Sono serviti cinque anni, innumerevoli udienze e numerose aule di tribunale per ottenere una sentenza di primo grado sul caso Open Arms, un momento cardine – nel bene e nel male – per definire il futuro e analizzare il passato della politica migratoria italiana. Per 19 giorni, ben 162 migranti vennero bloccati al largo delle coste di Lampedusa dall’ex Ministro degli Interni dell’esecutivo guidato dall’alleanza giallo-verde, Matteo Salvini, al tempo in forze tra le fila capitanate da Giuseppe Conte.
I soccorsi e le condizioni a bordo
Era il primo agosto quando, dopo numerosi e ripetuti salvataggi in mare, l’Open Arms – battente bandiera spagnola – richiese a Italia e Malta un porto sicuro per far sì che le numerose decine di persone soccorse potessero finalmente toccare terra. Ma il governo tricolore, basandosi sul Decreto Sicurezza Bis, approvato solo poche settimane prima, negò qualsiasi tipo di aiuto all’imbarcazione, avviando uno scontro internazionale di carattere politico e diplomatico. Un braccio di ferro che il leader della Lega scelse di giocare con l’intera Unione Europea, segnando per sempre le vite delle 163 persone a bordo della nave umanitaria.
Dopo un iniziale soccorso a ben 123 migranti in acque libiche, infatti, solo due persone vennero fatte sbarcare per motivi di salute. Fatti che nessuno si sarebbe mai immaginato avrebbero portato alla permanenza di decine di persone a bordo della nave per quasi tre settimane. Inoltre, fu proprio durante questo lungo periodo di stallo che altri 39 naufraghi vennero portati a bordo della nave, facendo lievitare il totale a ben 162 persone in condizioni sanitarie, psicologiche e fisiche precarie oltre ai membri dell’equipaggio, tutti e tutte ospitati su un rimorchiatore varato nel 1974.
L’intervento della magistratura e l’inchiesta
Fu solo il 20 agosto 2019 che, in seguito alla tensione mediatica originatasi con l’aggravarsi delle condizioni igienico-sanitarie a bordo della nave, la procura di Agrigento decise di autorizzare lo sbarco sull’isola di Lampedusa per motivi umanitari, il tutto dopo quasi tre settimane di attesa.
Sono questi i fatti che, nei mesi successivi, hanno comportato l’apertura di un’istruttoria nei confronti dell’attuale Ministro dei Trasporti, iscritto nel registro degli indagati. Un fatto, quest’ultimo, trattato dalla stampa italiana come un’accusa di colpevolezza fatta e finita, seguendo l’ormai imperante clima giustizialista che si respira in tutta la penisola. Questo stesso umore è stato poi cavalcato come un’onda dallo stesso Salvini, capace di rigirare le argomentazioni e basare larga parte delle ultime campagne elettorali sulla politicizzazione di sinistra dei detentori del potere giudiziario, siano essi giudici o magistrati. Esattamente gli stessi che, proprio ieri, lo hanno dichiarato non colpevole in merito all’accusa di “sequestro di persona”.
Non dimentichiamo i veri protagonisti
La classe politica, avendo il compito di trattare casi estremamente delicati e relativi, molto spesso, al dolore delle persone, ha il dovere necessario di non scadere in strumentalizzazioni di alcun genere. Molto spesso, però, la generalizzazione del dibattito comporta una vera e propria semplificazione dei temi trattati e, nel caso dell’immigrazione, anche ad uno sfasamento della percezione di chi sono i protagonisti dei fatti.
Secondo l’ultimo rapporto Carta di Roma, infatti, unicamente nel 7% dei servizi televisivi sul tema migratorio è presente la testimonianza diretta di chi sfida il mare in cerca di un futuro migliore, mentre il volto dei politici italiani appare fino raggiungere il 38% dei servizi, come nel caso del Tg2. Per questo, non occorre scordarci il dolore di chi, al netto di una sentenza di assoluzione, decide ogni giorno di correre rischi enormi, che molto spesso implicano la morte, al solo fine di raggiungere un luogo nel quale vivere un futuro migliore.