Giovanni Allevi: “Bisogna vivere il presente, il buono è nel profondo”

Il compositore racconta il suo ritorno sul palco dopo la malattia, tra speranza nel futuro e le nuove consapevolezze nel suo volume “Nove doni”. E sarà ospite del quarto Festival di Luce! il prossimo 19 ottobre a Palazzo Vecchio

di ANDREA SPINELLI -
10 ottobre 2024
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Giovanni Allevi

FIRENZE, 10 ottobre 2024 – Come dicono all’Istituto Tumori di Milano, i pazienti hanno bisogno di tenerezza per iniziare una nuova era. Ma hanno bisogno anche di sogni, simili a quelli che Giovanni Allevi in questi due anni di difficoltà ha continuato a rincorrere come faceva con le lucciole da bambino nelle notti d’estate. Ed è a quelle fantasie bardate di speranza che il compositore e pianista ascolano dedica il 19 ottobre l’incontro con la direttrice di Quotidiano Nazionale, Nazione, Giorno e Resto del Carlino Agnese Pini, sul palco del Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio.

Allevi è, infatti, uno degli ultimi protagonisti del nostro tempo ad aggiungersi alla Festa di Luce! Il mieloma multiplo che gli ha cambiato la vita e il lancinante addio alla sorella maggiore Maria Stella, volata via senza avvisare una mattina d’estate lasciandolo solo col suo dolore e le sue sedute di chemioterapia, sono il contrappeso messo ad un certo punto dalla fortuna sull’altro piatto della bilancia.

Il ritorno in scena 

“Quando, finalmente, mesi fa, mi sono ritrovato nuovamente sul palco, ho dovuto fare i conti con problemi di sensibilità alle dita e un tremore che mi sono passati solo dopo qualche replica, quando a Roma mi sono lasciato andare all’abbraccio del pubblico” racconta Allevi. “A metà esibizione è arrivato un terribile mal di schiena, ma sono riuscito ad ‘annegarlo nella musica’ tanto metaforicamente che fisicamente, perché il piano gran coda da concerto assorbe tutta ma mia energia trasformandosi in una specie di materasso morbidissimo su cui si sciolgono pure le contratture dei muscoli paravertebrali”.

Il libro “I Nove doni”

Giovanni giura che l’esperienza della malattia l’ha reso una persona diversa, portata molto più di prima a cogliere i doni che la vita gli offre. I “Nove doni, sulla via della felicità” su cui riflette nel suo ultimo libro. “Se non c'è più certezza del futuro, bisogna vivere più intensamente il presente” ammette. “Non si contano le albe e i tramonti che ho ammirato da quelle stanze d'ospedale. Mi sono accorto che il rosso dell’alba è diverso da quello del tramonto. E che il levarsi del sole è accompagnato da una incantevole sfumatura violacea. Quando ho affrontato concretamente l’ipotesi di una possibile fine, s’è impossessata dei miei pensieri la grande speranza - o grande illusione - dell’immortalità dell’anima”.

"Mi è tornato alla mente il Kant de ‘La critica della ragion pratica’ – prosegue il compositore – e la sua intuizione che nella profondità del nostro essere c’è qualcosa di bello e di buono capace di precedere e trascendere il giudizio esterno. Nel mio caso, direi, pure il dolore fisico”. Corpo e volontà. Ma anche dolcezza verso sé stessi. E gratitudine. “La gratitudine è un sentimento di ammirazione per la meraviglia di un mondo verso cui non abbiamo più pretese, ma solo desiderio di contemplarne tutta la bellezza. Gratitudine e riconoscenza per il lavoro degli altri perché, se non fosse stato per i medici e il personale ospedaliero che m’ha seguito, oggi non sarei sul palco”.

E poi c’è quel senso di riconoscenza per il calore umano infuso dagli altri pazienti. “A qualcuno la parola ‘guerrieri’ non piace, ma parlando di loro non riesco a trovarne un’altra” ammette. Concetto ribadito durante la malattia pure in un post scritto dall’ospedale. "Giulio Cesare dice che è più facile trovare uomini disposti a morire che trovare quelli disposti a sopportare il dolore con pazienza. Beh, Giulio, io continuo a vivere, e siamo in tanti, molti di più di quanto immagini!".