La pandemia non ci ha reso migliori. E nemmeno più uguali. Anzi, il sospetto, sempre più radicato a causa delle evidenze che stanno arrivando sotto forma di analisi socioeconomiche, è che abbia ulteriormente accresciuto il divario tra gli inclusi e gli esclusi, tra chi ha e chi non ha (o ha meno), tra chi è in grado di esercitare pienamente i propri diritti e chi invece si trova a dover fare i conti, quotidianamente, con una differenza che contamina negativamente tutti i campi dell’esistenza sia personale che professionale. È il caso delle donne. Sappiamo quanto il gender gap sia un problema reale anche nelle società più evolute, e conosciamo la fatica che si fa, e si faceva già prima del Covid, ad affermare principi semplici e basilari come le pari opportunità. Quello di cui invece sappiamo meno è quanto effettivamente la pandemia sia andata ad aggravare questa situazione. A colmare il vuoto ci hanno pensato due studiose italiane, Deborah Russo, professoressa associata di Diritto internazionale all'università di Firenze ed Enzamaria Tramontana, professoressa associata di Diritto internazionale all'università di Palermo. Da dove nasce la vostra ricerca? "L’idea nasce dalle evidenze statistiche, ampiamente documentate dalla stampa e dalle principali organizzazioni internazionali, circa l’impatto sproporzionato che la pandemia, e le misure adottate per il contenimento della sua diffusione, hanno avuto nei confronti delle donne".
l’aumento esponenziale della violenza domestica, dovuta a lockdown e quarantene, che hanno di fatto obbligato molte donne a una convivenza forzata con i propri aguzzini e aumentato le loro difficoltà a denunciare e rivolgersi ai servizi di supporto. In terzo luogo, la diffusa compressione nell’accesso ai servizi di salute sessuale e riproduttiva da parte delle donne, causata dalla classificazione di questi servizi come non strettamente indispensabili e/o prorogabili nel quadro di politiche finalizzate a dare priorità, nell’allocazione di risorse umane e finanziare, alla cura dei pazienti affetti da Covid-19. Infine, ma non certo per importanza, l’impatto sproporzionato che le misure di contenimento della pandemia hanno avuto sull’impiego femminile e il preoccupante incremento delle ore dedicate dalle donne al lavoro non pagato (lavoro di cura e domestico)". In quale settore si è avuto il maggiore gap rispetto alla popolazione maschile? "Sicuramente il settore dell’occupazione. Le misure messe in campo per contrastare la pandemia hanno infatti colpito più duramente settori a più elevato tasso occupazionale femminile e a inferiore tasso di telelavorabilità, come turismo e ristorazione, determinando la perdita di un maggior numero di posti di lavoro per le donne. Parallelamente, queste si sono fatte carico -ben più degli uomini- dell’incremento del lavoro domestico conseguente, in particolar modo, alla chiusura di scuole e centri di assistenza per anziani e malati". Un problema che esisteva già prima della pandemia…
"Certo, ciò è andato a peggiorare una situazione che risultava già allarmante prima della pandemia: ci riferiamo al più elevato livello di disoccupazione femminile rispetto a quella maschile; alla maggiore difficoltà per le donne di accedere a misure di assistenza sociale a causa della natura prevalentemente irregolare o precaria dei loro rapporti di lavoro; agli ostacoli nelle progressioni di carriera, che discendono da una distribuzione fortemente sbilanciata del carico domestico e dall’assenza (o inadeguatezza) di misure finalizzate a promuovere la conciliazione tra lavoro e vita familiare (pensiamo, ad esempio, all’incremento degli asili nido, alla erogazione di bonus per servizi di baby-sitting, o alla previsione del congedo obbligatorio di paternità). Quali le cause dello squilibrio di genere determinato dal Covid? "L'impatto sproporzionato della pandemia sull'uguaglianza di genere è stato causato dalla fatale combinazione di due elementi. Da un lato la preesistente situazione strutturale di svantaggio che le donne scontano in vari ambiti della vita sociale. Come già detto, ad esempio, il divario tra lavoro femminile e maschile era già allarmante prima della pandemia, non solo per i livelli di disoccupazione femminile ben più elevati di quelli maschili ma anche perché, più spesso degli uomini, le donne sono impiegate sulla base di contratti part-time e/o a tempo determinato, che più duramente sono colpiti in tempo di crisi. Dall'altro lato, l'impatto negativo della pandemia è stato concausato dall'impreparazione degli Stati nell'affrontare l'emergenza e nel mettere in campo, come richiedono specifici obblighi internazionali, misure protettive di sostegno e di correzione degli effetti negativi delle misure emergenziali sulle categorie meno protette. Come le donne". Potete fare un esempio concreto? "Nel campo dell’impiego, ad esempio, ci riferiamo alla mancata adozione di premialità rivolte alle imprese che non licenziano le donne. La stessa combinazione di fattori causali spiega l'aggravamento della violenza domestica: da un lato gli stereotipi di genere legati al ruolo della donna nella sfera della famiglia e dall'altra l'inadempimento degli Stati al dovere di mettere in campo misure rafforzate di protezione per compensare il prevedibile aumento del rischio di violenza domestica generato da lockdown, quarantene e altre forme di restrizione della libertà personale imposte per contenere il contagio".
Quali misure mettere in campo? "La ricostruzione post-Covid rappresenta un'opportunità unica non solo per neutralizzare l'arretramento dei diritti delle donne causato dalla pandemia ma anche per promuovere l'uguaglianza di genere come presupposto indispensabile di una società più equilibrata, prospera, giusta e resiliente. Questo è possibile solo a condizione che, nella fase di ricostruzione, gli Stati coinvolgano le donne in misura paritaria agli uomini nella elaborazione e applicazione dei piani di recovery e ricostruzione, e mettano in campo finanziamenti e politiche a sostegno dell'uguaglianza di genere (pensiamo, ad esempio, al rafforzamento degli obblighi di legge sull'uguaglianza delle condizioni contrattuali con sanzioni, a meccanismi preferenziali nell'accesso e nelle progressioni di carriera, al potenziamento dei servizi di cura e asili nido, al congedo obbligatorio di paternità, ecc). Va però precisato che un approccio di genere dovrà caratterizzare tutte le misure e le politiche di recovery. Questo significa, ad esempio, che ove si prevedano ingenti finanziamenti su settori attualmente dominati dall'occupazione maschile (come quelli della economia verde e del digitale), saranno indispensabili correttivi per evitare l'aggravio della sproporzione occupazionale (per esempio puntando alla formazione specifica della manodopera femminile necessaria al lavoro in questi settori e all’applicazione di misure preferenziali che agevolino l'ingresso delle donne in questi settori).
Quale è stato l'effetto della pandemia sulle donne? "Gli aspetti da prendere in considerazione sono molteplici. In primo luogo, la maggiore suscettibilità delle donne all’infezione da SARS-CoV-2, dovuta al fatto che queste rappresentano, a livello mondiale, oltre il 70% del personale medico e infermieristico, ossia quella fetta della popolazione nella quale è presente la percentuale più alta dei contagiati dal virus. In secondo luogo,