Usa, Costanza Hermanin: “Contro Trump l'unica via è il rafforzamento europeo”

Secondo la docente e ricercatrice, il neo eletto presidente ha dimostrato una forte mancanza di rispetto nei confronti dei principi dello Stato di diritto

di MARCO PILI
11 novembre 2024
Costanza Hermanin, docente e ricercatrice (Instagram: costanzahermanin)

Costanza Hermanin, docente e ricercatrice (Instagram: costanzahermanin)

Le elezioni presidenziali negli Stati Uniti sono, da sempre, un evento che cattura l'attenzione globale. Un cambio di leadership, infatti, ha il potere di trasformare gli equilibri economici, sociali e politici di milioni di persone. E in un periodo come quello attuale, caratterizzato da un contesto internazionale decisamente frammentato, il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca è destinato a modificare in modo indelebile non solo gli assetti interni, ma anche le dinamiche nel resto del mondo.

Costanza Hermanin, docente all’Istituto europeo di Firenze e ricercatrice, ci ha raccontato il suo punto di vista su questa tornata elettorale, analizzandone le conseguenze e ipotizzando le azioni da intraprendere a livello europeo.

Qual è la sua prospettiva sulle elezioni presidenziali statunitensi in merito al contesto europeo e al mantenimento dei diritti acquisiti? “Credo che il risultato delle elezioni fosse ampiamente prevedibile, magari non con uno scarto così grande. È un risultato che può essere facilmente spiegato tramite le tensioni sociali che hanno origine in una diseguaglianza economica sempre più importante, non solo negli Stati Uniti ma anche in Europa. E questo spiega la maggior parte dei voti ai partiti reazionari, in entrambi gli scenari.

Ciò che, dal punto di vista della tutela dei diritti come parità, uguaglianza e giustizia sociale, è particolarmente preoccupante è che le persone come Trump, che accedono o ritornano al potere, sono persone che hanno apertamente manifestato la loro totale mancanza di rispetto e di adesione ai principi dello Stato di diritto, ai principi democratici, alle regole dello Stato. E, nonostante ciò, diventano presidenti. Nel suo caso ciò è stato più evidente e sfacciato che in qualsiasi altro contesto, anche più del contesto russo. Il fatto che abbia minacciato di mettere Washington a ferro e fuoco, e che lo dica la persona che ha guidato e guiderà una delle democrazie più consolidate al mondo, è gravissimo”.

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Quale può essere, secondo lei, l’aspetto più pericoloso della presidenza Trump? “Questa vittoria è in grado di scardinare tantissimi diritti che abbiamo acquisito, e che deteniamo in funzione delle strutture che li proteggono, come la Corte Suprema. Questo è forse uno degli esempi più nitidi di tutti. Una Corte Suprema che ha smantellato la tutela federale del diritto all'aborto solo perché Barack Obama si era attenuto a regole non scritte per le quali, alla fine del mandato, un Presidente non nomina il prossimo giudice della Corte. Donald Trump, al contrario, ha nominato tutte le cariche che poteva nominare. Secondo me, è questa la cosa più pericolosa della sua presidenza.

In questi giorni si sta parlando molto delle conseguenze dal punto di vista del commercio internazionale, quindi della distribuzione e redistribuzione della ricchezza. Ovviamente gli Stati Uniti sono il partner commerciale principale di dell'Unione europea e di tanti paesi dell'UE, sia per l'export che per l'import di tutti i tipi. Quindi, se gli Stati Uniti adottano un paradigma protezionista, ci impoveriscono.

Inoltre, tutte le persone che commentano sono preoccupate per il disimpegno militare di Trump, in particolare per quello che riguarda l'Ucraina, mentre per quello che riguarda il Middle east c’è senz'altro un impegno a favore di Israele, anche se non si sa esattamente quello che l'amministrazione farà. Ma il disimpegno, in particolare, in Ucraina è una cosa che terrorizza molto, così come il rinnovo invece in altri scenari, come quello pacifico.

