico in India quasi 30 anni fa è stato Francesco Rosi. L’Iffi (International Film Festival of India) aveva organizzato una retrospettiva e sono rimasto molto colpito. Ho adorato ‘Il momento della verità’ e ‘Il caso Mattei’ e soprattutto ‘Cristo si è fermato a Eboli’. Ho visto un documentario di Gianfranco Rosi intitolato ‘Boatman’ e penso che sia uno dei ritratti più amorevoli e astuti dell'India mai realizzati. Anche Nanni Moretti e Roberto Benigni sono talenti favolosi. Attualmente Luca Guadagnino sta brillando sulla scena internazionale. Paolo Sorrentino fa film molto eleganti. Uno dei miei registi italiani preferiti di tutti i tempi è Sergio Leone, un maestro di stile. ‘C'era una volta il West’ è un film che non mi stanco mai di guardare e ogni colonna sonora di Ennio Morricone è geniale. Allargando il campo Dario Fo lo ritengo un gigante, tra gli scrittori trovo Umberto Eco un autore favoloso e acutissimo”.
Cosa ha in serbo per lei il 2025?
“Ho appena terminato una sceneggiatura per un grande progetto e sto sviluppando qualcosa con uno spirito vicino ai film indie, un lavoro pensato per il pubblico internazionale ma con emozioni indiane”.
The Shape of Self: la mostra sulla comunità transgender indiana
Sarà il regista campione di incassi Vijay Krishna Acharya a inaugurare, giovedì 5 dicembre (ore 20,30) al cinema La Compagnia di Firenze la 24esima edizione di "River to River Florence Indian Film Festival”, l’unica manifestazione in Italia interamente dedicata alla cinematografia e alla cultura del Subcontinente, con la direzione di Selvaggia Velo, che quest’anno accompagnerà il pubblico fino al 10 dicembre.
Sempre nell’ambito del festival, il 5 dicembre alle 18 alla ‘B.east Gallery’ si terrà il vernissage della mostra The Shape of Self, un racconto intimo e potente delle comunità transgender e transessuale nei distretti urbani di Calcutta attraverso l’obiettivo dal fotografo Alessio Maximilian Schroder. Nata in collaborazione con fsm - Fondazione Studio Marangoni e B.east Gallery la personale corona il progetto intrapreso da Schroder nel 2014, anno in cui la Corte Suprema indiana ha riconosciuto ufficialmente il terzo genere.
Al centro persone appartenenti a diversi contesti sociali, caste e generazioni. Attivisti e attiviste, attrici, negozianti, modelle, avvocati, danzatrici, sex worker, truccatrici, dipendenti di grandi aziende, insegnanti, studentesse ritratti e ritratte con gli abiti che più li rappresentano in luoghi legati alla storia personale di ciascuno e ciascuna: strade, quartieri, posti di lavoro, ma principalmente nelle loro stanze, viste come il fulcro dello sviluppo individuale. Un lavoro per rivendicare l’orgoglio di essere liberamente se stessi e se stesse.