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Home » Lifestyle » Da tiktoker a makeup artist: “Il trucco non è femminile, è neutro. La società sta cambiando”

Da tiktoker a makeup artist: “Il trucco non è femminile, è neutro. La società sta cambiando”

Pietro Sonnessa, 19enne torinese, è partito facendo video di cosmesi sui social fino a diventare un professionista: "Grazie alla mia passione ho superato i problemi di bullismo"

Nicolò Guelfi
6 Dicembre 2022
Pietro Sonnessa, 19enne torinese, partito facendo video di cosmesi sui social fino a diventare un professionista. Grazie alla sua passione, ha superato i problemi di bullismo

Pietro Sonnessa, 19enne torinese, partito facendo video di cosmesi sui social fino a diventare un professionista. Grazie alla sua passione, ha superato i problemi di bullismo

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“La cosa migliore è sembrare naturali. Ma ci vuole un sacco di trucco per sembrare naturali”. La frase, attribuita al celebre stilista Calvin Klein, è forse la più adatta per descrive a pieno la storia di Pietro Sonnessa: 19 anni, torinese, tiktoker di successo, ha scelto di fare del trucco la sua strada, iniziando giovanissimo a giocare con ombretto e fard. “Il makeup era una necessità artistica. Per me è come ossigeno” racconta con voce appassionata. Partito da zero, oggi il giovane applica la sua arte in molti contesti ed è diventato oggetto di un documentario, ma la sua vicenda parla anche di riscatto.

In tanti hanno una passione che li accende, ma non tutti sanno indicare da dove questa abbia avuto inizio. Pietro ricorda che l’attrazione per i trucchi è iniziata durante l’infanzia: “Sin da piccolo guardavo video sul trucco. Vedevo le beauty influencer, i makeup artist, era bello e molto rilassante, potevo vedere quanto un volto potesse esprimersi attraverso i colori. A 15 anni volevo assolutamente iniziare a fare video su Tiktok, ma non sapevo che contenuti proporre. Volevo distinguermi, trovare la mia voce. Lì è arrivata l’idea: gli uomini che si truccano sono davvero pochi in Italia. Mi sono detto: ‘Potrei provare!’, così ho iniziato a sperimentare e a comprare trucchi”.

 

Pietro Sconnessa, 19enne torinese
Pietro Sonnessa, 19enne torinese (foto tratta dal profilo Instagram)

La strada del makeup è legata alla passione e al divertimento, ma c’è il rovescio della medaglia, ovvero il trucco come tecnica per nasconde problemi estetici: “Il primo prodotto l’ho preso per curare l’acne, che per me è stata un grosso problema durante l’adolescenza”. Pietro racconta di essere stato vittima di bullismo. La ragione dello scherno da parte dei coetanei era legata al suo non essere come gli altri: “Io mi sono sempre sentito diverso. Sono stato preso in giro fin dalle elementari perché ero molto femminile. Quando sono diventato adolescente il tema è diventata l’acne, poi i problemi di peso. Tra la terza e la quarta superiore sono cresciuto e le cose sono un po’ cambiate: ho costruito la mia autostima e una nuova immagine, in più ho cominciato a lavorare con i trucchi”.

Dopo aver attraversato un periodo difficile, il messaggio che vuole lasciare agli altri è quello di amarsi e trovare persone che ci valorizzino: “Ai ragazzi dico di avere il coraggio di viversi al 100%. Bisogna costruire giorno per giorno l’autostima senza paura di conoscersi. Bisogna capire che non si è soli. Dobbiamo anche conoscere persone che ci rappresentino e valorizzino. È importante frequentare persone che hanno incontrato i tuoi problemi”.

Ombretto e pennelli come ‘terapia’

Il mondo del makeup è stato una terapia, un percorso di cura e di crescita, dove truccando gli altri Pietro ha potuto scoprire il suo vero volto. Oggi ci sono ancora molti stereotipi che collegano la cosmesi alla femminilità, ma la realtà la questione è molto più ampia: “Io all’inizio avevo paura di truccarmi perché temevo che gli altri mi dicessero qualcosa sulla mia identità di genere. Il trucco non è femminile, è neutro. Le cose stanno cambiando. La questione sta cambiando agli occhi del mondo perché vediamo anche modelli nella moda diversi: uomini truccati, che mettono lo smalto, tingono i capelli, indossano vestiti femminili, e sono considerati fighi”.

