L’avventura ai Giochi di Parigi 2024 per Marcelat Sakobi, è finita ai sesti di finale, quando è stata sconfitta dall'uzbeka Sotiro Tourbekova nel match di pugilato femminile categoria 57 kg.
Ma anche se il sogno a cinque cerchi della stella del pugilato congolese ha avuto vita breve, probabilmente passerà alla storia per il gesto compiuto a fine match: l’atleta 28enne mentre era ancora sul ring dopo l’incontro, tra il sudore e le lacrime ha portato la mano destra davanti alla bocca, come a volerla serrare, mentre con la sinistra ha simulato una pistola puntata alla tempia. Un gesto che non è passato inosservato ed è sembrato voler denunciare le uccisioni silenziose di civili che da anni proseguono nell'est della Repubblica democratica del Congo, suo Paese d'origine.
Olimpiadi: molto più che sport
Che le Olimpiadi non siano solo una manifestazione sportiva era chiaro sin dal loro inizio. A partire dai valori promossi dalla Carta olimpica, quelli di fratellanza (e sorellanza), di solidarietà, di unione e di pace tra i popoli, riuniti ogni quattro anni sotto la bandiera a cinque cerchi. E che i Giochi di Parigi, come altri nel corso delle edizioni – soprattutto in periodo di guerre mondiali o Guerra Fredda – siano un palcoscenico privilegiato da cui lanciare messaggi che vanno al di là dello sport e riguardando rivendicazione di diritti, di esistenze, di questioni sociali o politiche, è altrettanto evidente.
Lo dimostrano l’assenza delle nazionali della Russia e della Bielorussia dall’evento – a cui è stato vietato dal Cio di partecipare –, la presenza della squadra dei rifugiati, le spesso piccole ma agguerrite delegazioni di Paesi che stanno affrontando conflitti – come quella della Palestina o dell’Ucraina (in formazione ridotta rispetto alle Olimpiadi precedenti) – e quelle in cui vigono regimi di terrore, di oppressione, di violenza sulla popolazione.
Lo ha dimostrato nella mattinata di ieri la velocista Kimia Yousofi, col suo cartello per rivendicare i diritti per le donne in Afghanistan e, nella stessa serata, anche la pugile Sakobi, visibilmente provata ed emozionata nel compiere quel gesto.
Il conflitto civile in Congo
Le Nazioni Unite stimano infatti che dal 2004 nel Kivu, regione nell'Est della Repubblica democratica del Congo dove sono attivi oltre un centinaio di gruppi armati, abbiano perso la vita decine di migliaia di persone, mentre un milione e 200mila sono state costrette a fuggire, lasciando tutto. Un conflitto interno, sanguinoso, in cui è coinvolto anche l’esercito nazionale, in particolare contro il movimento M23, che negli ultimi mesi ha intensificato gli attacchi arrivando a prendere il controllo di interi villaggi e province.
Il governo di Kinshasa accusa il vicino Stato del Ruanda di sostenere tale milizia, con l'obiettivo di avere “personale” sul terreno che sfrutta le numerose risorse naturali di cui questa regione è ricca. Accuse sempre respinte da Kigali, nonostante esistano parecchi report dell’Onu a confermarle. Stati Uniti e Unione europea hanno inoltre imposto sanzioni contro i vertici del movimento armato.
La speranza della tregua
Una speranza giunge però dalla diplomazia: alla mezzanotte di domenica 4 agosto scatterà una tregua “a tempo indeterminato” tra l'esercito e l'M23 grazie a un accordo raggiunto il 30 luglio tra esponenti del governo congolese e del gruppo armato a Luanda, capitale dell’Angola che si è infatti fatta promotrice dell'intesa, che suggella un accordo preliminare per il cessate il fuoco stretto a inizio del mese scorso. Altra buona notizia, è il riavvicinamento tra le cancellerie di Kinshasa (Congo) e Kigali (Ruanda), che a inizio anno hanno accettato di tornare a far parte del “Processo di Luanda”, iniziativa diplomatica promossa dall'Unione africana per ridurre le tensioni nella Regione dei grandi laghi. Quanto alla tregua tra i militari e i combattenti armati, il governo congolese ha confermato che sarà attivato un meccanismo di monitoraggio che veglierà sul rispetto dei punti chiave dell'intesa, che al momento, stando alla stampa regionale, non sono ancora stati resi noti.
Un passo importante, nello spirito della tregua olimpica e della denuncia di Marcelat Sakobi, entrata nell'olimpo degli atleti che hanno sfruttato i Giochi per portare all'attenzione del mondo i valori della pace e dei diritti umani.