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Home » Spettacolo » Banco del Mutuo Soccorso, “il nostro Orlando furioso contro la violenza sulle donne”

Banco del Mutuo Soccorso, “il nostro Orlando furioso contro la violenza sulle donne”

Nuovo album e tournée per festeggiare i 50 anni di carriera. Vittorio Nocenzi: "La musica nasce dal desiderio di uscire dagli schemi"

Giovanni Ballerini
28 Gennaio 2023
Il Banco del Mutuo Soccorso

Il Banco del Mutuo Soccorso

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Nuovo tour per il del Banco del Mutuo Soccorso che festeggia i 50 anni di carriera (iniziata nel 1972 con la pubblicazione per la Ricordi Dischi dell’album che porta il nome del gruppo, ma che tutti conosciamo come il salvadanaio per via della forma sagomata della copertina) che ha fatto uscire e presenta dal vivo il nuovo album “Orlando: le forme dell’amore“, dedicato all’Orlando furioso dell’Ariosto. La band italiana simbolo del rock progressive, capitanata da Vittorio Nocenzi, proporrà per la prima volta dal vivo i nuovi brani in questa nuova tournée. Ecco le prime date: 1° febbraio al Teatro Puccini di Firenze, 2 febbraio al Teatro Vittorio Alfieri di Castelnuovo di Garfagnana (Lucca), 2 marzo al Teatro ABC di Catania, 3 marzo al Teatro Golden di Palermo, 4 marzo al Palacongressi Villaggio Mosè di Agrigento.

Il Banco del Mutuo Soccorso
Il Banco del Mutuo Soccorso

Vittorio, come è nato il progetto?
“Da una canzone che mi propose anni fa mio figlio Michelangelo. La cosa che mi colpì di quel brano era che mi sembrava di averlo scritto in prima persona pochi minuti prima. Lo sentivo mio e mi venne spontaneo metterci le mani sopra. Così, con Michelangelo al pianoforte ci siamo trovati a scrivere a quattro mani tutta la musica, prima della ‘Transiberiana’, poi di ‘Orlando: le forme dell’amore’. Non l’avevamo mai fatto prima, è stato una sorta di colpo di fulmine”.

Cosa ha fatto nascere lavori ricchi di stimoli?
“Ascoltando il disco con un po’ di disponibilità di tempo si capisce l’autenticità dell’ispirazione, la nostra voglia di farlo. Non è una produzione calcolata e plastificata e ti offre quel brivido che ti dà il ricercare, lo sperimentare. E’ bello comporre cercando di catturare le emozioni e non posti in classifica. Né tantomeno fare il verso a noi stessi. Sarebbe stato ridicolo, visto che il rock progressive nasce proprio dal desiderio di emancipazione dagli schemi, dalle strutture obbliganti. La prima cosa è stata la voglia di fare un disco cercando dentro di noi lo stupore, la meraviglia delle prime volte. Non è facile. Ma, quando riesce ti riempie il cuore”.

Vittorio Nocenzi (Instagram)
Vittorio Nocenzi (Instagram)

Come sarà il concerto?
“Sono due ore e mezzo impegnative, ma dense di emozioni, di stupore, di voglia di incontrare la gente. Questa pandemia è stata devastante per la condivisione umana. Per tutti. Ancora di più per gente come noi, che di mestiere fa i concerti. Senza il pubblico la musica è morta. La musica ci celebra solo essendo condivisa fra chi l’ha scritta e chi la ascolta e la fa propria. Non a caso, prima del Covid prendevo 20 persone fra il pubblico e li mettevo sul palco su venti sedie, fra noi che suonavamo. Era fantastico vedere l’imbarazzo del pubblico che era accanto a noi, rivolto verso l’altro pubblico che osservava il live. Era bellissimo, ci aiutava scavare tangibilmente l’emotività. Non vedo l’ora di poterlo rifare”.

