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Home » Spettacolo » Oscar 2023. Prima volta di Curtis e Yeoh, il ritorno di Fraser e le lacrime di Quan

Oscar 2023. Prima volta di Curtis e Yeoh, il ritorno di Fraser e le lacrime di Quan

Meno sorprese, più consapevolezza. Sette statuette a"Everything Everywhere All at Once", come da pronostico. La prima asiatica miglior attrice protagonista, la commozione degli attori

Marianna Grazi
13 Marzo 2023
Oscar 2023 - Da sinistra Ke Huy Quan, miglior attore non protagonista, Michelle Yeoh, miglior attrice, Brendan Fraser, miglior attore, e Jamie Lee Curtis, miglior attrice non protagonista (Ansa)

Oscar 2023 - Da sinistra Ke Huy Quan, miglior attore non protagonista, Michelle Yeoh, miglior attrice, Brendan Fraser, miglior attore, e Jamie Lee Curtis, miglior attrice non protagonista (Ansa)

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Al Dolby Theatre di Los Angeles si sono spente le luci da poche ore, dopo la grande festa del cinema mondiale. La 95^ notte degli Oscar ha regalato, come ogni anno, uno spettacolo indimenticabile, con meno sorprese magari rispetto alle scorse edizioni (impossibile non ricordare lo schiaffo di Will Smith a Chris Rock nel 2022, ma è ormai acqua passata) e qualche consapevolezza in più.

Everything Everywhere All at Once vince sette Oscar

Gli attori e il cast di Everything Everywhere All at Once. La pellicola di Daniel Kwan e Daniel Scheinert ha fatto il pieno di statuette – sette tra cui il più ambito come miglior film – alla 95esima edizione degli Oscar (Ansa)

Guardando ai vincitori della notte hollywoodiana spicca – come previsto, viste le 11 candidature – Everything Everywhere All at Once, il film dei “Daniels”, come sono stati soprannominati i registi Daniel Kwan e Daniel Scheinert, che è si è aggiudicato il maggior numero di premi: miglior film, la miglior regia e miglior sceneggiatura originale, miglior attrice protagonista a Michelle Yeoh, e ancora quelli per i migliori attori non protagonisti a Ke Huy Quan e Jamie Lee Curtis e infine quello per il miglior montaggio. Il secondo più premiato è stato Niente di nuovo sul fronte occidentale, meno scontato dell’altro, che si è aggiudicato altre tre statuette oltre a quella come miglior film internazionale. Le sorprese semmai arrivano in negativo, con due grandi nomi del cinema che, nonostante numerose candidature sono rimasti a bocca asciutta: Steven Spielberg con The Fabelmans e Baz Luhrmann con Elvis.

I premi alle miglior attrici e ai miglior attori (protagonisti e non)

Nessun vincitore e vincitrice delle statuette per la recitazione aveva mai ottenuto un Oscar prima della scorsa notte, e per quanto in alcuni casi, almeno fino a pochi anni fa, quasi nessuno si aspettasse che arrivassero a questo riconoscimento, il mondo del cinema di oggi ci porta credere che i loro premi non siano frutto del caso o di un colpo di fortuna, bensì di una maggior consapevolezza di cosa si voglia raccontare con queste produzioni e attraverso quali protagonisti. Che siano il più possibile specchio della società reale.

Michelle Yeoh dedica l’Oscar alle donne

La 60enne malese Michelle Yeoh ha vinto l’Oscar come miglior attrice protagonista per Everything Everywhere All at Once (Ansa)

Prendiamo ad esempio Michelle Yeoh e Ke Huy Quan, entrambi premiati per Everything Everywhere All at Once. La 60enne malese, di origini cinesi, nel film interpreta magistralmente il ruolo di Evelyn Quan Wang, alle prese con la depressione femminile; grazie a questo ruolo Yeoh, già nota per la partecipazione ai film Il domani non muore mai (1997) e La tigre e il dragone (2000), oltre che alla saga di Star Trek, è diventata la prima attrice asiatica a vincere l’Oscar come miglior attrice protagonista. Nel suo discorso di ringraziamento sul palco dell’Academy, l’attrice ha voluto soffermarsi sul fatto che le è stato assegnato il massimo riconoscimento cinematografico in una fase relativamente tarda della sua carriera. “Grazie, per tutti i ragazzini e le ragazzine che mi guardano stasera. Questo è un faro di possibilità, per capire che i sogni si realizzano”. Quindi ha aggiunto, rivolgendosi alle spettatrici femminili: “Signore non lasciate mai che nessuno vi dica che non siete più nel fiore degli anni”.

