Un tema assai importante di inclusione sociale è diventato docufilm, ma soprattutto ha emozionato il pubblico di tutto il mondo: la regista Roberta Torre con Le favolose, la storia di una comunità transessuale che vive emozioni e ricordi “normali”, dimostra quanto la vita vada vissuta nelle proprie emozioni senza cedere ad alcun ricatto. Trionfatore fra l’altro a Tokyo e Amsterdam, il film verrà proiettato mercoledì 18 gennaio nell’Aula magna del Rettorato dell’Università di Siena, in via Banchi di Sotto 55 alle 18, grazie all’intuizione di Maria Pia Corbelli, presidentessa del Terra di Siena International Film; al termine incontro-dibattito con la regista e l’interprete principale, Porpora Marcasciano, leader del movimento nazionale; condurrà Luca Venzi, docente di teorie e tecniche del linguaggio cinematografico nel locale ateneo.
Roberta Torre, come nasce l’idea del film? “Dalla lettura dei libri di Porpora che mi sembravano molto densi, pieni di storie belle di persone dagli anni 70 in poi, storie da raccontare, come quella di Antonia morta durante il periodo di transizione e sepolta dalla famiglia con gli abiti da uomo come se si volesse cancellare tutta la sua storia e rinnegarne il percorso”. Questo per lei che cosa significa? “Che non solo nel mondo trans ogni essere umano deve venire ricordato per quello che ha fatto e non per la sua identità violata. Il ricordo, la memoria, è l’unica cosa che abbiamo per ripercorrere la nostra storia. Negarlo è violenza”. E con il film che cosa vuole ottenere? “Un risarcimento per Antonia”. Come si è svolto il suo lavoro? “Ho mescolato documentario e finzione con attrici non professioniste trans, persone vere. Ho intrecciato le loro storie in una seduta spiritica dove vengono fuori i trascorsi, i problemi, le speranze”. Che cosa ha scoperto di questo mondo? “L’obbligo di un percorso che le ha portate all’inizio a dovere usare il proprio corpo per sopravvivere, ma poi lo stereotipo si è rovesciato e quello che emerge è il desiderio collettivo di avere una vita quotidiana normale: loro fra delirio e dramma hanno preferito lo spettacolo”.
Coma ha scelto le interpreti? Aiutata nel casting da Porpora che mi ha fatto conoscere sei amiche e io su di loro ho costruito i personaggi. Antonia assomiglia tanto a una giovane che ho visto sotto casa mia a Siena”. Il film vuole essere un esempio lampante di inclusione: che cosa significa per lei questa parola? Intanto andrei per etimologia: il contrario di esclusione laddove ci sia la possibilità di aprirsi a visioni che non separano la gente”. Come si fa a realizzarla? “Intanto ci vuole una mentalità aperta che preveda la possibilità che l’altro non sia come te e che non debba essere demonizzato”.
Che cosa impedisce questa mentalità? “La paura del diverso: è paralizzante vedere in quel mondo qualcosa che può turbare la propria esistenza. Quello che non assomiglia a te e che viene valutato peggiore”. La disabilità fa parte di questo? “Lo è sicuramente: come dicevo tutto ciò che è diverso come l’handicap fa paura perché non si è preparati ad accettarlo. Si ha paura di essere invasi, fagocitati. E’ un equivoco perché poi ognuno di noi ha una sua diversità e la accetta mentre non fa lo stesso con quella degli altri. Eppure si tratta di un presupposto importante per vivere in libertà”. Che cosa pensa di ciò che sta accadendo in Iran? “E’ una metafora drammatica di tutte le privazioni che l’uomo soffre soprattutto per le fasce più deboli come le donne o i disabili, che vengono sempre aggrediti per le loro idee. Ora il regime uccide le persone e dimostra sempre più che l’aggressione, la mancanza di libertà, non è accettabile”. La situazione della donna da noi com’è? “Ancora indietro nonostante una apparente facciata di normalità, ma già a partire dalla vita familiare mancano uguali diritti”. Il sesso divide? “Credo che sia un problema di cultura generale: sono attrice del del mio corpo e questa è già una questione politica e riguarda anche le trans. Ognuno è libero di fare quello che ritiene sia una sua libera scelta anche contro la natura oscurantista che crede che non si possa scegliere di amare uno stesso sesso”. Anche il problema degli anziani meriterebbe una inclusione maggiore… che ne pensa? “La società non ama pensare che il percorso verso la fine della vita abbia valore, ma la vecchiaia è in se stessa un valore. Comporta la necessità di prendersi cura e assistere la persona, ma noi dobbiamo considerare l’anziano come paladino di saggezza e conoscenza. Non possiamo vederli come personaggi ingombranti: l’anziano deve poter passare il testimone alle nuove generazioni e farle crescere. Ne ha tutto il potere”.
Che progetti ha ora? Ancora una pellicola sociale? “Sì. Sto chiudendo un altro film, Mi fanno male i capelli: la storia di una donna che perde la memoria e si identifica nei personaggi di Monica Vitti, con il marito che la asseconda in questa sua sindrome di Korsakoff. La perdita della memoria è un tema molto importante nella nostra società, un altro tema sociale sul quale investire. E’ anche un omaggio al grande cinema italiano”. Roberta Torre, per concludere: che cosa è per lei l’amore? “Un viaggio”.