La linea di make-up di Achille Lauro (Instagram)
La linea di make-up di Achille Lauro (Instagram)

Pietro oggi è si dice molto soddisfatto della persona che è diventato e si tiene molto impegnato: dopo aver frequentato l’accademia Mba come truccatore, è diventato assistente dentro quella stessa realtà. Nel frattempo, ha iniziato a studiare Scienze della Comunicazione all’Università di Torino. Il suo percorso è stato notato dalla scuola di cinema Sae di Milano e alcuni studenti hanno realizzato un documentario che ripercorre la sua storia, intitolato Gianduja, realizzato da Yasmin Leite, Andrea Zanni, Sonia Maffi e Kristian Ferri.

Il video Gianduja

Pietro Sonnessa, 19 torinese: grazie alla sua passione ha superato i problemi di bullismo (fonte Instagram)
Pietro Sonnessa, 19 torinese: grazie alla sua passione ha superato i problemi di bullismo (fonte Instagram)

Nel video Pietro si lascia andare con fiducia a raccontare come nell’accademia del trucco abbia trovato un ambiente aperto e rispettoso della diversità, dopo una adolescenza critica in famiglia e a scuola, gli episodi di bullismo legati alla sua femminilità e omosessualità. La sua testimonianza ha costituito un ponte per una collaborazione tra la propria accademia e la scuola di cinema, legate dall’interesse per tutela della diversità, dell’inclusività e della rappresentanza.

“Nasce come collaborazione tra l’accademia di trucco e la Sae  – spiega Pietro  –. Loro dovevano realizzare un documentario basato su un soggetto e io mi sono candidato. Abbiamo girato 4-5 giornate e a un certo punto siamo arrivati a tematiche molto personali. Tutto questo colloquio è diventato il filo conduttore del documentario cui si è inserito tutto il resto”.
Pietro è felice di ciò che è diventato, ma intende continuare a formarsi. Tra le mille applicazioni possibili, il suo sogno più grande è portare il suo contributo nel mondo della moda: “Sin da piccolo sognavo le sfilate e disegnavo anche le mie collezioni. Si tratta di una grande sfida e dalle poche esperienze che ho avuto ho potuto notare come sia un mondo competitivo e difficile, ma è ciò che voglio fare”.

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Instagram

  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
“La cosa migliore è sembrare naturali. Ma ci vuole un sacco di trucco per sembrare naturali”. La frase, attribuita al celebre stilista Calvin Klein, è forse la più adatta per descrive a pieno la storia di Pietro Sonnessa: 19 anni, torinese, tiktoker di successo, ha scelto di fare del trucco la sua strada, iniziando giovanissimo a giocare con ombretto e fard. “Il makeup era una necessità artistica. Per me è come ossigeno” racconta con voce appassionata. Partito da zero, oggi il giovane applica la sua arte in molti contesti ed è diventato oggetto di un documentario, ma la sua vicenda parla anche di riscatto.

