Sanremo non è mai solo Sanremo. I messaggi lanciati dal palco dell’Ariston vanno oltre la manifestazione musicale e hanno l’ambizione – e spesso anche il potere – di smuovere cuori e coscienze o quantomeno di piantare un piccolo seme da cui far germogliare una riflessione. Così è stato anche nell’edizione appena terminata, tra appelli alla pace, messaggi a sostegno della battaglia per i diritti civili e brani chiaramente politici come quello di Dargen D’amico.
Tra tutti, uno, forse quello più potente di tutti, non è passato inosservato. Ghali, al termine della sua esibizione durante la finale di sabato 10 febbraio, al cospetto di 18,2 milioni di telespettatori e con al proprio fianco – non a caso – il fedele amico alieno Rich Ciolino, con voce ferma e pacata ha pronunciato queste parole: “Stop al genocidio”.
Parole giustissime, piene di una verità sotto gli occhi di tutte e tutti, che implorano un mondo che pare essere ormai anestetizzato di fronte al dolore. Parole che tutte e tutti avrebbero dovuto condividere senza tentennamenti e che invece hanno scatenato un prevedibilissimo inferno politico in una Rai che, a giudicare dalle ragioni degli scioperi dei dipendenti, pare essere ancor più del passato legata a doppio filo alle logiche del potere più che della libertà.
La nota dell’Usigrai:
Tanto che questa mattina, nelle mail dei principali quotidiani italiani, arriva come un fulmine a ciel sereno il comunicato del sindacato dei giornalisti della tv pubblica, in cui si rivendica l’indipendenza e l’autonomia da prese di posizione editoriali – per non dire tentativi di censura – che ieri hanno scosso il pubblico di Rai1.
"L'Usigrai, dopo le polemiche seguite alle parole pronunciate da un artista sul palco di Sanremo e la successiva dichiarazione dell’Ad dell'azienda, ribadisce, anche nei confronti dell'editore, l'autonomia e l'indipendenza dell'informazione dei giornalisti della Rai. Siamo impegnati con colleghe e colleghi su tutti i fronti di guerra, per riportare le notizie con equilibrio e rispetto dei fatti. Per nessuna ragione vorremmo essere accomunati a posizioni di parte che farebbero venir meno la terzietà propria del ruolo dell'informazione di servizio pubblico”.
Cos’è successo a Domenica In
Ma riprendiamo le fila di quello che è accuduto in meno di 24 ore, dalla finale alla puntata di Domenica In in diretta dal Teatro Ariston. Ieri, in un tranquillo pomeriggio di una piovosa domenica, Mara Venier, senza batter ciglio, ha letto in diretta un comunicato firmato dall'amministratore delegato Rai, Roberto Sergio in persona. Una nota di vicinanza a Israele in risposta alle parole pronunciate da Ghali. Una inopportuna presa di posizione figlia delle proteste dell'ambasciatore di Israele a Roma, Alon Bar, che non aveva tardato a definire "vergognoso" il messaggio del rapper, accusandolo di istigare all’odio nei confronti della popolazione ebraica.
Un testo, quello dell’amministratore delegato, teso esclusivamente a sottolineare l'attenzione della Tv di Stato nei confronti della "tragedia degli ostaggi nelle mani di Hamas" e della "strage del 7 ottobre". Le parole Gaza e Palestina sapientemente non pervenute.
La pioggia di critiche
Le critiche da parte dell’opposizione non sono mancate così come lo sdegno di un pezzo di Paese che non ne vuole sapere di assecondare la visione occidentale di turno a discapito di civili, anche bambini, che ogni giorno muoiono sotto le bombe. Il punto è tanto politico quanto “in punta di democrazia”. Può la televisione di stato italiana farsi avvocato difensore e portavoce di Israele? Può un amministratore delegato della medesima rispondere alle sacrosante parole di un artista che si è esibito sul palco del Festival di Sanremo con un testo che ha tutte le sembianze di un editto? Può una emittente pubblica fornire letture parziali di un conflitto in cui, a prescindere dalle ormai ataviche dinamiche, a morire sono ogni giorno centinaia di civili?
La risposta a questi interrogativi (abbastanza retorici) è solo una: no, non può. Ma tant’è. E, diciamoci la verità, non ci aspettavamo nulla di diverso da quella che è stata definita da più parti “tele-Meloni”. Così ci troviamo costretti a fare i conti con l’ennesimo tentativo di censura tardiva, che aprirà la strada a una serie infinita di cerotti sulle bocche di persone che potrebbero azzardare qualche briciolo di libertà.
Ghali dal palco dell’Ariston ha chiesto di interrompere la scia di sangue, facendo quello che dovrebbe fare il governo italiano (e non è stato il solo). Ma Palazzo Chigi non ci sta. Peccato che, di questi tempi, quello di mettere le mani sulla Rai sia un tentativo che, per quanto anti-democratico e da combattere, non sortirà gli effetti desiderati. Il mondo – e il sistema di informazione – è cambiato e non basterà certo la longa manus del potere di turno a impedire lo squarcio del velo. L’auspicio è che sempre più Ghali si assumano la responsabilità della verità, sempre e comunque: basta guerre.