Vilma Dule, la persona dietro le maschere: la donna che ha trasformato lo sfregio in arte

Origini albanesi, un episodio le segna – letteralmente, con l'acido – la vita. Ma da quella vicenda prende spunto per ricostruire un'esistenza in frantumi

di NICOLÒ GUELFI
23 ottobre 2022
Progetto Persona

Progetto Persona

Nella vita incontriamo tante maschere e pochi volti, come ci insegna il drammaturgo Luigi Pirandello. Esistono però vicende in cui il personaggio trova la sua vera identità proprio grazie alle maschere stesse. È il caso di tanti supereroi, personaggi di fantasia che con un travestimento possono realizzare quanto a viso aperto non potrebbero. La maschera racconta sempre la storia dell’eroe e le motivazioni che lo spingono. In questo caso però non parliamo di un personaggio inventato, ma di una persona in carne ed ossa. Vilma Dule è una donna di origine albanese che nel 2013, a soli 26 anni, fu vittima di uno degli episodi più tragici e inspiegabili che si possano immaginare: aggredita da uno sconosciuto con l’acido, rimase sfregiata in volto, ferita nel corpo e nell’animo. Dopo anni di cure, operazioni, terapie, ha deciso di raccontare la sua esperienza, vissuta tra Albania, Francia e Italia, per mostrare come, anche dopo un’esperienza tanto orribile, si possa non solo andare avanti, ma anche lasciare qualcosa in eredità al prossimo. Per farlo ha realizzato un progetto artistico intitolato "Persona", che racconta la sua incredibile vita dopo quell’episodio.
Vilma Dule

Vilma Dule a 26 anni è stata vittima di un'aggressione con l'acido

L'aggressione contro l'identità

"L’acido è una forma di aggressione contro l’identità – spiega Vilma –. Chi lo usa vuole fare del male alla tua anima. Questa è stata la prima scintilla che mi ha fatto capire la mia nuova direzione. La domanda che ti fai in continuazione è se sia possibile tornare come eri prima. A un certo punto però capisci che, se ti concentri solo sull’aspetto esteriore, la persona che ti ha colpito ha già vinto. Prima del fisico sono i danni dell'anima a dover essere curati. Se non si guarisce dentro non si può guarire fuori". Dule, laureata in Giurisprudenza a Tirana, ha subito un attentato i cui mandanti non sono mai stati condannati. L’ipotesi riportata dalla vittima è che si sia trattato di mobbing: colleghi di lavoro che, invidiosi del suo successo professionale, hanno deciso di punirla. Da lì la decisione sofferta, lasciare tutto: la famiglia, la casa, la città, il proprio Paese. "Dopo quanto accaduto mi sono detta che non mi sarei più guardata indietro. Tirana è la mia città, ma non poteva più darmi sicurezza. Io ho studiato Legge, mi sono dedicata alla giustizia, ma i miei aggressori non sono mai stati indagati. Sono tornata in Albania, ma la polizia ad agosto del 2014 mi ha detto che ero fortunata a essere viva. Mi sono detta che non dovevo avere paura".
Vilma Dule

Vilma Dule mostra le cicatrici sul suo volto, simbolo dell'aggressione con l'acido subita 9 anni fa (Instagram)

La nuova sfida in Italia e i trattamenti chirurgici

Vilma si è trasferita in Italia, a Milano, grazie all’appoggio di alcuni parenti. Il primo obiettivo per lei è stato quello di cercare di raccogliere i cocci di quanto l’acido aveva cercato di distruggere. Gli ospedali, nel suo Paese, non potevano provvedere ai bisogni specifici e qui da noi ha iniziato un percorso di cura. "Quando sono stata dimessa dall’ospedale pensavo che sarei stata nuova come un fiore, ma poi ho capito che la sfida vera iniziava da lì. Sono iniziati i trattamenti post-chirurgici: le cicatrici erano così infiammate che dovevo aspettare prima di poter fare altre operazioni. Per evitare che diventassero troppo ipertrofiche, i medici hanno usato delle guaine e degli elastici compressivi. Devi preparare la pelle agli interventi estetici. Ho cominciato a Milano, poi la vita mi ha portato in Francia. Lì ho scoperto una ragazza che parlava di cure con docce filiformi che miravano a ridurre l’ustione. Nessuno lo immagina ma in realtà le cicatrici portano anche dei problemi funzionali: danno prurito, quelle intorno alla bocca ti impediscono di mangiare".
Vilma Dule maschera