In tanti hanno una passione che li accende, ma non tutti sanno indicare da dove questa abbia avuto inizio. Pietro ricorda che l’attrazione per i trucchi è iniziata durante l’infanzia: “Sin da piccolo guardavo video sul trucco. Vedevo le beauty influencer, i makeup artist, era bello e molto rilassante, potevo vedere quanto un volto potesse esprimersi attraverso i colori. A 15 anni volevo assolutamente iniziare a fare video su Tiktok, ma non sapevo che contenuti proporre. Volevo distinguermi, trovare la mia voce. Lì è arrivata l’idea: gli uomini che si truccano sono davvero pochi in Italia. Mi sono detto: ‘Potrei provare!’, così ho iniziato a sperimentare e a comprare trucchi”.  
Pietro Sconnessa, 19enne torinese
Pietro Sonnessa, 19enne torinese (foto tratta dal profilo Instagram)
La strada del makeup è legata alla passione e al divertimento, ma c’è il rovescio della medaglia, ovvero il trucco come tecnica per nasconde problemi estetici: “Il primo prodotto l’ho preso per curare l’acne, che per me è stata un grosso problema durante l’adolescenza”. Pietro racconta di essere stato vittima di bullismo. La ragione dello scherno da parte dei coetanei era legata al suo non essere come gli altri: “Io mi sono sempre sentito diverso. Sono stato preso in giro fin dalle elementari perché ero molto femminile. Quando sono diventato adolescente il tema è diventata l’acne, poi i problemi di peso. Tra la terza e la quarta superiore sono cresciuto e le cose sono un po’ cambiate: ho costruito la mia autostima e una nuova immagine, in più ho cominciato a lavorare con i trucchi”. Dopo aver attraversato un periodo difficile, il messaggio che vuole lasciare agli altri è quello di amarsi e trovare persone che ci valorizzino: “Ai ragazzi dico di avere il coraggio di viversi al 100%. Bisogna costruire giorno per giorno l’autostima senza paura di conoscersi. Bisogna capire che non si è soli. Dobbiamo anche conoscere persone che ci rappresentino e valorizzino. È importante frequentare persone che hanno incontrato i tuoi problemi”.

Ombretto e pennelli come 'terapia'

Il mondo del makeup è stato una terapia, un percorso di cura e di crescita, dove truccando gli altri Pietro ha potuto scoprire il suo vero volto. Oggi ci sono ancora molti stereotipi che collegano la cosmesi alla femminilità, ma la realtà la questione è molto più ampia: “Io all’inizio avevo paura di truccarmi perché temevo che gli altri mi dicessero qualcosa sulla mia identità di genere. Il trucco non è femminile, è neutro. Le cose stanno cambiando. La questione sta cambiando agli occhi del mondo perché vediamo anche modelli nella moda diversi: uomini truccati, che mettono lo smalto, tingono i capelli, indossano vestiti femminili, e sono considerati fighi”.
La linea di make-up di Achille Lauro (Instagram)
La linea di make-up di Achille Lauro (Instagram)
Pietro oggi è si dice molto soddisfatto della persona che è diventato e si tiene molto impegnato: dopo aver frequentato l’accademia Mba come truccatore, è diventato assistente dentro quella stessa realtà. Nel frattempo, ha iniziato a studiare Scienze della Comunicazione all’Università di Torino. Il suo percorso è stato notato dalla scuola di cinema Sae di Milano e alcuni studenti hanno realizzato un documentario che ripercorre la sua storia, intitolato Gianduja, realizzato da Yasmin Leite, Andrea Zanni, Sonia Maffi e Kristian Ferri.

Il video Gianduja

Pietro Sonnessa, 19 torinese: grazie alla sua passione ha superato i problemi di bullismo (fonte Instagram)
Pietro Sonnessa, 19 torinese: grazie alla sua passione ha superato i problemi di bullismo (fonte Instagram)
Nel video Pietro si lascia andare con fiducia a raccontare come nell’accademia del trucco abbia trovato un ambiente aperto e rispettoso della diversità, dopo una adolescenza critica in famiglia e a scuola, gli episodi di bullismo legati alla sua femminilità e omosessualità. La sua testimonianza ha costituito un ponte per una collaborazione tra la propria accademia e la scuola di cinema, legate dall’interesse per tutela della diversità, dell’inclusività e della rappresentanza. “Nasce come collaborazione tra l’accademia di trucco e la Sae  – spiega Pietro  –. Loro dovevano realizzare un documentario basato su un soggetto e io mi sono candidato. Abbiamo girato 4-5 giornate e a un certo punto siamo arrivati a tematiche molto personali. Tutto questo colloquio è diventato il filo conduttore del documentario cui si è inserito tutto il resto”. Pietro è felice di ciò che è diventato, ma intende continuare a formarsi. Tra le mille applicazioni possibili, il suo sogno più grande è portare il suo contributo nel mondo della moda: “Sin da piccolo sognavo le sfilate e disegnavo anche le mie collezioni. Si tratta di una grande sfida e dalle poche esperienze che ho avuto ho potuto notare come sia un mondo competitivo e difficile, ma è ciò che voglio fare”.
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