Un misto di tessuti che rendono un abito semplice, raffinato, audace, a seconda dei propri gusti e delle proprie necessità. E poi un pregevole misto di ricordi – belli o brutti, comunque indimenticabili – vissuti con indosso quel vestito lì. Ma una volta passato di moda, diventato diverso dagli attuali gusti o di una taglia inferiore, cosa farne? Esistono due possibilità: donare quel vestito a enti o attività benefiche; oppure, se ancora in ottime condizione, avremo a che fare con un vestito vintage o di seconda mano, che può essere venduto o scambiati. La second hand, ossia l’oggetto di seconda mano, è una moda che negli ultimi anni sta diventando sempre più un’abitudine dei consumatori. Accumulare roba negli armadi, nei cassetti, in cantina, non è più un disagio che riguarda soltanto chi soffre di disposofobia, ossia di chi è affetto da sindrome dell’accumulatore compulsivo. Se l’acquisto è l’unica azione che rende felice l’uomo moderno, non riuscire a liberarsene è la condanna di molti.
Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Second-hand Economy 2021, realizzato da BVA Doxa per Subito.it, sono 23 milioni gli italiani che, nel 2021, hanno fatto ricorso alla compravendita di oggetti usati grazie alle piattaforme online. Il 52% degli italiani ha comprato e/o venduto oggetti usati, tra questi il 15% lo ha fatto per la prima volta. L’esperienza di compravendita online di second hand è quella preferita, quasi il 50% degli affari si conclude online anche perché il sistema di vendita è simile a un comune eCommerce: internet è il canale più veloce per quasi la metà dei rispondenti (49%), inoltre offre una scelta più ampia (43%) e si può gestire comodamente da casa (41%). Comprare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone, è al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%) – preceduto sempre dalla raccolta differenziata (94%) e l’acquisto di lampadine a LED (71%) –, con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 da parte dei laureati (68%), di chi appartiene alla generazione Z (66%), di chi ha 35-44 anni (70%) e delle famiglie con bambini (68%).
Ma perché concretamente si acquista l’usato? Nel 2021 le prime tre motivazioni che inducono a comprare beni usati sono: il risparmio (56%, in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2020), l’essere contrari agli sprechi e credere nel riuso (49%) e la convinzione che la second hand sia un modo intelligente di fare economia e che rende molti oggetti più accessibili (43%). Da amante della moda sostenibile e di seconda mano, Matilde Sofia Falorni ha fatto della sua passione una vetrina su Instagram e TikTok per avvicinare sempre più persone al mondo del vintage.
@aifositam Alla fine ho cambiato un po’ di coseee, reference su 1G @aifositam #scegliloutfitconme ♬ suono originale - Mati Sofia 🌞
Matilde per prima cosa mi aiuta a definire cosa si intende per Vintage? "Vintage è un termine specifico che adesso viene usato molto a sproposito per indicare un po’ l’usato in generale. Quando in realtà il vintage per essere considerato tale deve avere due requisiti: innanzitutto deve avere almeno vent’anni per essere considerato vintage (una generazione, praticamente) e poi dev’essere un articolo considerabile un po’ iconico, deve essere il simbolo dell’epoca a cui appartiene. Tutto il resto può essere considerato 'usato' generico, anche quello che hai usato ieri e poi mai più. Non per forza vintage e usato sono sinonimi, spesso e volentieri quello che c’è nell’armadio della nonna è ovvio che sia vintage, è ovvio che sia usato. Però esistono anche dei casi in cui degli articoli vintage, delle rimanenze di negozio, sono state conservate nel tempo, magari dai collezionisti, e sono quindi degli articoli nuovi e vintage".
