Progetti di affermazione, consapevolezza e inclusione sociale femminile nel cuore del quartiere Cirenaica, a Bologna, in via Libia 21. Spazio donna WeWorld ha aperto nel 2021 e da quasi quattro anni accoglie le donne in percorsi di socializzazione, supporto, formazione ed empowerment, attraverso attività gratuite che mirano a migliorare le condizioni sociali femminili nell’ambito del benessere personale, famigliare e professionale. Ne abbiamo parlato con la coordinatrice dello spazio, Michela Patuzzo.
Come funziona lo spazio donna WeWorld?
“Questo spazio è gestito dalla cooperativa sociale Cadiai, si tratta di un luogo pensato per favorire l’empowerment femminile, la prevenzione della violenza di genere e l’orientamento ai servizi del territorio. Ci distinguiamo da un centro antiviolenza, perché questo spazio è pensato per collocarsi in una sorta di area grigia che può venire prima di un percorso a contrasto di abusi e molestie, perché noi lavoriamo sulla prevenzione. Ma molto spesso ci capita anche di affiancarci a donne che stanno seguendo un percorso in un Cav o che hanno subito violenza in passato”.
Che tipo di esperienza hanno vissuto le donne che si rivolgono al vostro centro?
“Le storie vissute sono le più svariate. Non esiste un profilo o una storia tipo di una donna che si rivolge a noi, questo a rimarcare il fatto che il problema che noi affrontiamo è estremamente trasversale e presente in ogni ambito della nostra società. Non c’è un’età prevalente, un titolo di studio o una professione. Per quanto riguarda la violenza subita, riscontriamo tanti casi di donne che hanno subito abusi psicologici da parte del partner o ex partner e, negli ultimi tempi, notiamo una forte presenza di donne vittime di violenza economica”.
Che tipo di percorsi offrite alle donne che si rivolgono al vostro spazio?
“I percorsi li costruiamo su misura rispetto alla persona che ci troviamo di fronte. Molte donne affrontano con noi un percorso di supporto psicologico: nella nostra equipe di lavoro abbiamo una psicologa e psicoterapeuta, una pedagogista, un’educatrice-animatrice, oltre a me che sono la coordinatrice. Spesso il supporto psicologico si affianca a percorsi di tipo pedagogico, quando ci sono dei figli presenti. A questo si aggiungono tutta una serie di azioni satellite che definiamo insieme alla vittima: alcune di queste, ad esempio, sono azioni di gruppo, che hanno l’obiettivo di creare una rete intorno alle donne essendo loro molto spesso da sole. Abbiamo corsi di italiano per le donne straniere, percorsi di benessere corporeo come lo yoga o la ginnastica dolce, laboratori”.
Lo Spazio donna ha aperto nel 2021. Da quel momento avete notato, negli anni, un incremento della richiesta? Da gennaio di quest’anno quante donne si sono rivolte a voi?
“Nei primi due anni di apertura, abbiamo avuto una forte richiesta. Era importante per noi posizionarci sul territorio e soprattutto far capire che cosa fa spazio donna. Dal terzo anno in poi diciamo che i nostri numeri sono abbastanza stabili, arriviamo più o meno a 170/180 donne prese in carico ogni anno. Ciò che è aumentato notevolmente, è la percentuale di donne (tra quelle prese in carico, ndr) che hanno subito o stanno subendo violenza. Mentre prima molte donne si rivolgevano a noi per un percorso di empowerment personale, per superare le loro fragilità e di conseguenza evitare di cadere nel rischio di violenza o di altre situazioni spiacevoli, oggi tantissime delle donne che si rivolgono a noi si trovano già in questa situazione”.
Nei giorni scorsi, in occasione della presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin, il ministro Valditara ha detto che la lotta al patriarcato è una questione ideologica e che non porta a soluzioni.
“Le sue parole sono estremamente gravi, è assurdo dover sentire delle affermazioni simili. Per noi è fondamentale continuare a lavorare, io ho in mente ogni singolo volto delle donne che si rivolgono a noi e sentir dire che la lotta al patriarcato è inutile crea anche un po’ di frustrazione e di rabbia. Per noi non solo è importantissimo continuare a lottare, ma farlo partendo dai giovani. Dobbiamo sempre di più lavorare sulla sensibilizzazione dei bambini e delle bambine, noi stiamo provando a farlo con l’idea che se non si parte da lì, ci troveremo sempre a dover gestire delle emergenze, delle cose già accadute. Il ministro dovrebbe forse concentrarsi, essendo il suo campo di intervento, su come incrementare le azioni nelle scuole”.