Il 27 gennaio di ogni anno viene celebrato il momento in cui, nel 1945, le truppe sovietiche liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, simbolo della barbaria con la quale il regime nazista uccise brutalmente milioni di persone nel perseguire un’ideologia razzista, violenta e discriminatoria. A partire dal 2005, l’Assemblea generale della Nazioni Unite ha scelto, tramite una risoluzione, di istituire una ricorrenza internazionale – il “Giorno della memoria” – al fine di ricordare alle popolazioni di tutto il mondo le atrocità di uno dei momenti più violenti della storia contemporanea.
Durante le persecuzioni politiche, razziali e genocidarie morirono oltre 15 milioni di persone, sebbene alcune ricerche stimino in 17 milioni di persone il totale delle vittime che, in diversi luoghi e mediante diverse modalità vennero uccise per perseguire gli obiettivi di “pulizia” della popolazione del Reich teorizzata da Adolf Hitler. Tra di loro persero la vita più di sei milioni di ebrei, ritenuti il principale ostacolo per l’affermazione della razza ariana nel mondo, così come Rom, prigionieri politici, persone con disabilità, omosessuali, ma anche Testimoni di Geova e coloro che, più genericamente, venivano ritenuti arbitrariamente dal regime “non ariani”.
In Italia, nel corso dei primi 20 anni di questa ricorrenza, la memoria pubblica si è concentrata prevalentemente sull’Olocausto, complice una storiografia pressoché assente in merito, ad esempio, a Rom, Sinti, omosessuali, malati mentali e internati militari italiani. Percorsi di ricerca che, a livello universitario, si stanno affermando solo negli ultimi anni, e che si spera possano giungere nelle aule scolastiche e nei luoghi del ricordo nel minor tempo possibile. Ciò ha comportato un ricordo settorializzato delle barbarie naziste, il quale è stato in particolar modo rivolto a tematiche ben più note e relative, in particolar modo, allo sterminio degli ebrei e ai fatti che nel secondo dopoguerra comportarono la nascita e lo sviluppo dello Stato di Israele.
Le critiche al Giorno della Memoria
Oggi, però, il Giorno della Memoria sta ricevendo sempre più critiche e contestazioni. Frasi d’odio che trovano spazio sui principali canali social a causa, in particolar modo, di una sovrapposizione tra l’attuale conflitto in Libano, a Gaza e in Cisgiordania e i fatti occorsi oltre ottanta anni fa. Il sentimento di avversione di chi critica questa giornata deriva da un ragionamento estremamente banalizzato sul significato della ricorrenza, e rischia di concorrere a dimenticare le violenze che, oltre alle persone di fede ebraica, milioni di altri cittadini e cittadine furono costretti a subire.
Mescolare e giudicare tramite la stessa lente di ingrandimento fatti storici e contemporaneità rischia, infatti, di banalizzare il passato, senza riuscire a cogliere il significato che gli ideatori e le ideatrici di questa giornata le hanno attribuito. Il 27 gennaio, infatti, ha il compito di erigersi a monito per ricordare a tutti e tutte noi la violenza di ideologie razziste e discriminatorie, mostrando agli occhi delle popolazioni di tutto il mondo quali possono essere le conseguenze di regimi contraddistinti da una tale violenza.
Analogamente, sovrapporre la violenza degli attacchi militari ordinati e orditi dal gabinetto di guerra di Netanyahu - già condannato, così come il leader di Hamas, dalla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità - all’Olocausto è non solo deontologicamente sbagliato, ma rischia di far perdere a tutti e tutte noi il messaggio ben più ampio che questa ricorrenza porta ciclicamente con sé. Ciò avviene in funzione di un’equiparazione tra la fede ebraica di coloro che vennero uccisi e di coloro che stanno conducendo la guerra in buona parte del Medio Oriente, facendo perdere valore a un messaggio di dolore, ma anche di speranza e di pace, che chiunque desideri sentire le armi smettere di suonare non deve avversare, bensì sposare con ancor più volontà e determinazione.