Sono cose molto importanti ma, dal mio punto di vista, il cambiamento culturale fondamentale che porta Trump con questo suo modo di essere sprezzante nei confronti di altri esseri umani o delle istituzioni è probabilmente la cosa più pericolosa, perché è un qualcosa che noi abbiamo visto solo negli anni ‘30 dello scorso secolo. E il mancato rispetto per gli altri esseri umani può portare verso conseguenze molto, molto pericolose”.

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In che modo possono reagire a queste tensioni i Paesi europei? “Tutto questo succede in un contesto in cui gli Stati europei sono debolissimi. Dico gli Stati europei, e non l'Europa, perché in realtà sono i singoli stati ad essere impreparati. L'unica speranza in questa Europa frammentata è che i vari Paesi, i vari e le varie presidenti del Consiglio, i Primi Ministri, riconoscano che senza una Commissione europea o un Parlamento europeo molto forte le pulsioni disgreganti possono costituire un vero e proprio problema.

L’elezione di Trump avviene in contemporanea alla scelta della prossima Commissione europea, in un momento in cui il Parlamento ha un fortissimo potere nella selezione dei commissari e delle commissarie. Io chiaramente provengo da un retroterra federalista ed europeista però, proprio come durante il Covid, non vedo molte altre opzioni se non quella di rafforzare le istituzioni.

Questo aspetto può dare un po’ di speranza, e potrebbe costituire un baluardo anche in termini di diritti, parità, uguaglianza. Senz'altro, c'è un modello economico da rivedere fortemente, perché il modello economico attuale, un capitalismo a forte impronta liberista, ha portato a disuguaglianze per le quali i poveri votano per le forse reazionarie di destra, non votano per rappresentanze progressiste. I democratici europei e statunitensi hanno portato avanti un programma molto forte sui diritti è molto forte, ma non corroborato da un programma di politica economica in grado di sostenere quei diritti”.

Dunque, vede in un’Europa più forte una delle possibilità in grado di sostenere l’urto di questa nuova amministrazione statunitense? “Non una possibilità, ma l’unica. Gli Stati europei non hanno delle maggioranze di governo stabili, con l’eccezione dell’Italia, tra i quali l'unica nazione che ha una spesa significativa per la difesa, in linea con quelli che sono i requisiti della NATO, è uscita dall'Unione europea. Dunque, non ci sono i soldi per sostenere l'Ucraina e contrastare l'avanzata russa. Servirebbe l’esperienza di un Macron delle prime presidenziali, una Merkel forte di quindici anni di governo, un Mario Draghi. Però non ci sono”.

Riesce a immaginare, in un’Europa ancora più unita, un’integrazione ancora più rilevante anche nella sfera dei diritti? “L'Unione europea coglie tante occasioni di fare leggi su materie di mercato, che sono nella sua competenza, per poi andare ad agire sulla sfera dei diritti. Le faccio due esempi. Due anni fa è stata presentata una proposta di legge, l’European Media Freedom Act, legge europea sulla libertà dei media. Un atto che poteva essere promosso da Bruxelles perché si basa sulla concorrenzialità dei media del mercato interno.

In realtà, questa è stata una legge che ha riguardato non solo queste tematiche, ma anche come gli Stati non possano finanziare in modo fraudolento pubblicità politica sui media e su come debbano avere strutture che garantiscano il pluralismo.

Ora, per esempio, sto lavorando su un altro atto, che è una normativa europea sulla rappresentanza degli interessi dei Paesi terzi nel mercato interno. Sono norme che regolano le interferenze estere nella politica, in particolar modo russe e cinesi. Anche in questa norma c’è una dimensione di tutela dei diritti e delle libertà particolarmente evidente.

La Corte Suprema, nel 2022, ha stabilito che non esiste più tutela federale sul diritto all'aborto negli Stati Uniti. L'Unione europea, nel maggio 2024, ha adottato la prima direttiva comune sulla violenza contro le donne e la violenza domestica. Un atto legislativo altamente imperfetto, lo abbiamo criticato in tantissimi. Però sono due percorsi decisamente diversi, e questo è innegabile.”