Vede la musica al centro della comunicazione?
“Sono sempre stato convinto che la musica sia un’alchimia pazzesca, uno dei vertici della creatività umana. La musica nasce quando si è da soli: componi un brano con il tuo strumento, scrivi la partitura e lo registri. Ma fino a quando non lo ascolta qualcun altro e lo fa proprio come emozione e partecipazione interiore, emotiva, non esiste. La musica è un codice che nasce in solitudine e vive soltanto se è condivisa da altri. Senza questi altri è morta nel momento in cui hai finto di scrivere l’ultima nota”.

Il Banco del Mutuo Soccorso
Il Banco del Mutuo Soccorso

A proposito di condivisione, voi tanti anni fa, con “Paolo Pa” avete fatto la prima canzone sull’omosessualità?
“Oggi sembra quasi banale parlarne, ma era il 1980 e ce n’era assoluto bisogno di parlare in quel modo di quella che veniva considerata un’assurda diversità, una cosa da abiurare. L’abbiamo ambientata dove è sempre stato più difficile essere gay, cioè nelle periferie urbane, nei suburbi, nei paesini della provincia, in cui bisogna negare, nascondersi, altrimenti vieni massacrato”.

Anche oggi fate canzoni di protesta?
“C’è un brano dell’Orlando che amo molto, che alza il tono e la voce contro la violenza sulle donne e vede Angelica inseguita dai mussulmani, dai cristiani, dai campioni che vedono passare questa bellissima donna durante la battaglia e la inseguono nel bosco, quando lei scappa, in preda al panico. Dedichiamo questo brano alla lotta assoluta, totale alla violenza sulle donne, che non possiamo più assolutamente sopportare. A maggior ragione in un periodo, che ci sembra infinito, in cui ogni giorno ci sono continui annunci di femminicidi nei telegiornali e nei quotidiani: è uno stillicidio scellerato. Il pezzo è in sette ottavi, un andamento dispari che evoca l’ansietà, la crisi di panico della fuga per sfuggire a uomini che la desiderano. Inizia con delle percussioni lignee che secondo me evocano il suono delle marionette che fanno a spadate”.

 

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Vi sareste aspettati che il rock progressive riprendesse fiato e pubblico?
“No, ma abbiamo percepito con gioia questa nuova primavera musicale, questa fioritura. Sembrava di sentire crescere l’erba su questa colata di cemento, sotto l’appiattimento senza prospettive della globalizzazione”.

Come vi trovate con la nuova formazione del Banco?
“Sono stato fortunato, anche se poi devi aiutarti da solo. Quando ho selezionato i nuovi elementi, ho prima fatto un training autogeno e mi sono chiarito le idee. Non dovevo cercare le chitarre più veloci del West o il batterista più formidabile del pianeta. Il mio approccio è stato capire chi era più in sintonia umanamente con il nostro modo di fare musica, il mio modo di pensare. Quando scrivi musica nuova ci sono dei momenti in cui ti commuovi veramente, ti emozioni. Sono attimi privati che hanno bisogno di complicità, di essere condivisi. Non puoi farlo con qualcuno che non ha i tuoi ideali, i tuoi riferimenti. Ho sempre detestato le ideologie, soprattutto il talebanesimo, le esagerazioni da integralismo, perché i fanatismi hanno indotto solo a grandi fallimenti e grandi distruzioni. Per questo ho voluto conoscere i nuovi musicisti e questo mi ha premiato”.

Ora siete in sette in organico?
“Sì, abbiamo una grandissima intesa e facciamo concerti pieni di verve e condivisione. Dei fondatori sono rimasto solo io alle tastiere, ma il gruppo, come alle origini è tornato ad avere la doppia tastiera, insieme alla mia c’è quella di mio figlio Michelangelo, la voce di Tony D’Alessio, che ha una potenza vocale mostruosa e non ha paura di intonare il si bemolle acuto, un tono sotto al do di petto. Gli ho chiesto di potenziare al massimo la sua capacità interpretativa per tirare fuori più colori e timbri per esaltare il testo e la melodia senza imitare in nessun modo l’interpretazione di Francesco di Giacomo. E mi ha accontentato a pieno. Filippo Marcheggiani suona con noi la chitarra da 30 anni, oggi lo fa insieme al chitarrista acustico e ritmico Nicola Di Già, che si è inserito nel nostro organico a meraviglia. Alla batteria purtroppo Fabio Moresco ha avuto recentemente seri motivi di salute, al suo posto l’ultima new entry l’ottimo Dario Esposito che, insieme a Marco Capozzi al basso formano una sezione ritmica quasi zappiana”.