Jamie Lee Curtis: “Alla mia famiglia, a mamma e papà: ho vinto l’Oscar”

Jamie Lee Curtis, 64 anni, stringe tra le mani l’Oscar come miglior attrice non protagonista per Everything Everywhere All at Once (Ansa)

Un discorso che si addice anche all’altra vincitrice nella categoria di miglio attrice – non protagonista–, Jamie Lee Curtis. Figlia d’arte, come ricorda sul palco nel ringraziare il pubblico del Dolby Theatre e la giuria, la 64enne nonostante una carriera stellare costeggiata di successi era alla prima candidatura per uno dei premi più ambiti. “Basta ho solo 45 secondi e ho promesso che sarei stata brava, sono una brava ragazza esordisce divertita ed emozionata -. Non sono qui da sola, ci sono centinaia di persone con me: tutti abbiamo vinto questo Oscar” aggiunge citando il cast e la produzione di Everything Everywhere All at Once. Ma la dedica si estende anche “alla mia famiglia, al mio bellissimo marito e alle mie figlie, a mia sorella Kelly” e infine a “mia mamma e mio papà” ai quali dice commossa: “Ho appena vinto l’Oscar!”.
La sua straordinaria interpretazione nel film dei Daniels le è valsa quest’anno un pieno di riconoscimenti: dai Golden Globe ai Bafta, i Critics’ Choice Awards e i Grammy Awards. E due Screen Actors Guild Awards. Tanto che, per fortuna, l’età non è stata un problema, nonostante lei stessa abbia ammesso: “Hollywood è il posto in cui sono nata e so bene quanto può essere crudele, quando inizi a invecchiare“.

 

Ke Huy Quan: dal barcone profughi all’Oscar

“Mamma ho appena vinto un Oscar”. Ke Huy Quan, prima di ricevere il riconoscimento come miglior attore non protagonista per il personaggio di Waymond Wang, marito della Yeoh nel film dei Daniels, era assai poco noto se non per i ruoli avuti da bambino nella saga di Indiana Jones e nei Goonies. Poi nulla, se non apparizioni sporadiche in appena una manciata di film dagli anni Ottanta ad oggi.
“Sono qui, in un viaggio cominciato in una barca, ho passato un anno in un campo profughi e sono finito qui. Sono storie reali, non è cinema, è il vero sogno americano che si avvera”, ha detto tra le lacrime l’attore vietnamita, 51 anni, che ha ringraziato la madre “per tutto quello che hai fatto per me”. Tra le menzioni sul palco di Hollywood, sempre piangendo a dirotto, c’è anche la moglie: “Mi ha sempre sostenuto per tutti questi 22 anni e detto che prima o poi ce l’avrei fatta”. “Grazie per avermi accolto nuovamente”, ha concluso con la statuetta in mano.

Brendan Fraser emozionato: “The Whale mi ha salvato”

Brendan Fraser arriva al Dolby Theatre per la 95^ notte degli Oscar, con l’ex moglie Afton Smith e il figlio Holden Fraser (Ansa)

Dai tempi de La Mummia ne è passato di tempo, ma Brendan Fraser, 54 anni, è sempre rimasto lì. Nell’ombra, per quasi un decennio dopo aver recitato in diversi successi commerciali tra gli anni Novanta e Duemila. Sparito dalle scene. Poi però, come un astro nascente, ha scommesso tutto con The Whale di Darren Aronofksy dove interpreta la parte di Charlie, un professore d’inglese obeso, chiuso nel suo piccolissimo appartamento, una metafora della prigionia che gli impone un corpo da trecento chili che lo tradisce ogni giorno di più. Fraser, visibilmente commosso, ha pronunciato un toccante discorso di ringraziamento, rivolgendosi a “l’Academy e la produzione A24 e il regista Aronfoski per la possibilità che mi ha dato di salvarmi con The Whale. Avete un cuore da balena, solo le balene riescono ad andare così in profondità”. “Ho cominciato 30 anni fa a lavorare nel cinema – ha aggiunto l’attore – e le cose non sono state sempre facili per me, tornare in superficie non è stato facile ma ci sono persone che me lo hanno permesso come i miei figli e il mio manager”, ha concluso in lacrime Fraser.

 

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
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Ke Huy Quan: dal barcone profughi all'Oscar

"Mamma ho appena vinto un Oscar". Ke Huy Quan, prima di ricevere il riconoscimento come miglior attore non protagonista per il personaggio di Waymond Wang, marito della Yeoh nel film dei Daniels, era assai poco noto se non per i ruoli avuti da bambino nella saga di Indiana Jones e nei Goonies. Poi nulla, se non apparizioni sporadiche in appena una manciata di film dagli anni Ottanta ad oggi. "Sono qui, in un viaggio cominciato in una barca, ho passato un anno in un campo profughi e sono finito qui. Sono storie reali, non è cinema, è il vero sogno americano che si avvera", ha detto tra le lacrime l'attore vietnamita, 51 anni, che ha ringraziato la madre "per tutto quello che hai fatto per me". Tra le menzioni sul palco di Hollywood, sempre piangendo a dirotto, c'è anche la moglie: "Mi ha sempre sostenuto per tutti questi 22 anni e detto che prima o poi ce l'avrei fatta". "Grazie per avermi accolto nuovamente", ha concluso con la statuetta in mano.

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