Non esistono solo due pesi e due misure, ma due distinti mondi nei quali si può avere la fortuna o la sfortuna di nascere. O meglio, sarebbe più corretto parlare di privilegio, il valore che si distingue non unicamente in base alla posizione geografica nella quale si nasce, ma in base a possibilità di vita, condizioni lavorative e di salute. Vivere una vita felice è possibile in molti luoghi del mondo; dopotutto questo è un concetto che prescinde dalla percezione della singola persona. Ma ciò che è innegabile, è che molte scelte di vita obbligate possano rilevarsi ben più onerose di tante altre.
Per un Al-Masri il quale, una volta catturato, è stato riportato in Libia con un volo di Stato nonostante il mandato della Corte penale internazionale, che esistono troppi ragazzi e ragazze quotidianamente percossi, torturati e talvolta uccisi dalla stessa polizia giudiziaria da lui diretta. L’ex direttore del carcere di Mitiga, a Tripoli, è stato arrestato dalla Digos a Torino domenica 19 gennaio dopo che, assieme ad alcuni amici e colleghi, era andato allo stadio Allianz per vedere una partita della sua squadra del cuore: la Juventus. Una passione, quella per il calcio, condivisa da molti ragazzi che decidono di lasciare tutto con addosso solo la maglia del proprio idolo sportivo, tentando la fortuna su un gommone.
Viaggi che spesso si infrangono ancor prima di prendere il mare, molte volte per mano di organizzazioni militari o paramilitari proprio come quelle comandate dal carceriere libico, molte delle quali operano al di fuori della legge. Codici, cavilli e norme che spesso, proprio in questo caso, non riescono ad imbrigliare neppure coloro che, nel passato più prossimo, si sono macchiati di crimini atroci. A scagionare Al-Masri ci ha pensato un vizio di forma, la mancata comunicazione preliminare dell’arresto per volontà della Cpi al ministero competente che, nelle ore seguenti, ha portato la Corte di Appello di Roma ad emanare l’ordinanza di scarcerazione.
La denuncia delle Ong
Inoltre, il grido di protesta di coloro che, ogni giorno, sfidano il mare per salvare vite umane non ha tardato a levarsi. L’Ong Mediterranea Save Humans, infatti, afferma: “Al-Masri si nascondeva in Italia, ovviamente: perché qui i trafficanti e i torturatori libici si sentono evidentemente protetti e al sicuro. Chi ha pagato, per anni Al-Masri per torturare, detenere, uccidere donne, uomini e bambini?”. Un dubbio che serpeggia anche tra le aule parlamentari italiane, con le opposizioni che hanno presto denunciato la “delocalizzazione” delle violenze al di là del Mediterraneo, tutto ciò al fine di contenere i flussi migratori nel sangue ma ben al riparo dalle telecamere dei giornalisti e delle giornaliste.
“Io capitano”, fuga dalla miseria
Le vicende che sottostanno a questo arresto, colme di dolore e di difficile comprensione in quanto – spesso – evitate dai media europei, sono arrivate sul grande schermo grazie al film “Io capitano”. Un racconto lucido e dal taglio netto, che spiega a tutti e tutte noi cosa significa dover lasciare tutto in cerca di fortuna, spesso sfidando la morte, le torture e le estorsioni.