Ha mai controllato se i prodotti come scarpe o indumenti riportassero un marchio di certificazione di sostenibilità? "Il novanta per cento degli acquisti che faccio sono articoli usati. Evito il fast fashion anche nell’usato. Il vintage è molto meno nocivo dei prodotti che stanno producendo adesso proprio perché certi materiali non esistevano prima, e non si era soliti produrre in larga quantità prodotti di così bassa qualità. Uno dei criteri che rispetto sempre è: comprare qualcosa che io facilmente posso rimettere in circolo, o rivendendolo o barattandolo. Faccio in modo che gli indumenti da me acquistati abbiano una vita ancora più lunga anche dopo di me. Il restante dieci per cento sono articoli nuovi, in questo caso faccio attenzione all’etichetta. Nel mondo dei social ho iniziato a conoscere diversi brand, ho imparato a conoscere le composizioni di un prodotto tessile. Faccio attenzione a chi sto finanziando, che il brand utilizzi materiali vergini, che la combinazione dei materiali resti pura. Se acquisto un capo in lana, seta, cotone, evito il misto acrilico, o nylon. I materiali, a seconda di come vengono combinati nella creazione di un certo prodotto, sono potenzialmente riciclabili o meno".
L’acquisto più folle che ha fatto? "Mia madre è più tipa da acquisti folli. Però lei, a differenza mia, colleziona vintage ma usa poco. Lei ama un certo stile vintage, le piace trovare l’occasione d’oro, ma l’acquisto sensibile all’ecosostenibilità è stato il mio upgrade 2.0 a quello che lei mi ha trasmesso. Recentemente ho fatto un acquisto che ho pagato pochissimo, in un mercatino di beneficenza ho trovato un mini abito di Luisa Beccaria, una stilista famosa milanese di abiti eleganti. E poi ho fatto un acquisto impulsivo, di una cifra considerevole: un giubbotto di pelle da motociclista. Mi stava perfetto, cosa dovevo fare? Sto molto attenta quando si tratta di indumenti in pelle vera. Tendo a non comprare abbigliamento nuovo in pelle vera, una pelliccia nuova non la comprerei mai. Eticamente non me la sento. Faccio delle eccezioni solo sull’usato perché non sto finanziando io l’industria e il maltrattamento degli animali. Facciamo molto caso a quello che mangiamo, al fatto che un certo alimento sia o meno nocivo per noi. Siamo informati in tema di biologico o junk food, ognuno fa le sue scelte ma lo sappiamo. In tema di vestiti, invece, anche se si tratta di qualcosa molto vicino a noi, che entra in contatto con la nostra la pelle, non siamo sufficientemente informati. È una cosa che non si considera, non facciamo attenzione a cosa indossiamo".
Tra venti, trenta, quarant’anni cosa sarà vintage? Cosa resterà dei nostri anni Venti, del 2020? "Viviamo in un’era che è talmente infestata dal fast fashion che è difficile capire i tratti caratteristici del 2020, anche perché la stesso fast fashion si rifà alle mode passate. Le spalline sono degli anni Ottanta, i jeans a vita bassa sono del duemila. Mi vien da dire il platform. Se parliamo di elettrodomestici o tecnologia, penso al Dyson. È una cosa particolarmente caratteristica della cultura dell’hairstyle in questo momento. Nel saggio 'Filosofia della moda', Lars Fr. H. Svendsen scrive che siamo in un periodo della moda un po’ spento perché stiamo continuando a ispiraci allo stile della moda del passato e non abbiamo un vero punto di forza. Probabilmente cercare di individuarlo all’interno della nostra epoca è difficile".
Cosa direbbe a una persona che acquista per la prima volta un capo vintage, magari spinta da curiosità o per questioni ambientali? "A chi acquista vintage per la prima volta direi di andare alla ricerca di qualcosa che rispecchi il proprio stile. Non è vero che chi compra vintage si veste da nonna. Il vintage ha in sé tantissimi stili diversi che adesso vediamo quando andiamo a fare shopping, proprio perché nella moda di oggi ci rifacciamo tantissimo alle epoche passate, si può trovare veramente tantissima attualità. Con molta facilità si può sostituire l’acquisto nuovo, in generale non sostenibile, con l’usato".