La moda può essere davvero sostenibile?

Cecilia Moretti lavora nel settore della pelletteria, collaborando coi più importanti marchi al mondo: “Una ristrutturazione del mercato non sarà indolore: la sovrapproduzione spinge a tagliare il lavoro. Ma i lavoratori che fine fanno?”

di DOMENICO GUARINO
20 giugno 2024
Cecilia Moretti

Cecilia Moretti

Moda e sostenibilità: un binomio sempre più all’attenzione dell’opinione pubblica, che attraversa temi etici, cambiamenti dello stile e della mentalità, e che sta trasformando il modo di produrre e consumare capi di abbigliamento o accessori. Con ricadute non secondarie anche sul mercato del lavoro. Nel bel mezzo di una crisi globale che sta conducendo a nuovi assetti geopolitici, anche sulla scorta delle guerre più o meno dichiarate, che sono tornate ad infiammare lo scenario mondiale.

Di tutto questo abbiamo parlato con Cecilia Moretti, che si occupa da freelance di collezioni di moda, sviluppando a vari livelli il prodotto disegnato dagli stilisti, coordinando la catena produttiva e i processi di filiera, fino alla collocazione sul mercato nella fascia di prezzo più opportuna per il marchio. Un lavoro complesso, che l’ha portata a conoscere il mondo della moda in ogni singolo aspetto. A partire dal settore della pelletteria, nel quale si è via via specializzata, collaborando con i marchi più importanti al mondo.

Si fa un gran parlare di questioni etiche legate alla moda: la fast fashion è sotto accusa, c’è la questione della sostenibilità ambientale e, nello specifico per la pelletteria, quella dello sfruttamento degli animali negli allevamenti intensivi. Quanto incide questa riflessione sul modo di produrre e vendere oggi moda?

“Non saprei quantificare con esattezza, ma certamente c’è una grossa incidenza, che sta cambiando il mercato. Ad esempio la pelle viene vista come non sostenibile, per cui è bene non comprarla. E così la questione della sovrapproduzione, che in passato veniva regolata attraverso la distruzione dei magazzini, cosa che oggi non viene più fatta perché è giustamente vista come una pratica poco etica. E poi il consumo eccessivo che viene visto come spreco: si tende a comprare roba ‘second hand’, di seconda mano, usata, in maniera da non incidere sullo sfruttamento delle risorse. Tanto che oggi, alcuni capi ‘datati’ sono più costosi di quelli delle ultime collezioni. C’è molta attenzione ad investimenti sostenibili, sia per motivi reputazionali sia perché si è diffusa oramai una sensibilità ‘green’ reale che ha a che fare anche con la riorganizzazione delle filiere produttive che tendono ad accorciarsi”.

Cecilia Moretti
Cecilia Moretti

Non è quindi solo un fatto d’immagine?

“No. Certamente c’è la questione del greenwashing, cioè di cose che vengono fatte o dette solo per mantenere una facciata di sostenibilità. Ma c’è anche tanta sostanza. Anche perché siamo in una fase di grande ristrutturazione del mercato, con un problema di sovrapproduzione reale, soprattutto nel mondo della pelletteria e, dopo un biennio strabiliante come quello tra il 2021 e il 2022, molte cose sono cambiate. La Cina, ad esempio, compra molto meno prodotti occidentali anche per le questioni legate al clima bellico e agli equilibri geopolitici. È vero che Giappone e Corea sono mercati che vanno molto bene. Ma c’è di contro il mercato russo in grande sofferenza. Tutto questo però ha un risvolto della medaglia che è bene prendere in considerazione”.

Quale?

“Beh il fatto che le catene produttive sono fatte da persone in carne ed ossa che lavorano a tutti i livelli, ed è chiaro che una ristrutturazione del mercato, anche in senso etico, non sarà indolore”.

Cioé?

“Cioè bisogna tener conto del fatto che non sempre è sempre semplice tenere insieme la sostenibilità ambientale con quella economica e sociale. Per dirne una: produrre di meno e meglio è un bel principio, ma cosa ne facciamo di chi oggi lavora in funzione dei volumi attuali? Quindi è tutto il sistema che va ripensato. Di sicuro siamo in un mondo in grande trasformazione in cui bisognerà capire quale sarà la direzione che verrà presa e chi avrà la forza di resistere a questo momento di passaggio”

Riguardo alla questione dei diritti civili, della lotta contro le discriminazioni sessuali, come sta cambiando il mondo della moda?

“Ormai ci stiamo avviando verso una moda che si basa su prodotti neutri dal punto di vista del genere e poi la persona fa la sua scelta specifica. Ovviamente non in tutto il mondo, e bisogna tener conto del fatto che ci sono dei prodotti che si prestano di più e altri meno. Ma in Asia ad esempio si è già virato decisamente verso un abbigliamento totalmente gender fluid. I brand, a parte qualcuno, oramai organizzano la produzione su un genere unico e anche le sfilate si stanno adeguando. Oggi c’è tanta maggiore attenzione a questo, e non è solo un fatto di ‘moda’”.

E la parità di genere?

“Qui c’è ancora invece molto da fare. Sembra strano ma le donne ancora guadagnano meno degli uomini e nei consigli di amministrazione, anche se ci sono le quote, le decisioni e il potere, non solo economico, sono ancora molto maschile. Senza contare quanto sia difficile per le donne conciliare vita e lavoro. Per me tutti, indistintamente dovrebbero gestirsi il tempo di lavoro, però per le donne questo è ancora più importante. E siamo ancora molto indietro su questo. Una cosa paradossale anche perché le donne sono la massima parte di chi lavora nella moda. A livello di lavoratori ma anche dei dirigenti. Dovremo avere tutti le stesse possibilità ma non le abbiamo”.

Cecilia Moretti
Cecilia Moretti

Cosa fare?

“Innanzitutto bisognerebbe lavorare meno, anche perché c’è meno lavoro. E poi dare maggiore possibilità alle persone di gestirsi, spostando la valutazione sugli obiettivi, sugli ambiti, dando valore alle propensioni del singolo, alle attitudini individuali. Serve una grande flessibilità. Siamo molto distanti dalla reale parità anche a livello dirigenziale. Ma va detto che tutto il mondo è strutturato sul ‘maschile’. E quindi ognuno dovrebbe essere artefice del cambiamento. Ma ci vuole tempo e coraggio”.