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Instagram

  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
Nuovo tour per il del Banco del Mutuo Soccorso che festeggia i 50 anni di carriera (iniziata nel 1972 con la pubblicazione per la Ricordi Dischi dell’album che porta il nome del gruppo, ma che tutti conosciamo come il salvadanaio per via della forma sagomata della copertina) che ha fatto uscire e presenta dal vivo il nuovo album "Orlando: le forme dell’amore", dedicato all’Orlando furioso dell’Ariosto. La band italiana simbolo del rock progressive, capitanata da Vittorio Nocenzi, proporrà per la prima volta dal vivo i nuovi brani in questa nuova tournée. Ecco le prime date: 1° febbraio al Teatro Puccini di Firenze, 2 febbraio al Teatro Vittorio Alfieri di Castelnuovo di Garfagnana (Lucca), 2 marzo al Teatro ABC di Catania, 3 marzo al Teatro Golden di Palermo, 4 marzo al Palacongressi Villaggio Mosè di Agrigento.
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Vittorio, come è nato il progetto? "Da una canzone che mi propose anni fa mio figlio Michelangelo. La cosa che mi colpì di quel brano era che mi sembrava di averlo scritto in prima persona pochi minuti prima. Lo sentivo mio e mi venne spontaneo metterci le mani sopra. Così, con Michelangelo al pianoforte ci siamo trovati a scrivere a quattro mani tutta la musica, prima della 'Transiberiana', poi di 'Orlando: le forme dell’amore'. Non l’avevamo mai fatto prima, è stato una sorta di colpo di fulmine". Cosa ha fatto nascere lavori ricchi di stimoli? "Ascoltando il disco con un po’ di disponibilità di tempo si capisce l’autenticità dell’ispirazione, la nostra voglia di farlo. Non è una produzione calcolata e plastificata e ti offre quel brivido che ti dà il ricercare, lo sperimentare. E’ bello comporre cercando di catturare le emozioni e non posti in classifica. Né tantomeno fare il verso a noi stessi. Sarebbe stato ridicolo, visto che il rock progressive nasce proprio dal desiderio di emancipazione dagli schemi, dalle strutture obbliganti. La prima cosa è stata la voglia di fare un disco cercando dentro di noi lo stupore, la meraviglia delle prime volte. Non è facile. Ma, quando riesce ti riempie il cuore".
Vittorio Nocenzi (Instagram)
Vittorio Nocenzi (Instagram)
Come sarà il concerto? "Sono due ore e mezzo impegnative, ma dense di emozioni, di stupore, di voglia di incontrare la gente. Questa pandemia è stata devastante per la condivisione umana. Per tutti. Ancora di più per gente come noi, che di mestiere fa i concerti. Senza il pubblico la musica è morta. La musica ci celebra solo essendo condivisa fra chi l’ha scritta e chi la ascolta e la fa propria. Non a caso, prima del Covid prendevo 20 persone fra il pubblico e li mettevo sul palco su venti sedie, fra noi che suonavamo. Era fantastico vedere l’imbarazzo del pubblico che era accanto a noi, rivolto verso l’altro pubblico che osservava il live. Era bellissimo, ci aiutava scavare tangibilmente l’emotività. Non vedo l’ora di poterlo rifare". Vede la musica al centro della comunicazione? "Sono sempre stato convinto che la musica sia un’alchimia pazzesca, uno dei vertici della creatività umana. La musica nasce quando si è da soli: componi un brano con il tuo strumento, scrivi la partitura e lo registri. Ma fino a quando non lo ascolta qualcun altro e lo fa proprio come emozione e partecipazione interiore, emotiva, non esiste. La musica è un codice che nasce in solitudine e vive soltanto se è condivisa da altri. Senza questi altri è morta nel momento in cui hai finto di scrivere l’ultima nota".
Il Banco del Mutuo Soccorso
Il Banco del Mutuo Soccorso
A proposito di condivisione, voi tanti anni fa, con "Paolo Pa" avete fatto la prima canzone sull’omosessualità? "Oggi sembra quasi banale parlarne, ma era il 1980 e ce n’era assoluto bisogno di parlare in quel modo di quella che veniva considerata un’assurda diversità, una cosa da abiurare. L’abbiamo ambientata dove è sempre stato più difficile essere gay, cioè nelle periferie urbane, nei suburbi, nei paesini della provincia, in cui bisogna negare, nascondersi, altrimenti vieni massacrato". Anche oggi fate canzoni di protesta? "C’è un brano dell’Orlando che amo molto, che alza il tono e la voce contro la violenza sulle donne e vede Angelica inseguita dai mussulmani, dai cristiani, dai campioni che vedono passare questa bellissima donna durante la battaglia e la inseguono nel bosco, quando lei scappa, in preda al panico. Dedichiamo questo brano alla lotta assoluta, totale alla violenza sulle donne, che non possiamo più assolutamente sopportare. A maggior ragione in un periodo, che ci sembra infinito, in cui ogni giorno ci sono continui annunci di femminicidi nei telegiornali e nei quotidiani: è uno stillicidio scellerato. Il pezzo è in sette ottavi, un andamento dispari che evoca l’ansietà, la crisi di panico della fuga per sfuggire a uomini che la desiderano. Inizia con delle percussioni lignee che secondo me evocano il suono delle marionette che fanno a spadate".
 