Vilma con la maschera di compressione per il trattamento estetico

La degenza è stato un calvario lungo quasi un anno, durante il quale però Vilma ha avuto modo di riflettere molto sulla sua condizione: "Ho conosciuto la mia chirurga in Francia, a Lione, nel 2015. Mi ha chiesto cosa volessi ottenere dall’operazione. Le ho chiesto di farmi tornare come ero prima, ma mi ha risposto che non era possibile. Così abbiamo deciso di fare ciò che era in nostro potere perché il mio aspetto non comunicasse solo quello che mi era accaduto. Sono arrivata alle maschere attraverso la terapia. Nel 2014 ho fatto la prima maschera di silicone a Milano. Il tecnico voleva buttarla via e io ho chiesto di poterla preservare. Avevo perso tutto ed era come se in quel momento lì fosse l’unica cosa che mi rimaneva. Questo è stato il primo passo del progetto Persona".

Il progetto "Persona": decorare i gessi delle maschere

Persona è un'idea di rinascita, un'esigenza di riscatto, il desiderio di ricostruire ciò che è andato in frantumi, di recuperare quando si è perso tutto. Tecnicamente, consiste proprio nel decorare le maschere di compressione: "Tutto quello che mi stava accadendo era la formazione di una persona nuova. Quando poi sono andata in Francia ho vissuto in un centro di riabilitazione. Lì hai tutto, il percorso di chirurgia, massaggi e le maschere fatte su misura. Ho vissuto così per tre anni. Sempre lì ho cominciato a dipingere i gessi. Quando ho visto le maschere abbandonate ho avuto lo stesso istinto di protezione che ho provato di fronte al mio. Io sono una grande appassionata di fotografia, ma in quel momento volevo esprimermi attraverso la pittura e così le ho decorate. Quando il medico ha visto quello ciò che facevo, mi ha detto 'In 35 anni di lavoro, non ho mai visto nessuno farlo'. Mi ha chiesto di creare un progetto e da lì sono nati dei workshop. Pirandello attribuiva alla maschera un’identità: a volte è una maschera che noi indossiamo e a volte sono gli altri a mettercela addosso. Per me è stata un’amica-nemica. Mi aiutava, ma non mi sentivo più riconosciuta”.
I gessi delle maschere decorati

I gessi delle maschere compressive decorati grazie al progetto "Persona"

Non si smette mai di essere "le vittime di abuso"

Un grande problema di tutte le persone che vengono segnate dalla violenza è che quell'evento indipendente dalla volontà caratterizza la loro vita e la percezione che proiettano sugli altri per sempre. Non si smette mai davvero di essere “le vittime di un abuso”. Vilma non voleva rimanere incastrata in questa definizione e ha deciso che poteva usare la sua esperienza per raccontare anche altro: "Io non ho avuto molte fortune. Ho sempre dovuto lavorare anche nel periodo in cui mi stavo curando. Giravo per vie di Lodi e la gente mi osservava mentre indossavo la maschera. Una volta in metropolitana, un ragazzo mi ha detto 'Guarda che non è mica Halloween' – racconta l’artista ridendo –. Non volevo che la gente mi ricordasse solo come una vittima o come quella mascherata. Una volta diventa oggetto di un’aggressione, lo si rimane per sempre. Noi parliamo di questa cosa dall’esterno, la vittima stessa non ha mai una voce. Dalla mia disperazione è nata la mia forza: la mia vita era molto bella prima e non volevo mollare. Quando ho realizzato il progetto ho creato il motto 'dietro ogni maschera c’è una persona’, così ho cominciato a incontrare altri come me, e l’empatia mi ha fatto guarire".
Vilma marito gravidanza

Vilma con il marito. La coppia aspetta un figlio (Instagram)

"Dietro ogni maschera c'è una persona"

Persona è stata protagonista di vari incontri ed esposizioni in Francia e in Italia, ma l’aspetto artistico non è il più rilevante o quantomeno non è il solo. Per Vilma, l’unico mondo per evitare che quanto è accaduto a lei possa ripetersi, e somministrando agli altri il farmaco che l’ha guarita: l’empatia. "Attualmente persona è un progetto mobile. La prima esposizione è stata a Lione nel 2018. Io la porto in giro a seconda del contesto. Ho iniziato un progetto di sensibilizzazione con le scuole. Parlo loro della mia esperienza con l’arte-terapia e sono molto sorpresa perché i ragazzi sono davvero attenti e sensibili. Hanno più voglia di esprimersi di quanto noi potremmo pensare. In Italia ho esposto una sola volta, a Lodi nel 2021, ma sono stata io a insistere per fare degli incontri con le scuole. Parlare agli studenti non ha prezzo ed è la chiave per educare a una cultura di empatia dove ferire l’altro non è la soluzione".