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  Vi sareste aspettati che il rock progressive riprendesse fiato e pubblico? "No, ma abbiamo percepito con gioia questa nuova primavera musicale, questa fioritura. Sembrava di sentire crescere l’erba su questa colata di cemento, sotto l’appiattimento senza prospettive della globalizzazione". Come vi trovate con la nuova formazione del Banco? "Sono stato fortunato, anche se poi devi aiutarti da solo. Quando ho selezionato i nuovi elementi, ho prima fatto un training autogeno e mi sono chiarito le idee. Non dovevo cercare le chitarre più veloci del West o il batterista più formidabile del pianeta. Il mio approccio è stato capire chi era più in sintonia umanamente con il nostro modo di fare musica, il mio modo di pensare. Quando scrivi musica nuova ci sono dei momenti in cui ti commuovi veramente, ti emozioni. Sono attimi privati che hanno bisogno di complicità, di essere condivisi. Non puoi farlo con qualcuno che non ha i tuoi ideali, i tuoi riferimenti. Ho sempre detestato le ideologie, soprattutto il talebanesimo, le esagerazioni da integralismo, perché i fanatismi hanno indotto solo a grandi fallimenti e grandi distruzioni. Per questo ho voluto conoscere i nuovi musicisti e questo mi ha premiato". Ora siete in sette in organico? "Sì, abbiamo una grandissima intesa e facciamo concerti pieni di verve e condivisione. Dei fondatori sono rimasto solo io alle tastiere, ma il gruppo, come alle origini è tornato ad avere la doppia tastiera, insieme alla mia c’è quella di mio figlio Michelangelo, la voce di Tony D’Alessio, che ha una potenza vocale mostruosa e non ha paura di intonare il si bemolle acuto, un tono sotto al do di petto. Gli ho chiesto di potenziare al massimo la sua capacità interpretativa per tirare fuori più colori e timbri per esaltare il testo e la melodia senza imitare in nessun modo l’interpretazione di Francesco di Giacomo. E mi ha accontentato a pieno. Filippo Marcheggiani suona con noi la chitarra da 30 anni, oggi lo fa insieme al chitarrista acustico e ritmico Nicola Di Già, che si è inserito nel nostro organico a meraviglia. Alla batteria purtroppo Fabio Moresco ha avuto recentemente seri motivi di salute, al suo posto l’ultima new entry l’ottimo Dario Esposito che, insieme a Marco Capozzi al basso formano una sezione ritmica quasi zappiana".
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